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Categoria: MUSICA LIRICA Page 1 of 9

TURANDOT di GIACOMO PUCCINI

Opera in 3 atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni (tratto da “Le Mille e un Giorno” di Carlo Gozzi)

Musica di Giacomo Puccini (finale completato da Franco Alfano)

Epoca di composizione: luglio 1920 – ottobre 1924

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano, 25 aprile 1926

Versioni successive: un nuovo finale dell’opera è stato composto da Luciano Berio (2001)

 

Personaggi:   

Turandot, principessa (soprano drammatico)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore drammatico)
Liù, giovane schiava, guida di Timur (soprano lirico)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)

Guardie imperiali – Servi del boia – Ragazzi – Sacerdoti – Mandarini – Dignitari – Gli otto sapienti – Ancelle di Turandot – Soldati – Portabandiera – Ombre dei morti – Folla

 

Interpreti della prima rappresentazione: 

Turandot (soprano) Rosa Raisa
L’Imperatore Altoum (tenore) Francesco Dominici
Timur (basso) Carlo Walter
Calaf (tenore) Miguel Fleta
Liù (soprano) Maria Zamboni
Ping , Gran Cancelliere (baritono) Giacomo Rimini
Pang, Gran Provveditore (tenore) Emilio Venturini
Pong, Gran Cuciniere (tenore) Giuseppe Nessi
Un Mandarino (baritono) Aristide Baracchi

Direttore: Arturo Toscanini

 

Trama: 

Periodo storico: Al tempo delle favole.

Atto I

Un mandarino rende noto alla popolazione l’editto di Turandot che viene emanato quotidianamente, secondo il quale lei sposerà chi “di sangue regio” indovinerà i tre  quesiti alquanto difficili che lei stessa sottopone; chi non ruscirà a risolverli, subirà il taglio della testa al sorgere della luna.

Sotto le  mura della città proibita di Pechino, si ritrovano tre personaggi: sono identificati come Il Principe Ignoto, Timur (Il Re, suo padre) e Liù (la schiava – serva del vecchio re cieco, il cui figlio le aveva sorriso molto tempo prima, sostenendola a sopportare l’esilio per entrambi).

A causa della confusione, Timur cade a terra, Liù chiede aiuto (“Il mio vecchio è caduto”), per cui Calaf interviene, riconoscendo il padre e abbracciandolo commosso.

La folla delira perché vuole una nuova vittima del decreto di Turandot e si esalta maggiormente all’arrivo del boia, inneggiando alla Luna che è identificata quale simbolo mortale che personifica la purezza e la freddezza della Principessa Turandot e i fanciulli cantano una melodia che si ripete nello svolgimento dell’opera (“Là, sui monti dell’Est”), melodia che riguarda l’argomento del Mò-Lì-Hua, ossia il Fiore di Gelsomino: si tratta di una canzoncina cinese che viene intonata anche come ninna-nanna.

Tale folla, però, non è solo aguzzina e diventa anche pietosa, per cui chiede di salvare il giovane condannato che sta passando: Il Principe di Persia.

Il Principe Ignoto desidera fortemente vedere la crudele Turandot che biasima  ma, appena la principessa appare brevemente per avvalorare la condanna, rimane conquistato dalla sua bellezza, come impazzito, per cui è spinto ad affrontare la prova dei tre indovinelli: “O divina bellezza, o meraviglia!“ e per cui vuole suonare il gong per sfidare e conquistare Turandot, rischiando la vita.

A nulla valgono le preghiere sarcastiche e le minacce buffe di tre maschere: i tre dignitari di corte Ping, Pong e Pang, lo trattano sarcasticamente per dissuaderlo, ma Calaf “non sente”.

Liù teme per Calaf (“Signore, ascolta”) e gli si rivolge perché non attui il suo folle proposito, ma non riesce a dissuaderlo: lei non vuole perdere il sorriso che l’ha incantata.

Lui la esorta:  “Non piangere, Liù”. Lo esprime in modo fermo, lucido e, soprattutto, dolce; le raccomanda il padre e si incammina incontro a quanto il Destino ha scritto per lui.

 

Atto II

È notte.

Le tre maschere Ping, Pong e Pang riflettono in modo realistico che, con la loro carica di ministri del regno, sono obbligate a presenziare alle esecuzioni dei martiri di Turandot, ma opterebbero volentieri per la vita tranquilla nelle loro proprietà fuori Pechino, per cui si augurano che un vero amore ponga fine alla sete di sangue della principessa.

Mentre si prepara la cerimonia degli enigmi, l’Imperatore Altoum implora Il Principe Ignoto di rinunciare, ma la cosa è vana.

Quindi, davanti alla reggia, appare Turandot che, nella sua grande scena, dichiara a Calaf il suo comportamento: moltissimi anni prima (“or son mill’anni e mille”), dopo la caduta del regno, la sua ava Lou-Ling era stata rapita e uccisa da un principe straniero per cui, ora, vuole vendicarla del suo candore disonorato, a mezzo della sfida con i principi stranieri che “devono” risolvere i suoi enigmi, per cui la morte è  l’espiazione sanguinaria.

Calaf li risolve correttamente: Turandot, incredula e disperata, implora il padre di difenderla verso lo straniero, ma l’imperatore e il coro le ricordano il giuramento che, sdegnosa, apostrofa il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.

Calaf possiede la grandezza dell’eroe e consente a Turandot di non rispettare il voto per mezzo dell’unica possibilità di indovinare il suo nome prima dell’alba: se tale cosa avverrà, egli morirà come se l’esito della sua vittoria gli fosse sfavorevole.

La sfida viene accettata, mentre si diffonde l’inno imperiale.

Atto III

È notte e aleggia il mistero.

Le guardie cercano minuziosamente nei giardini in cerca di informazioni e  gli araldi consegnano il nuovo ordine della principessa che impone che “Questa notte, nessuno dorma, in Pechino, pena la morte; il nome dell’ignoto sia segnalato prima del mattino!”.
Calaf è sicuro di vincere e canta la famosa aria “Nessun dorma”.

Ping, Pong e Pang, gli comandano di arrendersi alla sfida, che si accontenti di avere vinto  gli enigmi e parta per non tornare mai più, ma egli rifiuta offerte di denaro, donne e gloria. Calaf ha vinto, ma vuole vincere anche sull’orgoglio e sull’odio interiore di Turandot. Vuole vincere il suo gelo interiore a causa di un crimine vecchissimo. E’ sicuro di vincere.

Mentre aspetta l’alba, Calaf comincia a ritrovarsi in una specie di angoscia perché Liù e Timur che, poche ore prima, erano stati notati assieme a lui, vengono condotti in presenza di Turandot e dei  tre ministri.

Liù, decisamente, afferma di essere l’unica a conoscere  il nome del principe Ignoto e, pur venendo torturata, non cede, per cui – di fronte a tanta stabilità morale – Turandot le chiede come possa sopportare una prova atroce.

Liù risponde soavemente: “Principessa, l’Amore”.

Nonostante la sua glacialità, Turandot rimane turbata, ma si controlla e ordina ai tre ministri di scoprire il nome dell’Ignoto: costi quel che costi.

Liù, sa che non riuscirà a sopportare ancora per molto e, di sorpresa, strappa un pugnale ad una guardia e si uccide.

Timur, cieco, non comprende l’accaduto e, quando Ping gli rivela la verità, abbraccia Liù, il cui corpo viene condotto via seguito dalla folla in preghiera.

Turandot e Calaf restano soli e il principe è alterato verso la principessa, per avere causato troppo male provocato dalla sua rabbia: Turandot, un essere privo di sentimenti (“Principessa di Morte”), ma Calaf si fa riprendere dall’amore di cui non sa liberarsi.

E’ respinto da Turandot che, poi, ammette che la prima volta che lo ha visto lo ha temuto, ma che ormai è schiava della passione, che li porta ad un bacio caloroso.

Ma, essendo orgogliosa, implora Calaf di non umiliarla. Calaf le rivela il suo nome  e la sua vita è nelle mani di lei: Calaf, figlio di Timur.

Il giorno dopo, una folla immensa è radunata davanti al palazzo imperiale e si odono gli squilli delle trombe.

Turandot dichiara a tutti il nome dello straniero: ” Il suo nome è Amore”.

Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.

 

Brani celebri:      

Atto I

Gira la cote! (coro del popolo e degli aiutanti del boia)

Perché tarda la luna? Invocazione alla luna (coro)  Là sui monti dell’est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua).
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liù!, romanza di Calaf  Concertato finale

 

Atto II

Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena degli enigmi

Atto III

Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore, segreto e inconfessato – Tu che di gel sei cinta, aria (in due parti) e morte di Liù
Liù, Liù sorgi…Liù bontà, Liù dolcezza, aria di Timur


Discografia e Incisioni note:

Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli, Luciano Neroni, Afro Poli  Franco Ghione Warner Fonit

Inge Borkh, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena       Alberto Erede   Decca Records

Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola Zaccaria, Mario Borriello           Tullio Serafin            EMI Classics

Birgit Nilsson, Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni         Erich Leinsdorf RCA Victor

Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Guido Mazzini    Francesco Molinari Pradelli            EMI Classics

Joan Sutherland, Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta     Decca Records

Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul Plishka, Vicente Sardinero         Alain Lombard EMI Classics

Katia Ricciarelli, Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik     Herbert von Karajan Deutsche Grammophon

Eva Marton, Margaret Price, Ben Heppner, Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone   Roberto Abbado            RCA Victor

 

Registrazioni dal vivo:  

Birgit Nilsson, Anna Moffo, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti Leopold Stokowsky Metropolitan New York

Birgit Nilsson, Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria    Francesco Molinari Pradelli       Wiener Staatsoper

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Roberto Scandiuzzi           Daniel Oren      Teatro Margherita

Giovanna Casolla, Katia Ricciarelli, Lando Bartolini, Sergio Fontana     Rico Saccani     Avenche, Arena – CASCAVELLE CD

Giovanna Casolla, Masako Deguci, Lando Bartolini, Francisco Heredia, Javier Mas, Vicenc Esteve            Alexander Rahbari        Malaga, 2001 – NAXOS CD

Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina           Keri Lynn Wilson          Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini

Maria Guleghina, Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey         Andris Nelsons Metropolitan Opera House

 

DVD: 

Eva Marton, Katia Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart  Lorin Maazel     TDK

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco  Maurizio Arena NVC Arts

Eva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka       James Levine   Deutsche Grammophon

Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej Larin, Carlo Colombara        Zubin Mehta     Warner Classics

Giovanna Casolla, Sandra Pacetti, Nicola Martinucci, Simon Yang         Carlo Palleschi  EMI

Maria Guleghina, Salvatore Licitra, Tamar Iveri, Luiz-Ottavio Faria        Giuliano Carella            Bel-Air Classiques

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:
 

L’Opera, intesa come Buona Musica, non può cambiare, perché è sacrosanta, straordinaria, eterna; però, come tutto, ha subito cambiamenti attraverso il tempo.

I grandi compositori che vi si sono avvicendati si chiamano Mozart, Beethoven, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini, Donizetti, Ciaikovskij, …

L’Italiano è stato la lingua dei libretti dell’Opera Lirica (nata in Italia) anche dei compositori stranieri che, in seguito, traducevano nella propria lingua (soprattutto, Mozart).

Però, tale “potere di supremazia” si è ridotto, per cui i libretti vengono scritti in varie lingue.

Puccini vuole migliorare e raggiungere un rinnovamento incisivo autorevole e rispettato, per cui così scrive: < Rinnovarsi o morire? L’armonia di oggi e l’orchestra non sono le stesse … io mi riprometto, … se trovo il soggetto di far sempre meglio nella via che ho preso, sicuro di non rimanere nella retroguardia >.

Quindi, Turandot, soggetto fiabesco (cosa Insolita per lui)   E’   la sfida di Puccini verso sé stesso: decide che sarà la sua opera più rappresentativa e originale, con pagine vive e ricche di ispirazione.

Puccini, uno dei più grandi operisti, da persona unica e riflessiva, affronta ogni suo lavoro emotivamente con un’applicazione, un interesse, un attaccamento e una cura come li hanno pochi: anzi, Puccini è un compositore ineguagliabile.

L’opera “un po’ allegorica” TURANDOT è una fiaba ma, contemporaneamente, contiene un dramma reale perché presenziano le uccisioni dei principi che non sanno risolvere i tre enigmi (fra cui, il Principe di Persia) e il suicidio di Liù.

Infatti, fin dall’inizio dell’opera, nonostante le melodie esotiche e solenni ci introducano nella magica “epoca delle favole”, si percepiscono la potenza, la crudeltà, l’arcano, portando alla tristezza della tragedia.

 

Nel I atto dell’opera Turandot di Puccini, la popolazione inneggia alla Luna che, da sempre, ha affascinato tutti attraverso il cielo, la Scienza e la Poesia: la luna ci ha sempre offerto fenomeni fantastici come la Luna Bianca, la Luna Rossa, la Luna Blu, la Luna Grande, l’eclissi.

E, sempre in Turandot, la storia d’amore inizia solo al termine dell’opera, ma è doveroso ricordare che, chi propone a Puccini di trarre un’opera da una fiaba, è il giornalista e scrittore teatrale veneziano Renato Simoni che punta alla capacità del lavoro di dimostrare la < inverosimile umanità del fiabesco >, lavoro per cui lo stesso Puccini è entusiasta e riesce a mettere in evidenza la grande tragicità di Turandot.

Pur essendo un’opera-fiaba “allegorica”, trasmette l’esempio fermo della competizione attraverso il dualismo maschile-femminile, giorno-notte, vita-morte, …

Turandot e Calaf significano la “guerra” fra la donna e l’uomo, arrivando al “compromesso” dell’Amore.

Oltre ad essere “l’opera del Mistero” e delle contraddizioni.

Affascinante, senza dubbio, mentre provoca interrogativi e riflessioni in chi la segue mentalmente: gli enigmi e lo scoprire il nome del Principe Ignoto, l’adozione da parte di Turandot dei segni bianco e nero (positivo e negativo), Turandot e la sua personalità, l’Amore, il finale dell’opera; tutti misteri da chiarire.

“Qui termina la rappresentazione perchè a questo punto il Maestro è morto”.

E’ il 25 aprile 1926.

Chi pronuncia queste parole è Arturo Toscanini che appoggia la bacchetta e interrompe  lo svolgimento della prima rappresentazione di “Turandot” di Puccini perché il Maestro l’ha  composta completamente fino alla morte di Liù, la fanciulla che, portata a spalle fra le quinte, personifica uno dei personaggi-simbolo femminili  pucciniani.

Il finale di Alfano presenzia nelle rappresentazioni delle sere seguenti, ma la direzione è di Ettore Panizza perché  Toscanini non dirigerà mai più l’opera.

Puccini compone il coro funebre per Liù e, secondo qualcuno, raggiunge “il massimo splendore della sua musica”, ma non continua perché, secondo lui, l’opera è ultimata.

Però, dopo la morte del compositore, in effetti, Turandot ha due finali: Alfano I e Alfano II.

Il secondo, in realtà, dovrebbe imputarsi a Toscanini, visti i suoi robusti interventi nelle parti da eseguire per terminare i passi dell’opera: questo breve finale si dirige velocemente verso il lieto fine che conclude l’opera; finale che abbiamo sempre ascoltato.

Nel 2001, si ha un nuovo finale di Turandot per merito di Luciano Berio (1925 – 2003) che  ha cercato di scovare il più possibile lo spirito e le intenzioni originarie di Puccini dai suoi appunti, per cui, nel suo finale, il suo stile viene evidenziato.

Non è da dimenticare la versione del 1988 (mai eseguita) della studiosa statunitense Janet Maguire.

Per alcuni studiosi, l’opera resta incompiuta per l’impossibilità psicologica di Puccini di spiegarsi la trasformazione finale della fredda e sanguinaria Turandot in una donna capace di nutrire amore: il “bolide luminoso” di Puccini doveva trasformare la principessa “da dea assetata di sangue a donna innamorata e umana”.

Turandot, UN CAPOLAVORO ARTISTICO E MUSICALE per cui  Puccini ha capito molto bene “La passione amorosa di Turandot che, per tanto tempo, ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio”.

E’ EVIDENTE CHE PUCCINI HA VOLUTO COMPIERE UN MIRACOLO PSICOLOGICO DI GRANDE VALORE.

FORSE, HA PRECORSO UN PO’ LA FANTASCIENZA.

 

Calaf: 

L’alba dissolve le tenebre: questo esempio rappresenta Calaf.

Contrariamente alle altre sue opere, Puccini, qui, rende fortissimo il personaggio maschile attraverso il trionfo dell’Amore, il trionfo della Vita.

Calaf è il simbolo dell’Amore sotto vari aspetti, soprattutto dell’Amore verso il Prossimo: addirittura, da vincitore e con signorilità, non vuole che Turandot sia obbligata a concedersi e le rivela il suo nome, rischiando di perdere la vita.

Calaf vuole vincere l’orgoglio e l’odio della sadica principessa, vuole vincere il suo freddo scudo di autodifesa e continua anche dopo che Turandot, malvagiamente, lo nota “sbiancato dalla paura” e  prosegue, volendo provocare nella principessa il senso dell’amore e della vita sulle cose cattive.

Non è tanto la ragione logica che lo guida, ma i suoi impulsi ed emozioni equilibrati, unitamente al sacrificio di Liù: “L’Amore è un valore intenso e un sapere”.

Mentre aspetta l’alba, Calaf  vede trascinati, presso la principessa, suo padre Timur e Liù.

Liù è coraggiosa e non volendo fare soffrire Timur, dichiara di essere la sola a conoscere il nome del Principe Ignoto e, nonostante la tortura, rimane ferma sul suo comportamento, suscitando la curiosità di Turandot che le chiede come possa superare tale prova tremenda e priva di speranza.

Nasce, quindi, il paragone fra le personalità di Liù e Turandot che genera una specie di sfida fra la schiava remissiva e Turandot, non disposta a cedere e con un carattere insolito per un personaggio pucciniano: infatti, Puccini vuole “nuovi” personaggi per la sua musica “nuova”.

Calaf viene circondato dalla folla, con in testa, i tre Ministri Ping-Pong-Pang che lo vogliono persuadere di lasciare perdere tutto e di salvarsi assieme a Timur e a Liù.

Però, Calaf è un eroe nato e rifiuta tutto ciò che gli viene offerto, implorando l’alba per trionfare sulla freddezza di Turandot.

 

Liù: 

Risulta evidente che Puccini, mago del canto intenso interiore, è attratto dai personaggi femminili giovani che rinunciano alla vita lasciandosi andare o suicidandosi per amore, destando nello spettatore commozione (in Psicologia, sicuramente, freddamente, sarebbero definiti paranoici o delusi depressi).

Liù, pur essendo innamorata “lucida” fino alla follia, attraverso la romanza “Tu che di gel sei cinta da tanta fiamma avvinta, l’amerai anche tu”,  è consapevole che morirà perché la principessa si arrenderà al principe ignoto.

Oltre all’amore sentimentale, Liù NON vuole vedere il suo principe amare un’altra e si uccide col pugnale sottratto velocemente ad una guardia, provocando stupore, commozione e pietà.

Liù, piccola grande donna costruita sull’esempio sacrificale di Ciò-Ciò-San, è solo una piccola schiava, sottomessa e semplice, ma è coerente, dignitosa, decisa; rappresenta l’Amore purissimo: infatti, generosamente, muore affinché il suo principe possa essere felice amando un’altra.

Non si trova sulla stessa altezza di Turandot ma, prima di uccidersi, si rivolge a Turandot come se fosse tale e, per pochi attimi, la sua personalità si trova effettivamente sullo stesso livello di quello della principessa: infatti, la distanza sociale e di temperamento sono come annullate.

Anzi, più precisamente, per pochi istanti la personalità di Liù domina addirittura quella di Turandot, in quanto  il suo interiore è proprio di una persona che SA amare il Prossimo, a differenza di Turandot.

Che Liù dia prova suprema, sacrificando la propria vita in presenza di Turandot, è lampante e lo dimostra riconoscendo che la forza del suo amore le viene attraverso “Tanto amore segreto, e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore…”.

Questo lascia la principessa smarrita perché non capisce come una umile schiava possa amare “l’uomo, il nemico del genere femminile”, fino a perdere la vita per lui (dopo la decisione presa già da tempo da Liù di esprimere che lei sola conosce il nome del Principe Ignoto).

Non capisce visto che Liù non ha più speranza dal momento che Calaf ama Turandot: Turandot che dimentica che suo padre E’ UN UOMO e sua madre l’ha partorita GRAZIE AL SEME DI UN UOMO.

Infatti, Liù, fanciulla dolce, umile, con abnegazione, essere umano ed eroina romantica, cede alla disperazione perché non vuole vedere la vittoria di Turandot e non sopporta di vedere il “suo” Principe fra le braccia di un’altra, per cui – nonostante lo voglia felice – preferisce morire: “Io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora… per non… per non vederlo piu!”.

La sua morte contribuisce notevolmente al “disgelo” di Turandot: Il suo amore verso tutto e tutti rinasce in Turandot, come una reincarnazione.

Ci si affeziona al personaggio di Liu’ perché LIU’ È IL SIMBOLO DELL’AMORE e DELLA BONTÀ.

 

Turandot: 

La luna rappresenta Turandot, la bellissima, arida, crudele e distruttriva Principessa: candida, idealmente distante, con la sensazione di freddezza.

E’ talmente bella che riesce ad illuminare tutto e tutti, pur rappresentando la Morte, l’Egoismo, il Narcisismo, la Superiorità  e la Pazzia.

Turandot UCCIDE per reazione ad un forte TRAUMA: nella sua grande aria, Turandot rende noto che ha ideato i tre quesiti per i prìncipi che vorrebbero sposarla.

Il motivo è una conseguenza a quanto successo “or son mill’anni e mille” ad una sua ava, Lo-u-Ling, una principessa sovrana preda del Re dei Tartari e da lui violentata e uccisa.

Il momento particolare è ripetuto ed evidenziato sulla sua morte per volere di un uomo, “simbolo del male” e, in particolare, sul grido dell’ava dove rivive il momento tragico.

Per cui, la frustrata Turandot, esprimendo la sua inflessibilità, vendica quella morte e ammonisce il Principe Ignoto che, se non risolve i tre enigmi, morirà: “Gli enigmi sono tre, la morte è una!“.

Ma il Principe Ignoto, idem inflessibile, risponde “Gli enigmi sono tre, uno è la vita!“.

Qui, interiormente, volendo imporsi l’una sull’altro, il conflitto e la competizione dei due risultano forti.

Il Principe Ignoto risolve esattamente gli enigmi, Turandot è vinta e “annaspa”, invocando l’aiuto di suo padre, l’Imperatore, per non essere data ad uno straniero.

Le viene risposto che deve rispettare il giuramento: Turandot, adirata e arrogante, si scaglia contro il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.

Il Principe Ignoto possiede una grande generosità d’animo che gli consiglia di rifiutare un’eventuale situazione, per cui sfida Turandot ad indovinare il suo nome prima dell’alba: in caso positivo per Turandot, egli morirà come se fosse stato sconfitto.

Turandot accetta e l’Imperatore è oggetto di plauso dalla folla.

Compulsività di Turandot?

Apro una parentesi per citare che si sono verificati casi, nella nostra società moderna, dove alcune persone se la prendono con chi non c’entra, ma solamente perché appartengono ad una categoria di esseri viventi: ad esempio, anni fa, una donna aveva fatto sesso con un uomo, in una stanza d’albergo, dopodiché – prima di andarsene e prima che l’uomo si svegliasse – ha scritto a mezzo di rossetto, sullo specchio: “Sono malata di AIDS”.

Questo è stato un modo reattivo (sicuramente, compulsivo e seriale) di vendicarsi di un uomo che l’aveva fatta soffrire: chissà con quanti altri se l’è presa!

Turandot è incuriosita dalla tenacia con cui Liù, socialmente inferiore a lei, sostiene la sfida di Calaf e, per la prima volta, tocca l’argomento Amore percependo che esiste un sentimento più forte della sua rabbia in corpo attraverso la risposta struggente della schiava che possiede un amore purissimo e sacrificale.

Subito dopo la morte di Liù, durante il lamento funebre, Calaf, in preda al furore, quasi aggredisce Turandot e la costringe a vedere il sangue sparso da Liù, la costringe a scendere “sulla Terra” dal suo “tragico cielo” in cui si è “autoriparata”.

Lei si sente spiazzata dal comportamento di Calaf, per cui gli fa presente la sua superiorità: “Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura”.

Ma il principe, subito, passa al bacio, “profanandola” e provocando la caduta della sua ritrosia che annulla  per sempre la parte avversa di Turandot: “Che è mai di me? Perduta!”.

Psicologicamente, “la nuova Turandot” nasce dalla liberazione dal suo odio e dal suo gelo emotivo attraverso la reazione positiva ai suoi sentimenti negativi e dalla morte di Liù che le parla e si uccide.

Calaf riesce nel suo scopo unendo – psicologicamente – il comando alla sua gentilezza d’animo quando “lo scudo di autodifesa” di Turandot si allenta, constatando che “Il gelo tuo è menzogna!” perché è pronta alla conversione della nuova personalità-nuova nascita, per cui Calaf canta “Mio fiore mattutino …”.

Psichicamente, Turandot è nata essere normale, ma un forte trauma l’ha trasformata in un mostro umano perché è complessa, è devastante, per cui rappresenta il Nulla.

E’ un personaggio con la mente scura, ermetica per cui, da psicologicamente fragile e sbilanciata, per lei, l’amore è violenza e terrore, verso il quale prova rigetto e rifiuto interiori.

Ma, attraverso il bacio di Calaf, il ghiaccio di Turandot viene sciolto: Calaf le rivela il proprio nome nel culmine intenso del momento, consegnando la sua vita a lei.

Turandot rivela all’imperatore e alla folla che il nome dello straniero è Amore, sortendo l’effetto di una grande felicità.

 

TURANDOT E’ UN PERSONAGGIO INTERESSANTE CHE INTRIGA MOLTO.

 

Timur:

Vecchio re spodestato, senza più patria, costretto ad errare.

Affezionato a Liù, ossia “i suoi occhi”, rimane addoloratissimo quando muore: “Apri gli occhi, Colomba”.

Vivrà con Calaf, nella reggia, ma i suoi giorni saranno alquanto tristi senza la sua Colomba.

Battuto al computer da Lauretta

 

CORO DEL POPOLO E DEGLI AIUTANTI DEL BOIA, “GIRA LA COTE!”:

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ZUBIN MEHTA dirige il CORO “PERCHE’ TARDA LA LUNA?”:

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CORO “LA’, SUI MONTI DELL’EST” (melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua):

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “SIGNORE ASCOLTA”:

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Il tenore FRANCO CORELLI canta “NON PIANGERE, LIU’”:

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Guido Mazzini (Ping) Franco Ricciardi (Pang) Piero de Palma (Pong) cantano il TERZETTO DEI MANDARINI, “HO UNA CASA NELL’HONAN”:

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SECONDA PARTE DEL SECONDO ATTO con LA GRANDE ARIA DI TURANDOT (“IN QUESTA REGGIA”):

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “NESSUN DORMA”:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “TANTO AMORE SEGRETO E INCONFESSATO … TU CHE DI GEL SEI CINTA”:

 

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SCENA FINALE:

IL TRITTICO PUCCINIANO: GIANNI SCHICCHI

 

Gianni Schicchi è un’opera comica in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano (avvocato-giornalista-drammaturgo-regista-librettista) basato su un episodio del Canto XXX dell’Inferno della “Divina Commedia” di Dante.

E’ la terza opera appartenente al “Trittico”.

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan” di New York, 14 dicembre 1918.

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma: 11 gennaio 1919.

 

Personaggi:

Gianni Schicchi, 50 anni (baritono)
Lauretta, sua figlia, 21 anni (soprano)
Zita detta “La Vecchia”, cugina di Buoso, 60 anni (contralto)
Rinuccio, nipote di Zita, 24 anni (tenore)
Gherardo, nipote di Buoso, 40 anni (tenore)
Nella, sua moglie, 34 anni (soprano)
Gherardino, loro figlio, 7 anni (soprano)
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile (basso)
Simone, cugino di Buoso, 70 anni (basso)
Marco, suo figlio, 45 anni (baritono)
La Ciesca, moglie di Marco, 38 anni (mezzosoprano)
Maestro Spinelloccio, medico (basso)
Messer Amantio Di Nicolao, notaro (baritono)
Pinellino, calzolaio (basso)
Guccio, tintore (basso)


Personaggi e interpreti principali della prima rappresentazione, a New York: 

Gianni Schicchi (baritono) Giuseppe De Luca
Rinuccio (tenore) Giulio Crimi
Lauretta (soprano) Florence Easton
Gherardo (tenore) Angelo Badà
Zita (mezzosoprano) Kathleen Howard

 

Segnalazione della collocazione nel repertorio: 

Nel Trittico, nonostante Puccini decida che le tre opere vengano sempre rappresentate assieme e mai con  altre, da subito, Gianni Schicchi miete il maggiore successo, specialmente venendo rappresentata con opere come “Una tragedia fiorentina” di Alexander von Zemlinsky o “Alfred, Alfred” di Franco Donatoni.

 

Trama: 

Epoca storica: 1299.

Buoso Donati, è deceduto e, nella sua vita di mercante, ha accumulato ricchezze.

I suoi parenti NON vogliono perdere tale capitale: infatti, Buoso lascia suo erede il vicino Convento di frati di Santa Reparata, ignorando i parenti che chiamano Gianni Schicchi, fornito di arguzia e intuizione, affinché li salvi, nella circostanza.

La famiglia Donati, famiglia aristocratica fiorentina, si è sempre mostrata altezzosa verso di lui, uomo della <gente nova> (ossia, “un arricchito”) per cui, subito Schicchi rifiuta di dare il suo aiuto.

Sua figlia Lauretta, è innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati e, nella romanza «O mio babbino caro», lo prega di ripensarci e di trovare una soluzione.

Nessuno sa che Buoso è deceduto, per cui Gianni Schicchi fa trasportare la salma nella camera confinante, dopodiché lui si infilerà nel letto, imiterà la voce di Buoso e detterà il falso testamento al notaio che giungerà, là.

Per “regolarità”, Schicchi fa presente ai parenti di Donati che rispetterà le aspirazioni di ognuno però ricorda l’inflessibilità della legge, che condanna all’esilio e al taglio della mano <chi fa sostituzione di persona in testamenti e lasciti, compresi i suoi complici >:

«Addio Firenze, addio cielo divino
io ti saluto con questo moncherino
e vo randagio come un Ghibellino»

Schicchi lascia al notaio gli ultimi propositi e, una volta dichiarato di lasciare i beni più preziosi (ossia, “la migliore mula di Toscana, l’ambita casa di Firenze e i mulini di Signa” al suo “caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi”), i parenti protestano urlando rabbiosamente.

Per cui Schicchi li zittisce canticchiando il “motivo dell’esilio”, agitando la mano a mo’ di moncherino e li caccia dalla casa, ormai sua.

Sul terrazzino, Lauretta e Rinuccio si abbracciano e ammirano lo scenario, ricordando l’inizio del loro amore.

Gianni Schicchi sorridendo gradisce con attenzione la loro felicità, soddisfatto dalla sua stessa sottigliezza.

 

Incisioni più note con: 

José van Dam, Angela Gheorghiu, Roberto Alagna
Juan Pons, Cecilia Gasdia, Jurij Marusin
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Andrea Giovanni
Leo Nucci, Nino Machaidze, Vittorio Grigolo

 

Brani famosi: 

Firenze è come un albero fiorito (Rinuccio)
O mio babbino caro (Lauretta)
Ah! che zucconi! (Gianni Schicchi)
Addio, Firenze, addio cielo divino … (Gianni Schicchi)
Lauretta mia, saremo sempre qui (duetto finale Rinuccio-Lauretta)
Ditemi voi, signori, se i soldi di Buoso potevano finire meglio di così … (Gianni Schicchi, finale).

 

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Unica opera comica di Puccini – con melodie molto orecchiabili – è anche quella che desta maggiore simpatia, nel “Trittico”.

Il capitale di Buoso Donati è destinato al Convento dei Frati di Santa Reparata che, unicamente per informazione – odiernamente – si festeggia l’8 di ottobre.

Però, i parenti NON intendono perdere tale capitale e, da bravi rapaci, si muovono per trovare una soluzione che li accontenti assieme al loro disprezzo verso il merito della vita e il dramma luttuoso della morte.

Il nipote Rinuccio, interessato ad avere la sua parte per potere sposare Lauretta Schicchi, convince tutti i presenti dell’aiuto che lo stesso Gianni Schicchi può dar loro, esprimendo un inno a Firenze, Culla dell’Arte, e alle zone circostanti che sono vere bellezze della Natura: “Avete torto! … Firenze è come un albero fiorito …”.

Gianni Schicchi rifiuta; Lauretta e Rinuccio sono delusi e disperati per non potersi sposare al Calendimaggio.

Ma la donna, in genere, è capace di essere scaltra, per cui – psicologicamente – Lauretta attua il “ricatto morale” al padre: “O mio babbino caro …”.

Idem, psicologicamente, a questo punto, Schicchi accetta di risolvere il problema; risoluzione che diventerà una vera beffa rivolta agli eredi del Donati.

Per cui, Schicchi è condannato da Dante nella bolgia dei falsari per “falsificazione di persona”, ossia per aver imbrogliato gli altri prendendo il posto di Buoso Donati, il Vecchio.

Infatti, quest’opera è tratta dal canto XXX dell’Inferno dove si racconta del protagonista, inserito da Dante nella bolgia dei falsari:

“E l’Aretin che rimase, tremando/ mi disse: ”< Quel folletto è Gianni Schicchi/ e va rabbioso altrui così conciando … Questa a peccar con esso così venne,/falsificando sé in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne,/per guadagnar la donna de la torma,/falsificare in sé Buoso Donati,/testando e dando al testamento norma

(E Griffolino d’Arezzo, unico rimasto, tutto tremante, mi disse: “Quello spirito furioso è Gianni Schicchi, e va in giro così arrabbiato conciando in tal modo gli altri”…ella arrivò a commettere atti peccaminosi con lui, camuffandosi in un’altra donna, come fece anche l’altro, Gianni Schicchi, che se ne fugge da quella parte, che osò, per riuscire ad ottenere la più bella cavalla della mandria, fingere di essere Buoso Donati, dettando le norme al notaio e rendendo così legale il testamento”) >.

Molto bello il finale di Gianni Schicchi, dove il protagonista respira di sollievo perché “la masnada” se ne è andata, finalmente, mentre Rinuccio e Lauretta rivedono “la Firenze d’oro” e “la Fiesole bella” seguiti dallo sguardo di Schicchi lieto della loro felicità a cui ha contribuito notevolmente, per cui evidenzia di essere stato “cacciato” all’Inferno: “E così sia”.

… e continua nella sua riflessione-constatazione: “Ma con licenza del gran padre Dante, se stasera vi siete divertiti, concedetemi voi l’attenuante”.

Già: per Puccini, la terza cosa importante era proprio quella di fare ridere il pubblico.

Battuto al computer da Lauretta

 

VIDEO DELL’OPERA COMPLETA (edizione anno 1983) diretta da BRUNO BARTOLETTI presso il MAGGIO MUSICALE FIORENTINO.

Cantano:

Gianni Schicchi: Rolando Panerai
Lauretta: Cecilia Gasdia
Zita: Anna Di Stasio
Rinuccio: Alberto Cupido
Betto di Signa: Leonardo Monreale
Simone: Italo Tajo
Amantio di Nicolao:  Franco Calabrese

IL TRITTICO PUCCINIANO: SUOR ANGELICA

 

Opera in 1 atto su Libretto di Giovacchino Forzano, musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma, 11 gennaio 1919, diretta da Gino Marinuzzi, con Gilda Dalla Rizza alla presenza del compositore che ha aggiunto l’aria “Senza mamma” che, in seguito, diverrà famosa.

 

Personaggi: 

Suor Angelica (soprano)
La zia principessa (contralto)
La badessa (mezzosoprano)
La suora zelatrice (mezzosoprano)
La maestra delle novizie (mezzosoprano)
Suor Genovieffa (soprano)
Suor Osmina (soprano)
Suor Dolcina (soprano)
La suora infermiera (mezzosoprano)
Le cercatrici (soprani, coro)
Le novizie (soprani, coro)
Le converse (soprano e mezzosoprano, coro)
Coro interno di donne, ragazzi e uomini

Seconda opera appartenente al “Trittico”, le interpreti della prima rappresentazione sono Geraldine Farrar, Flora Perini e Minnie Egener.

E’ composta solo da personaggi femminili, mentre le voci maschili si odono solo alla fine, nel coro di angeli che portano suor Angelica in Cielo.

Fra le tre opere che compongono il Trittico, è la preferita da Puccini.

Il 1º maggio 1917, a mezzo di lettera, Puccini scrive a Pietro Panichelli (un frate domenicano, suo amico) che – dopo averlo aiutato per le capacità religiose dei suoni di “Tosca” – lo potrebbe aiutare anche qui: «Scrivo un’opera claustrale o monacale. Mi occorrono dunque diverse parole latine ad hoc. La mia scienza non arriva fino… al cielo vostro».

Puccini è molto legato alla sorella Iginia, la quale è Madre Superiora nel Convento delle Monache Agostiniane della frazione di Vicopelago di Lucca.

Lì, Puccini esegue l’opera al pianoforte facendola ascoltare a lei e alle monache, che provano una viva commozione.

Per scrivere quest’opera, Puccini si avvale dell’aiuto della sorella che lo porta a conoscenza di come si svolge la vita nel convento; conoscenza che riporta fedelmente in questo suo lavoro tutto femminile.

 

Trama: 

Monastero presso Siena: fine del 1600.

Suor Angelica conduce la vita monastica da sette anni: la sua famiglia aristocratica gliel’ha imposta a causa dell’avere commesso un “peccato d’amore”.

Il bambino – appena nato – le viene strappato forzatamente e muore dopo cinque anni, ma Angelica non lo sa ancora.

La zia principessa, persona molto fredda e lontana, arriva in parlatorio per comunicare ad Angelica che NON l’ha raggiunta allo scopo di “perdonarla”, ma per pretendere la rinuncia della sua parte patrimoniale per darla in dote alla sorella minore Anna Viola che si sposerà abbastanza presto.

Angelica ricorda la sua vita passata e, con l’occasione, si rivolge alla zia chiedendo notizie del suo bambino in modo persistente.

Anaffettivamente, la zia le annuncia che, da oltre due anni, il piccolo è morto, a causa di una malattia seria.

Angelica tracolla a terra, mentre la vecchia zia, ipocritamente, rende nota una preghiera silenziosa, e si allontana dopo poco che ha ottenuto la firma di rinuncia, mentre, nella suora disperata, si consolida il conseguenziale desiderio acuto e folle di raggiungere il suo bambino, per essere con lui, per sempre, nella morte.

Per cui, durante la notte, Suor Angelica, esperta in erboristeria, si reca nell’orto del monastero dove raccoglie le erbe per preparare una bevanda letale.

Ne beve pochi sorsi, dopodiché è assalita dal terrore perché si rende conto di essere in peccato mortale, per cui si rivolge alla Vergine affinché le mostri un segno di grazia.

Il miracolo avviene: appare la Madonna che incoraggia il bambino ad andare fra le braccia stese della povera mamma in fin di vita che emette l’ultimo respiro.

 

Brani celebri: 

Ave Maria (coro)
Il principe Gualtiero vostro padre … Nel silenzio di quei raccoglimenti (duetto tra la Zia Principessa e Suor Angelica)
Senza mamma (romanza di Suor Angelica)
Ah, son dannata! (finale)

 

Incisioni più note con: 

Victoria de Los Ángeles, Renata Tebaldi, Katia Ricciarelli, Renata Scotto, Joan Sutherland, Lucia Popp, Mirella Freni, Amarilli Nizza, Barbara Frittoli.

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Dei tre atti unici del “Trittico”, Puccini ama “Suor Angelica” più degli altri due perché riguarda il particolare tipo di Amore della protagonista, ossia il grande sentimento di rinuncia e di sacrificio.

La caratteristica di Suor Angelica è di essere differente dalle altre protagoniste pucciniane che amano colpevolmente, altruisticamente o illusoriamente, ma riescono a gestire la propria vita.

Però lei E’ COSTRETTA a NON amare perché NON le è permesso, dal momento che è segregata in convento dove espia la “COLPA” commessa alcuni anni prima Per Avere Amato Veramente.

Purtroppo, secondo le regole dell’epoca, la donna era trattata come un oggetto e punita, NON tenendo conto del suo valore di DONNA sotto tanti aspetti: rischiare la propria vita per crearne un’altra, prendere su di sé il fardello della famiglia, …

Il dolore di Suor Angelica è il dolore di una giovane madre che ha perso il suo bambino da ben due anni e non sa niente perché la zia Principessa “comanda”, “dispone”.

Infatti, la zia Principessa non è empatica e ha il grande desiderio di “risolvere la rinuncia ai beni” da parte di Angelica in favore della sorella Anna Viola: usanze del tempo, d’accordo, ma che definiscono UNA GRAVE OFFESA ALLA DIGNITA’ PERSONALE di Angelica e, chiaramente – di riflesso – della DONNA, in genere.

Oggi, si può sporgere denuncia per avere la tutela da parte della Legge, per fortuna.

Tornando ad Angelica: CHI la tiene in vita è la sua personalità materna con il relativo istinto-amore, fino allo scattare della “molla” che – a causa di quanto le viene rivelato dalla zia Principessa – la fa riflettere sulla fine del suo bambino e le fa scatenare la decisione di raggiungerlo, in Paradiso.

Infatti, poco prima di morire, la straziata Angelica ha l’esaltazione mistica secondo la quale si esprime così:

. La grazia è discesa, dal cielo – già tutta già tutta m’accende – Risplende! Risplende! Risplende!

. . . . .

. Addio, buone sorelle, addio, addio! – Io vi lascio per sempre. – M’ha chiamata mio figlio!

. . . . .

. Addio, chiesetta! In te quanto ho pregato! – Buona accoglievi preghiere e pianti. – È discesa la grazia benedetta! – Muoio per lui e in ciel lo rivedrò!

 

Angelica NON E’ UNA PERDENTE perché vivrà sempre col suo bambino.

Opera davvero delicata, possiede l’intermezzo che, assieme a quello di Manon Lescaut, si trova fra i più belli composti da Giacomo Puccini.

Battuto al computer da Lauretta

Il soprano JOAN SUTHERLAND canta “AVE MARIA e CORO”:

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Il soprano RENATA TEBALDI e il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO cantano il duetto “IL PRINCIPE GUALTIERO, VOSTRO PADRE … NEL SILENZIO DI QUEI RACCOGLIMENTI”:

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HERBERT VON KARAJAN dirige l’INTERMEZZO:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “SENZA MAMMA”:

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Il soprano MIRELLA FRENI e coro cantano “AH! SON DANNATA” e FINALE:

 

IL TRITTICO PUCCINIANO: IL TABARRO

 

Opera in 1 atto su libretto di Giuseppe Adami (tratto da “La houppelande” di Didier Gold), musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi” di Roma, 11 gennaio 1919

 

Personaggi: 

Michele, padrone del barcone, 50 anni (baritono)
Luigi, scaricatore, 20 anni (tenore)
Il “Tinca”, scaricatore, 35 anni (tenore)
Il “Talpa”, scaricatore, 55 anni (basso)
Giorgetta, moglie di Michele, 25 anni (soprano)
La Frugola, moglie del “Talpa”, 50 anni (mezzosoprano)
Un venditore di canzonette (tenore)
Due amanti (soprano, tenore)
Scaricatori, Midinettes (coro)

Prima opera appartenente al “Trittico”, gli interpreti della prima rappresentazione sono il tenore Giulio Crimi nel ruolo di Luigi, Claudia Muzio come Giorgetta, Luigi Montesanto come Michele ed Angelo Badà come Tinca.

«Tutto è conteso, tutto ci è rapito.
La giornata è già buia alla mattina!
Hai ben ragione: meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena»
(Luigi)

 

Trama: 

Epoca: 1910 circa, nei bassifondi di Parigi.

Il tema che apre l’opera è associato alla Senna.
Lo scenario vede scaricatori e popolane che vivono in riva al fiume.

L’opera è verista, e la musica è seriamente drammatica, con assenza di melodie orecchiabili.

E’ la più scura delle opere di Puccini e, psicologicamente, si basa sulla dimensione temporale che interessa il fiume che scorre, il passare del tempo, le immagini del tramonto e l’autunno.

Presso la riva della Senna, è ormeggiato il vecchio barcone di Michele, il marito di Giorgetta, donna più giovane di lui di venticinque anni.

Michele intuisce che il suo legame matrimoniale sta traballando e sospetta che la moglie, attraverso il suo comportamento sempre più inquieto e scostante, lo inganni con un altro uomo.

Michele ha ragione: Giorgetta corrisponde le attenzioni di Luigi, uno scaricatore giovane di vent’anni che la raggiunge, però, ogni sera ad opera del segnale di un fiammifero acceso, nell’oscurità.

Giorgetta dice: “Io capisco una musica sola: quella che fa danzare”, ed è la stessa musica che apre il suo appassionato duetto d’amore con Luigi.

A poco a poco, Michele si disillude, ma non si arrende e stimola la moglie per ridestarle l’antica passione.  Le ricorda il loro bimbo vissuto troppo poco, quando si amavano: erano felici quando Giorgetta e il bambino cercavano rifugio nel suo tabarro.

Michele prova a stringerla fra le braccia, ma Giorgetta – adducendo una scusa – si ritrae e torna nella sua stanza, aspettando che il marito si assopisca: quindi, lei incontrerà Luigi.

Ma Michele NON scende nella stanza del barcone, preso a domandarsi chi possa essere il suo rivale, preda del desiderio della vendetta e si accende la pipa.

Credendo che il segnale luminoso sia del fiammifero di Giorgetta, Luigi sale silenziosamente nel barcone, credendo di trovarci Giorgetta, ma Michele gli è sopra, l’immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo afferra per la gola, lo obbliga a confessare il suo sentimento e lo strangola.
Dopodiché, avvolge il corpo nel tabarro.

Giorgetta torna in coperta a causa di un presentimento, ma Michele – che aveva agito trasportato dall’ira – apre il tabarro lasciando cadere il corpo esanime di Luigi.

 

Brani famosi: 

Hai ben ragione! meglio non pensare (“tirata” di Luigi)
È ben altro il mio sogno (romanza di Giorgetta)
Nulla! Silenzio! (romanza di Michele, nella prima versione: Scorri, fiume eterno)

 

Incisioni più note con: 

Tito Gobbi, Margaret Mas, Giacinto Prandelli.
Robert Merrill, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco.
Sherrill Milnes, Leontyne Price, Plácido Domingo.
Ingvar Wixell, Renata Scotto, Plácido Domingo.
Juan Pons, Mirella Freni, Giuseppe Giacomini.
Piero Cappuccilli, Sylvia Sass, Nicola Martinucci.
Juan Pons, Stephanie Friede, José Cura.
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Rubens Pelizzari.

 

 

 


LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Probabilmente, Puccini ama la Francia, in particolare, Parigi: “La bohème”, “Il Tabarro”; “Manon Lescaut”, “La Rondine” (fuori Parigi), mentre il porto dal quale Manon salpa è Le Havre, nella parte Nord di tale Stato).

Per Puccini, l’ambiente è il vero protagonista; il suo interesse è la situazione psicologica che il fiume crea sui personaggi: “Quello che mi interessa è che la signora Senna mi diventi la vera protagonista del dramma“.

Il Tabarro: è un’opera attuale, non molto orecchiabile, tenebrosa, con cose negative che succedono nella vita, ha una vicenda violenta che può essere presente anche ai giorni nostri, nonostante la “fortuna” economica (“boom”) della seconda metà del 1900 che ha dominato la società umana.

Opera “scura”: sicuramente, la più scura musicata da Puccini, al contrario di Butterfly, Turandot, La bohème, ….

Disperazione, carenza finanziaria, miseria e stanchezza morale: quest’opera potrebbe sembrare una specie di denuncia al potere autoritario per mezzo di un’eventuale immagine della corrente politica della Sinistra vista da parecchi; infatti, la vita di tutti questi uomini è tormentata.

Si tratta di povera gente frustrata, triste che può essere capace di buoni sentimenti, ma che è insoddisfatta, per cui si aggrappa alla “consolazione” alcolica per “dimenticare”, per avere una specie di “gratificazione morale”, ossia uscire dalla solita vita piena di guai, preoccupazioni.
Situazioni, specialmente, provocate, a loro volta, da situazioni infelici e da individui psicopatici narcisisti o affetti da disturbo paranoide di personalità, …

Osservano regole legali obsolete, mentre vige la vittoria del più forte, senza tenere conto delle ragioni dei più deboli, a differenza della nostra epoca, in cui, ai problemi morali, si ovvia attraverso la terribile droga perché si è approfittato troppo dei Diritti.

Il Tabarro: un’opera a cui Puccini ha prestato molta attenzione, possedendo una certa sensibilità verso la sofferenza umana.

Sensibilità, la sua, che è quasi di tipo femminile: presente verso tutti, la si nota anche in altre opere come Manon-Des Grieux, La bohème, (tutti: IV atto, in particolare), Tosca (Tosca-Cavaradossi), Madama Butterfly (Cio-Cio-San), Suor Angelica (Angelica), Turandot (Liu’), La fanciulla del West (Minnie), La Rondine (Magda e Ruggero).

All’inizio dell’opera, si odono le voci degli scaricatori che lavorano e che, poi, riceveranno il vino offerto da Giorgetta.

A quel tempo, i Sindacati non avevano ancora sviluppato la loro forza attraverso l’adesione della Classe Lavoratrice e il brindisi degli scaricatori evidenzia lo stato emotivo non allegro dei personaggi.

Per Il Tinca, infatti: “in questo vino affogo i tristi pensieri”. – Ossia, per lui, il vino, “è l’ultima spiaggia”.

Un organetto stonato accompagna gli scaricatori che ballano: loro “si divertono così”, da povera gente.

 

Michele: 

Il barcone di Michele è quello tipico francese come ce ne sono stati tanti: vecchio modello, ma caratteristico.

Michele dovrebbe essere l’unico che “sta bene,” economicamente, ma è tormentato a causa della morte del figlioletto e del sospetto tradimento della moglie, oltre dall’ambiente generale non sereno.
(Chiaramente, non si rende conto che la differenza d’età fra lui e Giorgetta può incrinare i buoni rapporti: oggi, sarebbe criticato come “pseudo-pedofilo”).

L’epilogo di quest’opera è l’omicidio-dramma della gelosia generato dal tradimento di Giorgetta verso il marito: l’assassino-Michele ha la vita peggiorata e si ritroverà solo ad affrontare i suoi guai giudiziari.

 

Giorgetta: 

Giorgetta: sposata a Michele, un uomo che potrebbe essere suo padre, si ritrova fra le braccia di Luigi, un uomo più giovane di lei di cinque anni, e presso il quale cerca soddisfazione sessuale.

Luigi, dipendente da lei, forse, soffre di dipendenza mammista-mammona (oppure sessuale), mettendo in pratica, inconsciamente, il “complesso di Edipo”.

Riguardo al futuro con Giorgetta: il loro è solo puro fantasticare, senza sicurezza.

Con la Frugola, Giorgetta canta richiamando alla mente qualcosa che allontana dalla concretezza, mentre la Frugola sostiene che l’attesa della morte porta serenità (“e aspettar così la morte, c’è rimedio ad ogni male”): è una sua filosofia personale.

Giorgetta ricorda il periodo bello ed importante della sua vita trascorso nel quartiere di Belleville: Puccini entusiasma in modo armonioso sentimentale, caloroso, travolgente attraverso la melodia più bella di tutta l’opera perché questo ricordo dà sicurezza alla donna, in quanto rifugio mentale spensierato, contrariamente all’ossessione dovuta alla paura di venire scoperti, lei e Luigi.

Poco dopo, si ritrova con Luigi, ossia con “l’evasione-via di fuga” senza sentimento celeste interiore e ricorda la canzone della Frugola: “La liberazione che arriverà”.

 

Luigi: 

Mentre il Tinca brinda, Luigi esprime brevemente che il dolore e l’inferno che vivono tutti i giorni sulla Terra, brevissima serenità nessuna salvezza: “Hai ben ragione”, ossia il suo inno alla disperazione, “…per noi la vita non ha più valore ed ogni gioia si converte in pena…l’ora dell’amore va rubata…va rubata tra spasimi e paure…tutto è conteso tutto ci è rapito…la giornata è già buia alla mattina”.

Tali parole sono significative.

La risposta gli arriva dal Tinca che lo incoraggia a bere.

 

Il Tinca: 

Nella scena del brindisi vediamo che Il Tinca “risolve” col vino e suggerisce a Luigi di bere per ovviare alla tristezza e all’insoddisfazione.

 

La Frugola: 

La Frugola è la moglie del Tinca, secondo la quale, “tutto ha la misura di un momento” ma, per lei, donna dall’umore triste, tutto è monotono: rivede la Senna, lo scarico e – chiaramente – le torna la depressione.

La Frugola che mostra il suo pettine e i suoi oggetti in modo frenetico e delirante, che parla del suo gatto e le cose che raccatta, parlando di morte come “la liberazione che arriverà” (sorta di filosofia): il suo modo di pensare è dovuto all’educazione ricevuta nell’ambiente in cui è vissuta, ossia la famiglia e il fuori famiglia …

Opera verista tarda, da parte di un Puccini diverso dalle sue solite melodie orecchiabili, che intriga e affascina per via del suo dramma di violenza e morte: una storia cruda.

IL TABARRO è un’opera-capolavoro di umanità e Psicologia, ambientato nella società umana del 1910, ma sempre fortemente attuale: oggi, sono cambiate alcune cose, ma la Storia si ripete attraverso gli eventi.

E’ naturale provare sensibilità e solidarietà verso i personaggi-povera gente.

La musica, sin dall’inizio, è teatrale ed esprime l’anima dei personaggi dell’opera: si deduce chiaramente che il non più romantico-ma realista Puccini sfrutta la Psicanalisi che si afferma nel periodo di composizione de “Il Tabarro”; cosa che influisce sul teatro lirico e sull’interiorità dei personaggi, evidenziando le sensazioni, gli stati d’animo che rasentano “il nevrotico” e “lo psicotico, l’alienato”, specialmente dopo qualcosa di inguaribile che viene creato nel modo di vivere durante il Primo Conflitto Mondiale.

E’ importante notare che, sotto l’aspetto psicologico, in quest’opera in un solo atto, si nota lo sconvolgente e straziato ritratto dell’uomo odierno ed evoluto, con le sue paure e le sue psicosi che causano alterazioni nella percezione o nell’interpretazione della realtà: cose che lo fanno sentire prigioniero di un nemico invisibile.

Puccini, qui, precorre i tempi.

Puccini: un uomo sottile e molto profondo che SA TRASMETTERE.

Battuto al computer da Lauretta

Il tenore JONAS KAUFMANN canta HAI BEN RAGIONE!” MEGLIO NON PENSARE”:  https://youtu.be/YWPUBD4wH9A

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Il soprano MIRELLA FRENI e il tenore GIUSEPPE GIACOMINI cantano “È BEN ALTRO IL MIO SOGNO”:  https://youtu.be/qzIde7YR7Ho

 

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Il baritono PIERO CAPPUCCILI canta la romanza di Michele “NULLA! SILENZIO!” (nella prima versione, era “Scorri, fiume eterno”) :

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: LA TRAVIATA

 

Opera in tre atti e quattro quadri su libretto di Francesco Maria Piave tratto da “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, che lo stesso autore ha tratto dal suo precedente omonimo romanzo.

Prima rappresentazione: Teatro “La Fenice” di Venezia, 6 marzo 1853

Esito: insuccesso.

 

Personaggi:

Violetta Valéry (soprano)
Flora Bervoix, sua amica (mezzosoprano)
Annina, serva di Violetta (soprano)
Alfredo Germont (tenore)
Giorgio Germont, suo padre (baritono)
Gastone, Visconte di Létorières (tenore)
Il barone Douphol (baritono)
Il marchese d’Obigny (basso)
Il dottor Grenvil (basso)
Giuseppe, servo di Violetta (tenore)
Un domestico di Flora (basso)
Un commissionario (basso)

Servi e signori amici di Violetta e Flora, piccadori e mattadori, zingare, servi di Violetta e Flora, maschere

 

Trama: 

Atto I

La casa di Violetta Valèry, in Parigi, è elegante: nella sala di ricevimento, attende gli invitati fra cui Flora Bervoix e il Visconte Gastone de Letorières, il quale le presenta Alfredo Germont che la stima e che, durante la sua malattia di fresca data, aveva chiesto molte volte notizie circa la sua salute.

Per cui, vista la gentilezza di Alfredo, Violetta è risentita verso il Barone Douphol, suo protettore, che non ha avuto simile attenzione verso di lei, risentimento che provoca l’irritazione del  Barone stesso.

Gastone lancia la proposta di un brindisi in onore del Barone, avendone un rifiuto come risposta.

L’idea l’assorbe Violetta, Alfredo l’accetta: a tale brindisi, si aggiungono gli altri invitati  (“Libiamo ne’ lieti calici”).

Violetta conduce una vita allegra per reagire alla salute malferma e invita gli ospiti nella sala accanto; si sente male e si guarda nello specchio che riflette la bianchezza del suo volto, mentre si accorge di Alfredo, rimasto ad attenderla e che le confessa di amarla.

Violetta, incuriosita, gli chiede da quanto tempo e Alfredo risponde che l’ama da un anno (“Un dì, felice eterea”).

Violetta non è abituata all’amore vero e gli propone un rapporto d’amiciza, gli porge un fiore che Alfredo, felice,  le riporterà il giorno dopo.

Gli ospiti se ne vanno e Violetta è meravigliata per avere subito un sussulto interiore dal comportamento umano di Alfredo e, perplessa, è determinata a continuare a vivere come una cortigiana (“Sempre libera”).

Atto II – Quadro I

Da tre mesi, Alfredo e Violetta sono inseparabili, nella casa di villeggiatura della famiglia Germont.

Alfredo è felice (“De’ miei bollenti spiriti”) e inesperto dei problemi che la vita può presentare e, dopo il ritorno di Annina da Parigi (la domestica di Violetta), costei gli risponde che è stata in città per vendere i beni della padrona, allo scopo di sopperire alle loro spese.

Alfredo si sente in colpa e ritiene di dover pagare tali spese attraverso la sua famiglia (“Oh mio rimorso! Oh infame!”), per cui parte per Parigi.

Giuseppe, il cameriere di Violetta, le consegna  una lettera da parte di Flora che la  invita alla festa che terrà la sera stessa, dopodiché le annuncia la visita di un signore.

Non è  il suo avvocato, ma Giorgio Germont, il padre di Alfredo, dal quale riceve l’accusa di voler privare Alfredo delle proprie ricchezze.

Violetta gli esibisce i documenti che comprovano la vendita dei suoi averi per mantenere amante e spese di casa; Germont capisce che la ragazza è onesta e, pur rendendosi conto della sincerità del sentimento di Violetta per Alfredo, le chiede il “sacrificio” di lasciare Alfredo per salvare i suoi figli dalla mentalità conformista, in particolare, della figlia (“Pura siccome un angelo”).

Violetta NON potrà MAI sposare Alfredo e riconosce che Germont ha ragione dicendole che               quando il tempo sarà passato, Alfredo si stancherà di lei (“Un dì, quando le veneri”), per cui, stremata, promette di lasciare suo figlio.

A questo punto, Violetta scrive al barone Douphol e ad Alfredo per portare a conoscenza della decisione presa.

Violetta si allontana da Alfredo facendosi giurare amore da lui (“Amami Alfredo”).

Poi,  fugge.

Ricevuto la lettera di Violetta “Alfredo, al giungervi di questo foglio…” , capisce che Violetta lo ha lasciato.

Notando l’invito di Flora, capisce che Violetta è alla festa, per cui, adirato, vi si reca anche lui, nonostante il padre lo preghi di non farlo (“Di Provenza il mar, il suol”).
Quadro II

Alla festa, sanno della divisione fra Violetta e Alfredo.

Alfredo rivede Violetta accompagnata dal Barone Douphol, mantiene un contegno indifferente e vince costantemente.

Giocando, insulta indirettamente Violetta, il Barone si irrita fortemente e lo sfida ad una partita a carte perdendo, mentre Alfredo vince una somma forte.

Violetta prega Alfredo di andarsene subito perché il Barone potrebbe sfidarlo a duello, ma Alfredo se ne andrà alla condizione che lei lo segua.

Violetta gli risponde che ha giurato al Barone di non rivedere più Alfredo e di amare lo stesso Barone.

Violetta, disperata, vede che Alfredo dichiara che Violetta ha sacrificato tutto per lui e che, ora, sono testimoni che lui la ripaga.

Violetta sviene, arriva il padre che lo rimprovera, il Barone sfida a duello Alfredo.

 

Atto III

La camera da letto di Violetta.

Il preludio riprende le note dei violini del preludio al primo atto.

Violetta rilegge la lettera ricevuta da Giorgio Germont per mezzo della quale la informa dell’arrivo imminente di Alfredo.

Violetta piange di felicità, ma è cosciente che è troppo tardi (“Addio, del passato bei sogni ridenti”) e teme che il suo amato arrivi tardi per poterla trovare ancora in vita.

Infatti, il Dottor Grenvil porta a conoscenza Annina che Violetta è in fin di vita (“La tisi non le accorda che poche ore”).

Inoltre, nelle strade, si festeggia il Carnevale: un fatto allegro contrastante con il dramma di Violetta.

Arriva Alfredo che le promette di portarla in un luogo affinché si ristabilisca (“Parigi, o cara”), mentre Giorgio Germont, esprime il suo rimorso e dichiara di considerarla una propria figlia.

Violetta sospira: “Troppo tardi”; lascia ad Alfredo una miniatura col proprio ritratto, suo ricordo anche se incontrerà un’altra.

Per un momento Violetta sembra riacquistare la vita, ma subito cade morta.

 

Brani noti: 

Atto I

Preludio
Libiamo ne’ lieti calici – Violetta, Alfredo e coro
Un dì felice, eterea – Alfredo e Violetta
È strano! È strano… Sempre libera degg’io – Violetta

Atto II

De’ miei bollenti spiriti – Alfredo
Pura siccome un angelo – Germont e Violetta
Che fai? / Nulla / Scrivevi?… Amami Alfredo – Alfredo e Violetta
Di Provenza il mar, il suol, – Germont
Di Madride noi siamo i mattadori- Coro
Mi chiamaste? Che bramate? – Alfredo e Violetta
Qui testimon vi chiamo
Finale

Atto III

Teneste la promessa – Violetta
Addio, del passato bei sogni ridenti – Violetta
Parigi, o cara – Alfredo e Violetta
Gran Dio! Morir sì giovane – Violetta

 

Incisioni note:

Mercedes Capsir, Lionel Cecil, Carlo Galeffi Lorenzo Molajoli Columbia
Anna Rosza, Alessandro Ziliani, Luigi Borgonovo Carlo Sabajno La voce del padrone
Adriana Guerrini, Luigi Infantino, Paolo Silveri Vincenzo Bellezza Columbia
Licia Albanese, Jan Peerce, Robert Merrill Arturo Toscanini RCA
Maria Callas, Francesco Albanese, Ugo Savarese Gabriele Santini Cetra
Renata Tebaldi, Gianni Poggi, Aldo Protti Francesco Molinari-Pradelli Decca
Antonietta Stella, Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi Tullio Serafin Columbia
Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Ettore Bastianini Carlo Maria Giulini EMI
Rosanna Carteri, Cesare Valletti, Leonard Warren Pierre Monteux RCA
Maria Callas, Alfredo Kraus, Mario Sereni Franco Ghione EMI
Victoria de los Ángeles, Carlo Del Monte, Mario Sereni Tullio Serafin His Master’s Voice
Anna Moffo, Richard Tucker, Robert Merrill Fernando Previtali RCA
Joan Sutherland, Carlo Bergonzi, Robert Merrill John Pritchard Decca
Renata Scotto, Gianni Raimondi, Ettore Bastianini Antonino Votto Deutsche Grammophon
Montserrat Caballé, Carlo Bergonzi, Sherrill Milnes Georges Prêtre RCA
Pilar Lorengar, Giacomo Aragall, Dietrich Fischer-Dieskau Lorin Maazel Decca
Beverly Sills, Nicolai Gedda, Rolando Panerai Aldo Ceccato EMI
Ileana Cotrubaș, Plácido Domingo, Sherrill Milnes Carlos Kleiber Deutsche Grammophon
Joan Sutherland, Luciano Pavarotti, Matteo Manuguerra Richard Bonynge Decca
Renata Scotto, Alfredo Kraus, Renato Bruson Riccardo Muti EMI
Cheryl Studer, Luciano Pavarotti, Juan Pons James Levine Deutsche Grammophon
Kiri Te Kanawa, Alfredo Kraus, Dmitrij Hvorostovskij Zubin Mehta Philips
Edita Gruberová, Neil Shicoff, Giorgio Zancanaro Carlo Rizzi Teldec
Cecilia Gasdia, Peter Dvorsky, Giorgio Zancanaro Carlos Kleiber Maggio Live
Anna Netrebko, Rolando Villazón, Thomas Hampson Carlo Rizzi Deutsche Grammophon

 

Trasposizioni televisive e cinematografiche – tra i diversi titoli che ripropongono l’opera ricordiamo:   

Margherita Gauthier (1936) diretto da George Cukor

La traviata (1968) diretto da Mario Lanfranchi, con Anna Moffo, Franco Bonisolli, Gino Bechi ed il coro e l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Giuseppe Patanè

La traviata (1983) diretto da Franco Zeffirelli – James Levine/Teresa Stratas/Plácido Domingo/Cornell MacNeil/Axelle Gall/Paolo Barbacini/The Metropolitan Opera Orchestra and Chorus, Deutsche Grammophon DVD – Grammy Award for Best Opera Recording 1984

La traviata – Georg Solti/Angela Gheorghiu/Frank Lopardo/Leo Nucci, 1994 Decca

La traviata a Paris (2000) direttore Zubin Mehta – Eteri Gvazava/José Cura/Rolando Panerai

La traviata (Salisburgo 2005) – Carlo Rizzi/Anna Netrebko/Rolando Villazón/WPO, regia Willy Decker, Deutsche Grammophon

La traviata – James Conlon/Renée Fleming/Rolando Villazón, 2006 Decca

Violetta (2011) regia di Antonio Frazzi

 

Tra i film ispirati all’opera ricordiamo: 

Mi permette, babbo! (1956) diretto da Mario Bonnard
Croce e delizia (1995) diretto da Luciano De Crescenzo
Moulin Rouge! (2001) diretto da Baz Luhrmann

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:

TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario, presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena, e di Violetta, tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

 

Infatti, “La Traviata” è un dramma fortemente psicologico che consta di personaggi complessi e descrive emotivamente i particolari della società umana del tempo.

“La Traviata” viene composta, in parte, sul lago di Como, a Cadenabbia, nella villa degli editori Ricordi.

L’opera si ispira al romanzo “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio che, a quanto pare, a sua volta, si  ispira alla grande passione giovanile avuta con Alphonsine Plessis (Marie Duplessis), prostituta d’alto bordo, deceduta a 23 anni per tisi.

Qualcuno la definisce “consolatrice intellettuale” di celebri artisti come Alfred De Musset, Franz Liszt e lo stesso Alexandre Dumas.

La prima rappresentazione de “La Traviata” non consegue successo: la causa probabile è da imputare ad interpreti carenti (qui, fra l’altro, i cantanti devono essere dotati di grandi capacità di attori) e al soggetto ritenuto scandaloso per l’epoca ma, l’anno successivo, al Teatro “San Benedetto” di Venezia, consegue il successo per merito della versione rielaborata, avendo altri interpreti (come Maria Spezia Aldighieri) e la direzione di Verdi.

L’opera riscuote un esito favorevolissimo.

Opera rivoluzionaria e scabrosa, è voluta fortemente da Verdi – “un moderno” – che ha nuovi interessi verso la forma del melodramma indirizzato alla mentalità del suo tempo, considerando pregiudizi e perbenismi di una società umana che Verdi stesso vive a causa del suo rapporto con Giuseppina Strepponi (donna sposata e separata dal marito).

Così, Verdi scrive al librettista de “La Traviata”:

< Ti prego dunque di adoperarti affinché questo soggetto sia il più possibile originale e accattivante nei confronti di un pubblico sempre teso a cercare in argomenti inusuali un confine alla propria moralità»

(Giuseppe Verdi nella lettera a Francesco Maria Piave sulla trama della Traviata).

Violetta è una cortigiana di lusso ma, essendo l’opera ispirata alla vita di Alphonsine Plessis (Marie Duplessis) e venendo a conoscenza del suo stato di persona orfana e sola al mondo, spinta dalla necessità di provvedere alla sua vita, il valido motivo è riferito alla sfortuna di un povero essere, per cui è opportuno citare che Shakespeare DIFENDE la donna in generale a mezzo dell’inchino che si deve tributare ad una DONNA, chiunque essa sia.

Verdi è colpito dalle emozioni e dalle sventure di questa giovanissima eroina-cortigiana e ne rimane toccato.

Verdi comincia ad esprimere il suo interiore attraverso il preludio con musica lontana dallo stile sonante e tonante dei precedenti melodrammi storici e in costume.

E’ importantissimo citare che è stato chiesto a Rossini che cosa pensa de “La Traviata” e che lo stesso ha risposto: “UN GRANDE VALZER”.

In tutto il primo atto, segue la dimostrazione festosa del trovarsi in mezzo al trascorrere della vita dove si notano i trilli e la gaiezza al contrario della tristezza, presente nell’ultimo.

Qui, si denota il carattere frivolo di Violetta che, pur presentandosi poetico, si mostra leggero e incosciente della possibilità che possano succedere cose sfavorevoli

Infatti, si brinda al vino, all’amore e alle gioie passeggere; sono solamente tutti amici di bisboccia.

Ma un malore di Violetta disturba l’allegria per cui, sentendosi “… sola, abbandonata in questo popoloso deserto che appellano Parigi …” – resta colpita dalla premura sincera del ‘puro’ Alfredo a cui non importa che Violetta sia una cortigiana: il ‘puro’ Alfredo che ogni giorno si informava sulla sua salute e che lei, durante il brindisi, scopre “poeta”, capace di rinunciare all’amicizia per qualcosa di più vero:

< Di quell’amor, quell’amor ch’è palpito dell’universo, dell’universo intero, misterioso, misterioso altero, croce, croce e delizia, croce e delizia, delizia al cor.

Il secondo atto, diviso in due quadri, vede vari eventi incisivi.

Il primo quadro, è ambientato nella  casa di campagna dei Germont in cui Violetta e Alfredo si sono trasferiti e in cui Germont padre incontra Violetta che porta la ragazza a lasciare Alfredo: si noti l’esplosivo “Amami Alfredo”.

Il secondo quadro si svolge a Parigi, e mostra un’altra festa in maschera in casa di Flora, durante la quale Alfredo offende pubblicamente Violetta perché la donna – seppur distrutta – gli conferma che ama il Barone Douphol, recitando la parte “della mantenuta”, per cui Alfredo le butta una borsa contenente denaro.

Il terzo atto vive durante il Carnevale; per Violetta ritorna la nostalgia dell’amore  impossibile perché Alfredo ritorna dopo che il padre, pentito, gli rivela il sacrificio della donna che è consumata dalla tisi.

Verdi ha musicato tanti padri-baritono: Nabucco, Miller, Rigoletto, Simon Boccanegra, Amonasro, …

Giorgio Germont è uno di questi, la sua presenza è breve, la sua aria vuole essere consolatrice per il figlio (“Di Provenza il mar, il suol”), ma è un personaggio incisivo la cui natura umana si esprime alla fine, rendendosi conto del male commesso (“Ah mal cauto vegliardo”) correndo da Violetta per accettarla come sposa di suo figlio.

Massimo Mila (critico musicale e musicologo), concludendo la morte di Violetta: “Un ritratto indelebile è stato impresso nella nostra memoria in una delle più grandi realizzazioni del teatro musicale, quasi morisse un eroe beethoveniano o un Sigfrido”.

In quest’opera, IL VINCENTE E’ L’AMORE.

 

Violetta:

Una donna giovane che riesce a vivere perché qualcuno provvede a lei.

Una donna che “VUOLE” vivere perché, fino a quando non ha trovato questo “QUALCUNO”,  ha avuto una vita povera.

Si “attacca” alla vita perché ha paura del passato, dove ha incontrato traumi: passato che l’aspetta sempre al varco per ritornare a darle sofferenza.

Conoscendo Alfredo, finalmente, prova la gioia di essere ricambiata nell’amore sentimentale, “si illude” di sposarlo, ma Papà Germont invita la ragazza a troncare la relazione a causa del conformismo e del perbenismo che circolano nella mentalità ristretta della società borghese del tempo.

Questo atto denota l’egoismo e il cinismo di Giorgio Germont che NON si rende conto che spezza la vita di Violetta che ama davvero suo figlio e che spera di potere avere una certa tranquillità emotiva e non ricadere nella vita già condotta.

La donna è disperata e si rende conto che non c’è via di scampo, per lei, ma accetta quanto “le impone” Giorgio Germont che, comunque, prova un po’ di empatia, capisce che Violetta NON è una delle solite cortigiane calcolatrici, rimanendone toccato: Violetta salverà l’immagine di Alfredo e, di conseguenza, l’immagine della sorella “pura siccome un angelo” e della famiglia Germont, arrivando ad annullarsi attraverso “Qual figlia m’abbracciate, forte così sarò”.

Violetta ritornerà dal suo antico protettore, ma si ritroverà sola, fino al momento che Alfredo tornerà dopo che il padre, pentito, gli ha spiegato il motivo del comportamento della ragazza che, però, lascierà questa Terra.

 

Alfredo:  

“Un dì, felice, eterea, mi balenaste innante”: Alfredo, inconsciamente, aveva visto in Violetta ciò che nessun altro è riuscito a cogliere, a percepire: ossia la bellezza di un’anima che soffre senza piangere.
Per cui, trovandosi a vivere in campagna con Violetta, Alfredo, inesperto e ingenuo della vita, pur essendo stato diseredato dal padre, esprime la sua felicità, come se vivesse un bellissimo sogno (“dell’universo immemore io vivo quasi in ciel”); sogno che sarà distrutto dall’arrivo del padre.
Violetta lo lascierà, ma il suo spirito “vivrà” sempre in tale campagna: “Sarò là, tra quei fior presso a te, sempre”, a differenza della vita parigina dove “è una cortigiana”.

Alfredo non si rende conto di quanto Violetta gli comunica verbalmente, ma la lettera di Violetta che gli giungerà gli chiarisce che torna dal Barone Douphol.

Giorgio Germont consola il figlio ricordandogli la Provenza dov’è nato, anche se la cosa sembra inutile.

 

Giorgio Germont:

Come la società del suo tempo, è schiavo, mentalmente, della REALTA’ DELLE REGOLE SOCIALI.

Trovando Violetta sola, da essere spietato, approfitta della sua sensibilità che, inconsciamente, “cerca” la protezione del proprio padre anche nello stesso Giorgio Germont.

Il quale, Giorgio Germont, la fa sentire “sporca” e “colpevole” dopo che lei ha toccato con mano l’Amore: “Bella voi siete … e giovane”.

Pur avendo saputo che Violetta sta vendendo i suoi averi per potere mantenere lei e Alfredo, e pur rendendosi conto che lei non ha interessi verso il denaro, Germont si domanda il motivo del suo passato, però i problemi di famiglia gli suggeriscono che, per non rovinare la reputazione dei suoi figli, “è giusto” attuare “il sacrifizio” della rinuncia dal “marchio d’infamia”

Violetta è distrutta, ma Germont, psicologicamente viscido: “Siate di mia famiglia l’angiol consolatore”.

Ma Germont non è proprio proprio viscido come può sembrare e “si riscatta” perché, nella II parte del II atto, difende Violetta offesa da Alfredo, mentre nel IV atto, si pente della sua azione raccontando tutto ad Alfredo – e accompagnandolo – affinché possa abbracciare la sua amata prima che muoia.

 

UN’OPERA-CAPOLAVORO DI REALTA’ UMANA E DI ALTA PSICOLOGIA.


Battuto al computer da Lauretta 

 

 

ARTURO TOSCANINI dirige il PRELUDIO ALL’ATTO I:

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Il tenore FRANCO BONISOLLI, il soprano ANNA MOFFO e il coro cantano “LIBIAMO NE’ LIETI CALICI”:

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Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “UN DI’, FELICE, ETEREA”:

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Il soprano ANNA MOFFO canta “È STRANO! È STRANO … SEMPRE LIBERA DEGG’IO”:

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Il tenore FRANCO BONISOLLI canta “DE’ MIEI BOLLENTI SPIRITI”:

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Il soprano KATIA RICCIARELLI e il baritono RENATO BRUSON cantano “MADAMIGELLA VALERY? … PURA SICCOME UN ANGELO”:

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU e il tenore LUCA CANONICI cantano “AMAMI, ALFREDO!”:

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Il baritono RENATO BRUSON canta “DI PROVENZA IL MAR, IL SUOL”:

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Il coro canta la danza “DI MADRIDE NOI SIAMO I MATTADORI”:

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Danza e coro “NOI SIAMO ZINGARELLE”:

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Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “DI SPREZZO DEGNO … ALFREDO, ALFREDO, DI QUESTO CORE”:

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ARTURO TOSCANINI dirige il PRELUDIO ALL’ATTO III:

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Il soprano PILAR LORENGAR canta “TENESTE LA PROMESSA … ADDIO DEL PASSATO”:

.

Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “PARIGI, O CARA”:

.

Il soprano ANGELA GHEORGHIOU canta “AH! GRAN DIO! MORIR SI’ GIOVANE”:

 

 

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: IL TROVATORE

 

Opera in 4 parti di Salvadore Cammarano (con revisione di Leone Emanuele Bardare)
da: “El Trobador” di Antonio García Gutiérrez

Prima rappresentazione: Teatro “Apollo” di Roma, 19 gennaio 1853

 

Personaggi:

Il conte di Luna, giovane gentiluomo aragonese (baritono)
Leonora, dama di compagnia della principessa d’Aragona (soprano)
Azucena, zingara della Biscaglia (mezzosoprano o contralto)
Manrico, il trovatore, ufficiale del conte Urgel e presunto figlio di Azucena (tenore)
Ferrando, capitano degli armati del conte di Luna (basso)
Ines, ancella di Leonora (soprano)
Ruiz, soldato al seguito di Manrico, messaggero (tenore)
Un vecchio zingaro (basso)
Un messo (tenore)

Compagne di Leonora e religiose, familiari del conte, uomini d’arme, zingari e zingare (coro)

 

Interpreti della prima fortunatissima rappresentazione: 

Il Conte di Luna (baritono) Giovanni Guicciardi
Leonora (soprano) Rosina Penco
Azucena (mezzosoprano)  Emilia Goggi
Manrico (tenore) Carlo Baucardé
Ferrando (basso) Arcangelo Balderi
Ines (soprano) Francesca Quadri
Ruiz (tenore) Giuseppe Bazzoli
Vecchio zingaro  (basso) Raffaele Marconi
Messo (tenore) Luigi Fani

Scene: Luigi Bazzani, Alessandro Prampolini, Antonio Fornari

Direttore di scena: Giuseppe Cencetti

Maestro del coro: Pietro Dolfi

Maestro al cembalo: Giuseppe Verdi (per tre recite), poi Eugenio Terziani

Primo violino e direttore d’orchestra: Emilio Angelini

 

Trama:

Periodo storico: In Biscaglia e in Aragona, all’inizio del XV secolo.

Parte I – Il duello.

Di notte, nel castello dell’Aljafería di Saragozza.

Leonora, dama di corte della regina, è amata dal Conte di Luna, che non è corrisposto.

Questi, però, vigila presso la sua porta, ogni notte, sperando di vederla.

Intanto, Ferrando, il capitano delle sue guardie, racconta a servi e soldati la storia del fratellino del Conte rapito anni prima da una zingara per rivalersi dell’uccisione della madre da parte  del vecchio Conte.
Costei  (“Abbietta zingara”), poi, getta il bambino nello stesso rogo eretto per la madre, il cui fantasma tormenta il castello.
I soldati infervorati vogliono intensamente la morte della zingara.

Leonora, confida alla sua ancella Inés, di essere innamorata di un Trovatore sconosciuto che, ogni notte, sotto le sue finestre, accompagnato dal suo liuto, le canta una serenata (“Tacea la notte placida”): si sono conosciuti durante un torneo, ma il Trovatore poi aveva dovuto fuggire, in quanto seguace del conte di Urgel, nemico del conte di Luna.

Il conte di Luna, saputa la cosa, sente la voce del Trovatore che canta a Leonora:

< Deserto sulla terra,
col rio destino in guerra,
è sola speme un cor
al trovator! >

Leonora scende e, a causa dell’oscurità, abbraccia il Conte di Luna, anziché il Trovatore che li trova così e crede di essere stato tradito.
Però, la donna gli afferma solennemente il suo amore, provocando l’ira del Conte che  costringe Manrico al duello e a rivelare il suo nome; Manrico, inoltre, è Ufficiale del Conte di Urgel, Leonora sviene.

Parte II – La gitana.

“Vedi le fosche notturne spoglie”: questo coro segna l’inizio del II atto dell’opera e rappresenta l’accampamento alla base di una montagna con gli zingari che lo cantano lavorando, ballando e, anche, brindando.

C’è allegria.

Ad un certo punto, Azucena si desta dall’incubo periodico che la perseguita e durante il quale rivive il trauma riguardante sua madre fatta morire sul rogo dal vecchio Conte di Luna, accusata di stregoneria: “Stride la vampa”.

Prima di morire, la madre di Azucena l’aveva implorata di vendicarla (“Mi vendica …”), per cui  la stessa Azucena si era impadronita del bambino in fasce del vecchio Conte per bruciarlo, ma la visione della madre morta le aveva causato l’errore di scambio fra il proprio figlioletto e il piccolo di Luna.

Manrico è preso dal dubbio di non essere il figlio vero della zingara – che ritratta tutto – evidenziando che gli è apparso nell’incubo appena avuto: sottolinea che lei, Manrico, lo ha sempre difeso e soccorso, esemplificando il ritorno, da ferito, a seguito del duello col Conte di Luna-figlio.

Circa il duello, Manrico le espone che stava per uccidere il giovane Conte, ma è stato bloccato da una voce celeste (“Mal reggendo all’aspro assalto”), però la madre lo stimola dunque a vendicare sua madre in un nuovo duello e ad ucciderlo, questa volta.

Il Conte, usando la cattiveria, ha sparso la voce che Manrico è morto per potere conquistare Leonora  che, non amandolo, è determinata a consacrarsi a vita relligiosa.

Saputa la cosa, il conte e i suoi soldati invadono la cerimonia per sottrarla a tale celebrazione.

A questo punto, arriva Manrico con i soldati del Conte di Urgel che assalgono e attaccano il castello del Conte di Luna.

Manrico ne approfitta per portare Leonora fuori pericolo.

Parte III – Il figlio della zingara.

Un accampamento nei pressi di Castellor.

I soldati del Conte di Luna sono accampati non lontano dal loro castello, aspettando l’occasione per attaccarlo e riconquistarlo, dal momento che è stato espugnato dal Conte di Urgel e dai suoi.

Azucena ha visioni di morte riguardanti Manrico, per cui si aggira di nascosto nell’accampamento del Conte di Luna, ma viene catturata da Ferrando che la conduce dal Conte come spia.

Nonostante gli anni trascorsi, Ferrando riconosce Azucena come la rapitrice e assassina del piccolo di Luna, mentre lei conferma e confessa di essere la madre di Manrico.

A questo punto, il Conte è raggiante perché la morte della gitana gli darà la vendetta per il fratello ucciso e la vendetta perché Manrico è amato da Leonora.

Manrico e Leonora stanno per sposarsi in segreto all’interno del castello, giurandosi  amore immortale.

Proprio poco prima della cerimonia, Ruiz dà la notizia  della cattura di Azucena che, presto, dovrà salire il rogo come strega: Manrico, di conseguenza, corre a liberare la madre (“Di quella pira”).

Parte IV – Il supplizio.

Manrico fallisce l’azione e viene imprigionato nel castello di Aljafería, per cui, con Azucena, saranno uccisi all’alba.

Manrico è prigioniero nella torre dove Ruiz sta conducendo Leonora (“Timor di me?… D’amor sull’ali rosee”) che, poi, incontra e supplica il Conte di Luna di liberare Manrico, mentre  lei, in cambio, è disposta a sposarlo  (“Mira, d’acerbe lagrime”).

Veramente, il suo piano è di avvelenerarsi, prima di entrare nella torre; piano che attua bevendo il veleno dal suo anello.

Manrico e Azucena attendono la loro esecuzione in una cella e Manrico cerca di calmare la madre.

Azucena  già traumatizzata dal supplizio subito da sua madre, è tormentata ed angosciata  perché ha lo stesso destino (“Ai nostri monti ritorneremo”).

Alla fine, la donna si addormenta sfinita.

Leonora comunica a Manrico che è libero e insiste affinché si allontani al più presto, ma lui  rifiuta di farlo perché gli risulta evidente che lei lo abbia tradito per ottenere tale soluzione.

Agonizzante, gli conferma la sua fedeltà (“Prima che d’altri vivere”).

Il Conte, di nascosto, ascolta il dialogo fra Leonora e Manrico e si rende conto che lei lo ha  ingannato.

Leonora muore fra le braccia di Manrico.

Per cui, il Conte fa giustiziare il Trovatore e, quando Azucena recupera i sensi, egli le mostra il corpo di  Manrico.

La  donna è disperata, ma riesce a gridargli:  “Egl’era tuo fratello!” e a rivolgersi alla madre morta: “Sei vendicata, o madre!”, mentre il Conte è sconvolto per avere fatto uccidere il fratello: “E vivo ancor!”.

 

Brani famosi: 

Di due figli vivea padre beato, aria di Ferrando (Atto I)
Tacea la notte placida, aria di Leonora (Atto I)
Vedi! le fosche notturne spoglie, coro dei gitani (Atto II)
Stride la vampa, canzone di Azucena (Atto II)
Condotta ell’era in ceppi aria di Azucena (Atto II)
Il balen del suo sorriso, aria del Conte di Luna (Atto II)
Ah sì, ben mio, coll’essere, cantabile dell’aria di Manrico (Atto III)
Di quella pira, cabaletta dell’aria di Manrico (Atto III)
D’amor sull’ali rosee, aria di Leonora (atto IV)
Miserere d’una alma già vicina, tempo di mezzo dell’aria di Leonora (atto IV)

 

Incisioni discografiche:  

Bianca Scacciati, Francesco Merli, Enrico Molinari, Giuseppina Zinetti, Corrado Zambelli Lorenzo Molajoli Columbia

Maria Carena, Aureliano Pertile, Apollo Granforte, Irene Minghini Cattaneo, Bruno Carmassi Carlo Sabajno La voce del padrone

Caterina Mancini, Giacomo Lauri Volpi, Carlo Tagliabue, Miriam Pirazzini, Alfredo Colella Fernando Previtali Cetra

Zinka Milanov, Jussi Björling, Leonard Warren, Fedora Barbieri, Nicola Moscona Renato Cellini RCA

Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Rolando Panerai, Fedora Barbieri, Nicola Zaccaria Herbert von Karajan EMI

Renata Tebaldi, Mario del Monaco, Ugo Savarese, Giulietta Simionato, Giorgio Tozzi Alberto Erede Decca

Leontyne Price, Richard Tucker, Leonard Warren, Rosalind Elias, Giorgio Tozzi Arturo Basile RCA

Mirella Parutto, Franco Corelli, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Agostino Ferrin Oliviero De Fabritiis Walhall

Antonietta Stella, Carlo Bergonzi, Ettore Bastianini, Fiorenza Cossotto, Ivo Vinco   Serafin Deutsche Grammophon

Leontyne Price, Franco Corelli, Ettore Bastianini, Giulietta Simionato, Nicola Zaccaria Herbert von Karajan Deutsche Grammophon

Gabriella Tucci, Franco Corelli, Robert Merrill, Giulietta Simionato, Ferruccio Mazzoli Thomas Schippers EMI

Leontyne Price, Plácido Domingo, Sherrill Milnes, Fiorenza Cossotto, Bonaldo Giaiotti Zubin Mehta RCA

Joan Sutherland, Luciano Pavarotti, Ingvar Wixell, Marilyn Horne, Nicolaj Ghiaurov Richard Bonynge Decca

Leontyne Price, Franco Bonisolli, Piero Cappuccilli, Elena Obrazcova, Ruggero Raimondi Herbert von Karajan EMI

Katia Ricciarelli, José Carreras, Jurij Mazurok, Stefania Toczyska, Robert Lloyd Colin Davis Decca

Rosalind Plowright, Plácido Domingo, Giorgio Zancanaro, Brigitte Fassbaender, Evgenij Nesterenko Carlo Maria Giulini Deutsche Grammophon

Antonella Banaudi, Luciano Pavarotti, Leo Nucci, Shirley Verrett, Francesco Ellero d’Artegna Zubin Mehta Decca

Aprile Millo, Plácido Domingo, Vladimir Černov, Dolora Zajick, James Morris James Levine Sony

Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Thomas Hampson, Larissa Djadkova, Ildebrando  D’Arcangelo Fabrizio Callai EMI

Andrea Bocelli, Verónica Villarroel, Elena Zaremba, Carlo Guelfi, Carlo Colombara Steven Mercurio Decca

 

DVD & BLU-RAY: 

Mario Del Monaco, Leyla Gencer, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Plinio Clabassi Fernando Previtali Hardy Classics

Plácido Domingo, Rajna Kabaivanska, Piero Cappuccilli, Fiorenza Cossotto, José van Dam Herbert von Karajan TDK

Franco Bonisolli, Rosalind Plowright, Giorgio Zancanaro, Fiorenza Cossotto, Paolo Washington Reynald Giovaninetti Warner Music Vision

Luciano Pavarotti, Éva Marton, Sherrill Milnes, Dolora Zajick, Jeffrey Wells James Levine Deutsche Grammophon

Marcelo Álvarez, Sondra Radvanovsky, Dmitrij Chvorostovskij, Dolora Zajick, Stefan Koćan Marco Armiliato Deutsche Grammophon

 

Cinema:

1914 Il trovatore Charles Simon,  Stati Uniti d’America

1922 Il trovatore Edwin J. Collins,  Regno Unito

1949 Il trovatore Carmine Gallone,  Italia

1972 Le trouvère Pierre Jourdan,  Francia

Nel film “Senso” (1954) di Luchino Visconti, durante una rappresentazione dell’opera a “La Fenice” di Venezia, alcuni spettatori lanciano immagini di esultanza all’Italia.

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:


TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena e di Violetta, tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

“Il Trovatore”: è lo stesso Verdi che commissiona a Salvatore Cammarano la riduzione librettistica dal dramma di Gutiérrez.

Nel 1852, Cammarano muore improvvisamente, appena terminato il libretto, per cui Verdi, per avere alcuni ritocchi, chiede l’aiuto del suo collaboratore, Leone Emanuele Bardare.

La prima rappresentazione ottiene un grande successo: come scrive Julian Budden, < Con nessun’altra delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico».  >.

Il trovatore è un’opera scura, buia che trasmette una certa dose di sfiducia.

Inizia di notte nel palazzo dell’Aljaferia, a Saragozza, mentre Ferrando racconta una squallida storia di ignoranza e di barbarie successa in precedenza.

Storia che parla di sciagura accaduta fra gli Zingari e il Conte di Luna-padre, di macchinazione, di rappresaglia e di lutti.

In quest’opera, Verdi conserva l’ambiente notturno, ma ha la capacità di dare molti dualismi vari: zingari-soldati, scena drammatica Azucena-Conte di Luna, tranquillità-rumore delle armi nel convento, amore figlio-madre e sacrificio nel IV atto.

Nell’opera, l’azione passa da un punto all’altro della Spagna, ma gli avvenimenti dell’opera si svolgono prevalentemente col buio o all’interno delle costruzioni: per la precisione, il II atto inizia all’alba, nell’accampamento degli zingari, dove i fuochi della notte si fondono con le prime luci del nuovo giorno.

Da evidenziare l’importanza psicologica e fisica del fuoco che, in quest’opera, è presente come “ardore” e come “rogo”: di roghi, ne esistono due e, per la precisione, il primo riguarda la tortura e la morte della madre di Azucena che canta a Manrico “Stride la vampa”, aria intensamente triste, drammatica e coinvolgente.

Manrico chiede ad Azucena di narrare la storia “funesta”; attraverso la toccante “Condotta ell’era in ceppi”, la zingara racconta un vero dramma fisico e psicologico.

Il secondo rogo riguarda la stessa Azucena per cui, Manrico, prima di correre a salvarla, canta “Di quella pira”.

Nel IV atto, come ne “La Forza del Destino”, agisce IL DESTINO, specialmente nella IV parte, dove – in questo caso – la gelosia di Manrico fa slittare il tempo e il Conte di Luna si rende conto di essere stato “aggirato” da Leonora che muore per avere assunto il veleno.

Manrico si rende conto della devozione di tale donna: “E’ mio quest’angelo e io l’osava maledir”.

E’ UN’OPERA DRAMMATICISSIMA i cui personaggi principali sono perdenti:

. Il Conte di Luna: perde la donna amata, il fratello appena ritrovato e la pace interiore (“E vivo ancor!”).

. Eleonora e Manrico perdono la vita, ma sono uniti dalla Morte.

. Azucena perde la vita, ma ha vendicato la madre.

 

Azucena:  

Azucena, donna misteriosa, è un’anima bella e, nel III atto, dopo essere stata portata in presenza del Conte, gli risponde: “D’una zingara è costume mover senza disegno il passo vagabondo, ed è suo tetto il ciel; sua patria il Mondo”.

Azucena è una figlia e una madre molto sensibile che ha ricevuto IL MALE da gente che, oggi, verrebbe definita “razzista”; gente che le ha provocato un trauma fortissimo a seguito delle torture e dell’uccisione di sua madre e, nel IV atto, la si vede percorsa da angoscia  perché avrà la stessa fine, povera donna!

Ma, prima  di essere “giustiziata”, vendica la madre attraverso “Egl’era tuo fratello!”.

Una segnalazione:

L’Inquisizione Cattolica (attualmente, vigente sotto il nome di “SANT’OFFIZIO”) è stata creata da Paolo III con la bolla papale “Licet ab initio” del 1542 per mantenere e difendere l’integrità della Fede contro la riforma protestante e, a questo scopo, nel 1559, è stato creato l’INDICE DEI LIBRI PROIBITI.

Prima dell’INQUISIZIONE MEDIEVALE (dal 1179 o 1184 alla metà del 1400) istituita da Federico II nel 1231 (Costituzione Inconsutilem), la cui responsabilità era del Papa che nominava direttamente gli inquisitori, il ROGO esisteva già da moltissimo: un esempio è in “NORMA” di Bellini (al tempo dell’Antica Roma) e il rogo era “purificatore”.

Però,  l’ISTITUZIONE CON IL ROGO E LE TORTURE vera e propria è stata dovuta a motivi come: eresie (vedere l’esempio del caso “Galilei”) e, appunto, la “Caccia alle Streghe”.

 


Manrico:

Manrico è il Trovatore che canta ballate, è creduto da tutti il figlio della gitana Azucena che ama davvero come madre.

Tale affetto si nota anche nel IV atto, dove il desiderio di rivedere le loro montagne è grande: Azucena si illude e Manrico sostiene tale pensiero per tranquillizzare una donna sopraffatta da tante cose negative, ma NON folle.

Azucena e Manrico: si tratta di un grandissimo esempio di amore materno e amore filiale.

Praticamente, Manrico è un eroe “fuorilegge”, con la violenza del soldato, ma è una persona onesta e, politicamente, è seguace del Conte di Urgel, nemico dei di Luna.

Ama Leonora di un amore pulito, ma il Destino gli impedisce di sposarla.

La sua entrata, nel I atto, è a mezzo di un canto che sarà seguito dal duello con il Conte di Luna.

Manrico è ferito e viene curato da Azucena alla quale racconta che, durante tale duello con il Conte, ha udito la voce “proveniente dal Cielo” che gli diceva  “Non ferir”: da questi fatti, si prevede l’anticipo del nuovo scontro che si concretizzerà.

Manrico è destinato a rispettare l’azione di “correre”:

. Nel II atto, corre per salvare Leonora dal rapimento organizzato dal Conte di Luna.

. Nel III atto, corre per salvare la madre che cade prigioniera del Conte di Luna e dei suoi armati.

. Infatti, comanda a Ruiz: “Ruiz… va… torna… vola…” e, poi, canta  “Di quella pira”.

(Qualcuno, anni fa, aveva definito Manrico “mammone” perché corre a salvare la madre: dopotutto, LA RAGIONE E’ GRAVE!).

 


Leonora: 

Il Destino vuole che Leonora, dama della Regina, sia amata contemporaneamente da Manrico e dal giovane Conte di Luna: nel I atto, canta l’aria piena di ricordi (“Tacea la notte placida”).

Lei è la causa inconsapevole della rivalità fra i due uomini. Uomini che, alla fine, poco prima di morire, Azucena rivelerà essere fratelli: infatti, Manrico era il piccolo Garcia, il fratellino del Conte.

Questa “regal signora”, è donna gentile, dolce e fedele sino alla fine.

E’ determinata ed è l’icona femminile dell’opera che sogna l’amore di Manrico, un uomo che fa parte della società umana fuori dal suo mondo, ma che è appartenente ad una dinastia importante.
Sogna di unirsi a lui ma, quando sta per farlo, interviene il Destino che, con le sue contrarietà, la costringe a pagare  tale amore attraverso la morte.

 

 

Il Conte di Luna: 

Abbastanza realista, vive con i piedi per terra ed esprime, in particolare, il suo pensiero attraverso l’aria “Il balen del suo sorriso”.

Non è proprio “il cattivo”, anche se, in lui, è sempre vivo il senso di vendetta ma, alla fine, perde la pace, dopo avere saputo che l’uomo che aveva combattuto e fatto uccidere era suo fratello.

 

 

Ferrando: 

Capo dei soldati, non trascura occasione per raccontare la storia orrida della presunta  morte di Garcia, il bambino minore del  vecchio Conte di Luna.

Psicologicamente, Ferrando aggiunge una propria dose di calunnia, cosa spiegabile  attraverso usi e mentalità dell’epoca e, oggi, a mezzo della “Sindrome di Procuste”, conosciuta dalla Psicologia.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

Il basso CARLO COLOMBARA canta “DI DUE FIGLI VIVEA PADRE BEATO”:

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “TACEA LA NOTTE PLACIDA”:  https://youtu.be/tt7ZpFgxHus

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Il CORO canta “CHI DEL GITANO I GIORNI ABBELLA”:

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Il mezzosoprano DOLORA ZAJICK canta “STRIDE LA VAMPA”:

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Il mezzosoprano FIORENZA COSSOTTO canta “CONDOTTA ELL’ERA IN CEPPI”:

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Il baritono ETTORE BASTIANINI canta “IL BALEN DEL SUO SORRISO”:

 

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Il coro canta OR COI DADI MA TRA POCO:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “DI QUELLA PIRA”:

 

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “D’AMOR SULL’ALI ROSEE”:

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Il soprano BARBARA FRITTOLI e il baritono LEO NUCCI cantano il duetto  “MIRA DI ACERBE LACRIME”:

 

 

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: RIGOLETTO

Rigoletto è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo “Le Roi s’amuse” (“Il re si diverte”).

Prima rappresentazione: 11 marzo 1851, Teatro “La Fenice” di Venezia.

Esito: grande successo.

Con “Il trovatore” (1853) e “La traviata” (1853), forma la cosiddetta “Trilogia Popolare” di Verdi.

 

Personaggi: 

Il Duca di Mantova (tenore)
Rigoletto, suo buffone di Corte (baritono)
Gilda, figlia di Rigoletto (soprano)
Sparafucile, sicario (basso)
Maddalena, sorella di Sparafucile (contralto)
Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano)
Il Conte di Monterone (baritono)
Marullo, cavaliere (baritono)
Matteo Borsa, cortigiano (tenore)
Il conte di Ceprano (basso)
La Contessa di Ceprano (mezzosoprano)
Un usciere di corte (basso)
Un paggio della Duchessa (soprano)
Cavalieri, dame, paggi, alabardieri (coro)

 

Interpreti della prima rappresentazione:

Il Duca di Mantova (tenore) Raffaele Mirate
Rigoletto (baritono) Felice Varesi
Gilda (soprano) Teresa Brambilla
Sparafucile (basso) Paolo Damini
Maddalena (contralto) Annetta Casaloni
Giovanna (mezzosoprano) Laura Saini
Il Conte di Monterone (baritono) Feliciano Ponz
Marullo (baritono) Francesco De Kunnerth
Il Conte di Ceprano (basso) Andrea Bellini
Contessa di Ceprano (mezzosoprano)  Luigia Morselli
Matteo Borsa (tenore) Angelo Zuliani
Usciere (tenore) Giovanni Rizzi
Paggio (mezzosoprano) Annetta Modes Lovati

Direttore di scena:   Francesco Maria Piave

Maestro del coro:   Luigi Carcano

Maestro al cembalo:   Giuseppe Verdi (per tre recite)

Primo violino e Direttore d’orchestra: Gaetano Mares

Scene   Giuseppe Bertoja

 

Trama: 

Epoca: XVI secolo, a Mantova e dintorni.

Atto I:  Nel Palazzo Ducale.

Il Duca usa spesso mischiarsi  in modo anonimo tra la gente e, durante una festa, esterna a Borsa, il suo cortigiano, di essere intenzionato a conquistare una fanciulla che ha visto spesso all’uscita della chiesa (si tratta di Gilda, la figlia del suo buffone di corte).

Il cortigiano gli indica quante dame belle siano presenti e il Duca, un’anima piuttosto immorale e depravata (“Questa o quella per me pari sono”), tenta e lusinga la Contessa di Ceprano, cosa che fa arrabbiare il marito che subisce lo scherno di Rigoletto, il buffone.

Contemporneamente, Marullo racconta ad altri cortigiani che il gobbo e deforme Rigoletto, ha un’amante per cui, questo argomento, diventa il motivo di vendetta verso il buffone da parte degli “offesi” attraverso il rapimento della donna, ma non sanno che “tale amante” è sua figlia.

Il Conte di Monterone appare improvvisamente sulla scena e accusa il Duca alla presenza di tutti di avergli sedotto la figlia.

Rigoletto lo deride, Monterone maledice lui e il Duca che ordina di arrestarlo e Rigoletto, spaventato dalle sue parole, scappa.

Rigoletto è fortemente sconvolto dall’anatema di Monterone (“Quel vecchio maledivami”) e,  sulla strada di ritorno a casa, incontra Sparafucile, il cui lavoro è “esecutore di assassinii”; sicario che si mette a sua disposizione in caso di necessità.

Per un certo verso, Rigoletto si sente simile a lui (“Pari siamo”), ricorda la sua vita sfortunata e cerca di estraniarsi mentalmente dalla maledizione appena ricevuta.

A casa, ritrova Gilda, la figlia che non conosce il lavoro di giullare del padre  e  Giovanna, la domestica, a cui raccomanda di vegliare sulla figlia (“Veglia, o donna, questo fiore”), in quanto angosciato dalla paura che la figlia possa essere danneggiata moralmente e fisicamente dal Duca che, purtroppo, è già entrato furtivamente nella casa e osserva tutto di nascosto.

Rigoletto esce nuovamente da casa e il Duca, sotto le mentite spoglie di uno studente povero, Gualtier Maldé, avvicina Gilda e si dichiara innamorato (“È il sol dell’anima”) , ma viene fermato dalla presenza di qualcuno che si trova nei paraggi.

Ritrovandosi sola, Gilda ripensa all’amore per il giovane (“Gualtier Maldé… Caro nome…”).

Pur essendo notte, nei dintorni si aggirano i cortigiani, per effettuare il rapimento dell’ “amante di Rigoletto”.

Anzi, lo coinvolgono, visto che era tornato indietro a causa di un presentimento, e gli  fanno credere che si tratta del rapimento della Contessa di Ceprano.

Rigoletto accetta perché si sente sollevato dalla sua paura.

I cortigiani sono tutti mascherati e lo bendano coprendogli occhi ed orecchi, dopodiché rapiscono Gilda (“Zitti zitti, moviamo a vendetta”).

Quando tutti sono partiti, si rende conto di che cosa è successo e ripensa alla maledizione ricevuta (“Ah, la maledizione!”).

Atto II

Il Duca, dopo che è tornato a cercare Gilda, rientra nel suo palazzo ed è irritato e avvilito  a causa del rapimento della fanciulla (“Ella mi fu rapita”), ma i cortigiani lo portano a conoscenza  che hanno rapito l’amante di Rigoletto e apprende che questa si trova nel Palazzo: si rende conto che il caso è stato fortunato.

Rigoletto entra nel palazzo e, mostrandosi indifferente, cerca Gilda, mentre viene beffato dai cortigiani presenti ma, una volta capito che sua figlia è nella camera del Duca,  impreca con rabbia contro di loro.

I cortigiani  sono sorpresi di sapere che hanno rapito sua figlia, ma non gli permettono di recarsi da lei (“Cortigiani, vil razza dannata”).

Gilda lo raggiunge e gli rende noto che il suo onore è stato infamato.

Rimasti soli, gli espone che ignorava la vera identità del giovane e che lo ha conosciuto  durante la funzione religiosa festiva (“Tutte le feste al tempio”).

Rigoletto  la consola con la tenerezza del padre comprensivo quale egli è  (“Piangi, fanciulla”).

In quel momento, Monterone passa perché viene portato in carcere e si ferma ad osservare  il  ritratto del Duca, convinto  che la sua maledizione non abbia colpito.

Rigoletto risponde che LUI sarà l’artefice della vendetta  (“No vecchio t’inganni…sì, vendetta”): infatti, HA DECISO di rivolgersi a Sparafucile per commissionargli l’uccisione del Duca.

Atto III

Rigoletto vuole mostrare alla figlia chi è il Duca (sempre amato da Gilda), per cui  la conduce alla locanda di Sparafucile situata sulla riva del fiume Mincio.

Qui, anonimo, si trova il Duca, ammaliato e attirato da Maddalena, la sorella di Sparafucile.

Di nascosto, Gilda vede il Duca irridere  le donne e gli uomini che si innamorano di loro  (“La donna è mobile”) e corteggiare Maddalena come si era comportato con lei, in precedenza  (“Bella figlia dell’amore”).

Rigoletto comanda a Gilda di tornare a casa, di indossare abiti maschili  per sua integrità personale e, dopo essersi accordato con Sparafucile, si allontana  dalla locanda.

Si avvicina il temporale e Gilda, ancora fortemente attratta dal suo amato, torna alla locanda e ascolta il dialogo fra Sparafucile e Maddalena che, incapricciata del Duca, insiste  col fratello perché lo risparmi e uccida Rigoletto quando porterà loro il denaro.

Sparafucile, “professionalmente”, è serio e vuole rispettare “le sue regole”, ma decide di aspettare sino a mezzanotte e, se arriverà, ucciderà il primo uomo che entrerà nell’osteria (“Se pria che abbia il mezzo la notte toccato”).

Gilda stabilisce che si sacrificherà al posto del Duca, si finge un mendicante, bussa alla porta della taverna e viene pugnalata.

Rispettando gli accordi, Rigoletto ritorna alla locanda a mezzanotte e Sparafucile gli consegna il sacco contenente il corpo ucciso.

Rigoletto è soddisfatto di essersi vendicato e sta per gettare il corpo nel fiume quando sente la voce del Duca che arriva da lontano (ripresa de “La donna è mobile”).

Rabbrividisce e non capisce a chi possa appartenere il corpo nel sacco; quando lo apre vede  con spavento e repulsione Gilda colpita a morte che gli chiede perdono e muore tra le sue braccia (“V’ho ingannato….Lassù in cielo”).

Rigoletto è disperato: la maledizione di Monterone si è concretizzata (“Ah, la maledizione!”).

 

Brani noti: 

Atto I
Preludio
Questa o quella per me pari sono (ballata del Duca)
Pari siamo (monologo di Rigoletto)
Veglia, o donna, questo fiore (duetto Rigoletto Gilda)
È il sol dell’anima (duetto Duca GildaCaro nome (aria di Gilda)

Atto II
Ella mi fu rapita!… Parmi veder le lagrime (recitativo ed aria del Duca)
Potente amor mi chiama (Duca)
Cortigiani, vil razza dannata (invettiva di Rigoletto)
Tutte le feste al tempio (aria di Gilda)
Piangi fanciulla…..Sì, vendetta, tremenda vendetta (duetto Rigoletto Gilda)

Atto III

La donna è mobile (canzone del Duca)
Bella figlia dell’amore (quartetto: Duca, Maddalena, Rigoletto, Gilda)
V’ho ingannato, colpevole fui (duetto Gilda Rigoletto)

 

Incisioni note: 

Lina Pagliughi Ferruccio Tagliavini Giuseppe Taddei Giulio Neri Angelo Questa Cetra Coro e Orchestra RAI Torino

Mercedes Capsir Dino Borgioli Riccardo Stracciari Ernesto Dominici Lorenzo Molajoli Col. Coro e Orchestra della Scala

Maria Callas  Giuseppe Di Stefano Tito Gobbi Nicola Zaccaria Tullio Serafin Col. Coro e Orchestra della Scala

Hilde Gueden Mario Del Monaco Aldo Protti Cesare Siepi Alberto Erede Decca Coro e Orchestra Accademia Santa Cecilia

Daniela Dessì  Vincenzo La Scola  Giorgio Zancanaro  Paata Burchuladze  Riccardo Muti  Orchestra del Teatro Alla Scala EMI

Leyla Gencer  Gianni Raimondi  Cornell Mac Neil  Josè Augurdat  Argeo Quadri  Orchestra e Coro del Teatro Colon di Buenos Aires  Valentine Records

Beverly Sills  Sherrill Milnes  Alfredo Kraus  Samuel Ramey  Jlius Rudel Ambrosian Opera Chorus & Philharmonia Orchestra Julius Rudel  Riccardo Chailly  Wiener Philharmoniker

Luciano Pavarotti  Joan Sutherland  Sherrill Milnes Martti Talvela  Richard Bonynge London Symphony Orchestra  DECCA

Neil Shicoff  Edita Gruberova  Renato Bruson  Robert Lloyd  Giuseppe Sinopoli  Orchestra Nazionale di Santa Cecilia Philips

Vittorio Grigolo Julia Novikova  Placido Domingo  Ruggero Raimondi Zubin Mehta Orchestra Sinfonica Nazionale della R.A.I.

Francesco Demuro Nino Machaidze Leo Nucci Marco Spotti  Massimo Zanetti  Orchestra e Coro del Teatro Regio di Parma

 


LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena e di Violetta, ossia tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

Presa di mira dalla censura austriaca, all’inizio, l’opera “RIGOLETTO” è una tragedia basata  sul personaggio di un giullare alla corte dei Gonzaga, a Mantova.

Idem, il dramma “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo, viene censurato e, poi, ripresentato solo  nel 1882 circa (dopo cinquant’anni).

Qui, Hugo, non piace a causa della narrazione circa la corte francese, il disfacimento morale e lo scostumato Re Francesco I.

Nell’opera, l’azione viene ambientata alla corte di Mantova (corte che, nel periodo della narrazione di Hugo, non esiste più) e il re francese diventa il Duca di Mantova.

 

Riguardo il titolo, Verdi (nel 1850) scrive al suo librettista Piave che il titolo deve essere obbligatoriamente  “La maledizione” perché il “deus ex machina” è la maledizione verbale  che  si traduce in maledizione psicologica e in maledizione concreta: infatti, Monterone è un ‘povero’ padre alla cui figlia è stato violato l’onore e che viene  schernito da un ‘povero’ buffone di corte che, a sua volta, viene maledetto da questo ‘povero’ padre.

Il nome viene modificato da Triboletto (traduzione da Triboulet) a Rigoletto, ossia, “Rigoler” che, in lingua francese, significa scherzare.

Sotto l’ASPETTO PSICOLOGICO, l’opera “RIGOLETTO”  E’ DI UNA POTENZA IMMENSA E COMPLESSA.

Infatti, si tratta di un ARGOMENTO SEMPRE ATTUALE: in effetti, di intrecci simili, ne succedono tutti i giorni, nel Mondo.

L’opera inizia con il tema della “maledizione”, tema potente: è stata definita “l’opera più completa di Verdi” perché è ricca di melodia, di passioni, di amore paterno e filiale, di tradimento, di Psicologia, di timbri vocali vari.

E’ considerata un’opera bella di Verdi: in effetti, è coinvolgente, commovente, toccante, appassionante, entusiasmante.

Verdi ci trasmette il periodo rinascimentale, in cui la cultura e il laicismo evidenziano e mettono in luce l’uomo dopo il periodo medioevale, in cui chi predominava era “il divino”, “il religioso”.

Fra parentesi, è importante sottolineare che le figure che posseggono una doppia personalità sono una forte attrazione, per Verdi:  lui le ama interiormente e profondamente perché possiedono un’anima sofferente.

Oltre a Rigoletto, ne sono di esempio Azucena e Violetta, le altre figure fondamentali della  Trilogia Popolare, ossia anime tormentate.

Attraverso l’opera “Rigoletto”, Verdi dimostra chiaramente il grado di altissimo livello acquisito  e  dove i personaggi esprimono i vari aspetti delle loro caratteristiche interiori  e comportamentali: la melodia esprime la dimostrazione verbale, il sentimento e l’affetto,  l’anima, i desideri e gli impeti, le emozioni, la sensibilità, la dolcezza e la finezza, la lietezza e la beatitudine, le paure, le angoscie, …

 


Rigoletto: 

Rigoletto: LA SUA “CATTIVERIA” NON RAGGIUNGE LE DIMENSIONI DI QUELLA DEL DUCA perché – pover’uomo – E’ COSTRETTO AD ESSERLO.

In particolare, “se la prende” proprio con Monterone, un altro padre, oltre a difendersi con grande sottigliezza psicologica crudele  verso i cortigiani e ad essere determinato nel prendere la decisione di far sopprimere il Duca di Mantova.

Il Duca di Mantova, al cui ritratto, nel finale dell’atto secondo, il Conte di Monterone si rivolge mentre viene portato in carcere.

Lo stesso ritratto a cui Rigoletto, poco dopo, si rivolge con “Sì, vendetta, tremenda vendetta,  di punirti già l’ora s’appressa”.

A proposito del ritratto del Duca, ricordo il bellissimo film in bianco e nero con  il baritono Tito Gobbi, il tenore Mario Filippeschi, il soprano Lina Pagliughi e la regia di Carmine Gallone.

Rigoletto: personaggio “leone” è, contemporaneamente, fragile.

E’ un disperato.

 

Infatti, DEVE sacrificare la sua libertà personale per guadagnarsi da vivere in questo modo comico, DEVE ridere per sopravvivere alle sue disgrazie morali che diventano fisiche e finanziarie, ha la paura continua che gli possano insidiare la figlia, è cosciente della sua gobba che lo deforma (gobba dovuta alla scoliosi, gobba  che gli attira le derisioni: a quel tempo, non esistono la radiografia e molte cure che possono aiutare a stare un pochino meglio), sa di essere stato amato dalla moglie “per compassione” (probabilmente, pensa che “Qualcuna doveva pur sposarlo …”).

In Psicologia, è assodato che, chi scherza sempre, HA LA PAURA INCONSAPEVOLE DI SOFFRIRE; non è proprio il caso di Rigoletto, il cui retaggio NON permesso è  IL PIANTO ESTERIORE, in quanto OBBLIGATO A FARE RIDERE.

Oltre al difetto fisico e al relativo danno antiestetico e sgraziato, Rigoletto prova ostilità  nei confronti della società umana amorale che lo circonda, di cui odia il potere ricco e libero.

Odia il potere  usato in modo sbagliato che si impone sulla gente debole con provocazione  del dolore morale attraverso la derisione continua che provoca rifiuto e disgusto negli altri.

Rigoletto ha bisogno di usare la “maschera” crudele e codarda di Buffone di Corte verso la società e la “maschera” del Padre Buono verso Gilda.

Padre che, comunque, sa essere persona tenera e che si nasconde dietro queste “maschere” perché la sua personalità è ferita profondamente.

Infatti, Rigoletto conosce perfettamente la corte perversa dove è inserito “per lavoro” e, dentro di sé, ha il pensiero continuo della figlia, pensiero che esterna a Gilda quando torna a casa e non è più “il buffone” freddo e cinico.

Nonostante tutto, l’anima di Rigoletto è piena di amore e, il duetto con la figlia è struggente, specialmente nel suo ricordo verso la moglie morta (“Quel capo amato”) e l”amore per la figlia (“Il mio Universo è in te”).

Nel secondo atto, nel palazzo del Duca, dopo la ricerca della figlia, Rigoletto tuona duramente verso i cortigiani,  trasmettendo il suo stato d’animo alquanto risentito-ferito, e indignato, tanto da sembrare l’ esplosione di un cratere vulcanico:

< Cortigiani, vil razza dannata,
per qual prezzo vendeste il mio bene?
A voi nulla per l’oro sconviene,
ma mia figlia è impagabil tesor >

“Esplosione” che, a poco a poco, scende di tono dal momento che i cortigiani ormai sanno che il rapimento è stato compiuto ai danni suoi e di sua figlia.

“Esplosione” che si trasforma in una supplica affinché sua figlia gli venga resa “seppur disarmata”, ossia, “ormai senza l’onore”: l’onore,  cosa appartenente agli usi e costumi,  alla mentalità e all’educazione della società umana di quel tempo.

“Si’, vendetta”: Rigoletto PROMETTE VENDETTA a Gilda che ad un certo punto, lo implora “… Mi tradiva, pur l’amo …”; Gilda si riferisce al Duca che le ha lasciato il nome di Gualtier Malde’ e di averle fatto credere di essere uno studente, per di più, povero.

Nel terzo atto, dopo il famoso quartetto, Gilda si presenta alla locanda di Sparafucile in abiti maschili, verrà colpita a morte e il sacco contenente il suo corpo – al posto di quello  del Duca di Mantova – viene consegnato a Rigoletto che crede di avere vinto.

Si sente grande e invaso da una gioia immensa e crudele ma, la voce del Duca che canta la canzone di disprezzo alla donna, lo riporta nella realtà, provocandogli DELUSIONE e DISPERAZIONE.

Gilda, colpita a morte, è ancora viva e riesce a raccontare al padre che vuole essere con la madre, vista la delusione subita nella sua giovanissima età.

Si sente tranquilla, ormai, però Rigoletto è in tumulto a causa di UNA TRAGEDIA DELLA MISERIA UMANA.

E’ importante citare che, dopo che Gilda comunica al padre che lei sarà con la madre, dalla risposta di Rigoletto – accompagnata dalla musica trascinante – si percepisce quanto amore lui abbia per questa unica figlia, ricordo della moglie nobilitata  “che lo ha sposato per compassione”.

Un grande amore paterno e umano che, per fare giustizia, senza volere, ha provocato la sua stessa tragedia.

Verdi è patriottico, ama le cose giuste e, in quest’opera, dimostra la lotta alle ingiustizie e al potere oltre i termini e oltre la pietà per i fragili: in questo caso, è Rigoletto il personaggio che gli ha fatto constatare che “Oh, < Le roi s’amuse > è il più gran soggetto che ho trovato finora, e forse il più gran dramma dei tempi moderni”.

GRANDISSIMA OPERA! UN VERO CAPOLAVORO!

GRANDE HUGO!

GRANDE VERDI!

 


Gilda: 

Il comportamento dell’adolescente Gilda si manifesta attraverso uno stato d’animo ansioso fra speranza e paura per il suo futuro: non ha più il rapporto con l’esempio della madre perché è morta e il rapporto con il padre si presenta un po’ ermetico, dal momento che Gilda non viveva con i genitori, ma è con Rigoletto solamente “da tre lune”, ossia tre mesi  e, comunque, non conosce ancora la città e frquenta solamente il “Tempio”.

Quindi, non si è ancora manifestata quell’apertura mentale fra padre e figlia che possa gratificare Gilda come persona che decide di sé stessa, che non può manifestare curiosità verso l’amore.

Il suo amore si attiva per il bello e dolce studente Gualtier Maldé (che si scoprirà essere il Duca), amore che la porterà nel letto NON matrimoniale legittimo, ma simbolo “indegno”.

La sua bassa autostima la porta al sacrificio d’amore che la conduce alla morte.

EH, … GLI USI E I COSTUMI CHE INFLUENZANO E INCIDONO SULLA SOCIETA’ UMANA …

 


Il Duca di Mantova: 

Un personaggio intrigante e interessante, psicologicamente.

E’ importante citare che, SECONDO LA PSICOLOGIA:

< Ogni personaggio ha un proprio aspetto fisico, caratteriale, ideologico, sociale, culturale ecc…Questi sono fondamentali per permettere al lettore di comprendere a fondo la figura di cui si sta narrando: aspetto fisico, aspirazioni ideali, condizioni sociali ed economiche, conoscenze culturali, tratti psicologici e stati d’animo >.

Fin da subito, risulta evidente che il Duca di Mantova è simile a Don Giovanni di Mozart e, ad ogni modo, secondo quanto risulta in Psicologia, “La caratterizzazione psicologica evidenzia la mentalità di un personaggio e comprende il suo stato  emotivo, il suo ragionare, i motivi delle sue azioni, la sua condotta verso la società umana, la sua mimica, la sua movenza”.

Se è vero che “Mozart e Da Ponte riescono ad addentrarsi in tutto ciò che può rendere esplicita la personalità di Don Giovanni”, è anche vero che, qui, Piave e Verdi rendono  bene l’idea della personalità dissoluta e immorale del Duca di Mantova, della cattiveria sua e dei cortigiani.

Tutta gente con un aspetto fisico bello, gente appartenente ad un ceto sociale elevato, gente colta ed istruita.

In particolare, Il Duca di Mantova odia e disprezza la donna: “forse”, nessuno gli ha mai detto che è stato PARTORITO PROPRIO DA UNA DONNA . . .

Non empatico, anaffettivo, è l’uomo che comanda, che ha tutto ai propri piedi,  …

La donna e gli altri “sono solamente OGGETTI da usare”, “sono COSE INANIMATE”, sono “COMPARSE”.

Senza dubbio, è frustrato (ossia, vanificato da qualche trauma), il cui complesso di inferiorità – per reazione – gli fa assumere il complesso di superiorità.

Spavaldo, gode i piaceri della vita unitamente, forse, alla paura  delle congiure e degli intrighi di palazzo.

Potrebbe essere perché, di solito, questi tipi di persone possono “reagire” così alla paura interiore.

Il Duca ha un comportamento seduttivo, in generale; in particolare, ha frasi dolci e convincenti verso Gilda-“donna celeste”, la cui personalità inconsciamente – idem – vuole “abbattere”.

Confronta l’amore con la potenza, il trono, dal momento che, certamente, si tratta di persona insicura, con poca autostima, ossia poca fiducia in sé stesso, tanto da “dover dimostrare al mondo che “cosa è capace di fare” come reazione.

Mi chiedo se – il seguire Gilda fino a casa e, poi, introdursi attraverso l’uscio “socchiuso” – sia dovuto a quello che, oggi, è stato identificato come “stalking” e “violazione di domicilio”.

Sicuramente, si tratta di ossessione incontrollabile di “voler possedere” per sentirsi qualcuno.

“Ella mi fu rapita”: all’inizio del II atto, il Duca ha un momento di riflessione secondo cui  NON sembra essere l’egoista privo di empatia, perché Gilda ha la facoltà inconscia “quasi di trarlo a virtù”: è colei che è stata capace di destargli “costanti” affetti.

(Chiaramente, si tratta di una cosa passeggera, nel Duca, perché la sua personalità guasta è radicata in lui: NON può cambiare).

E, ad ogni modo, la vita del Duca viene salvata da Gilda e Maddalena, due esseri umani che appartengono al genere femminile da lui tanto odiato.

 


Sparafucile: 

E’ un bravo, un sicario prezzolato per “lavori su commissione” che, verso  il suo lavoro, possiede una certa “deontologia”: infatti, è abbastanza restìo a cedere alla preghiera della sorella ma, poi, l’accontenta “appellandosi” alla “sostituzione di persona” attraverso il primo che si presenterà alla locanda dopo mezzanotte.

 


Maddalena: 

Maddalena: donna che pratica l’amore mercenario, aiuta il fratello adescando “i clienti”.

Oggi, sarebbe oggetto di “denuncia per adescamento”, ma – qui – risulta chiarissimo che tutto è a causa della povertà  di quel  tempo in cui bisognava “arrangiarsi” anche con alcuni tipi di lavori per sopravvivere: cosa attuale, comunque.

La sua è una parte breve, ma incisiva in quanto s’innamora del Duca in incognito (“Apollo”)  e convince il fratello ad uccidere un altro al posto suo, cambiando gli eventi.

 


La Contessa di Ceprano: 

La Contessa di Ceprano, dall’apparizione brevissima, risponde al Duca che, a forza,  deve “seguire lo sposo che volge a Ceprano”, però sembra essere l’unica donna che resiste al nobile, il quale ne è attratto a causa di ciò che non riesce ad avere come reazione conseguenziale all’essere abituato ad avere tutto, ossia “il proibito”.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

RICCARDO MUTI dirige il PRELUDIO:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta la Ballata del Duca “QUESTA O QUELLA PER ME PARI SONO”:

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Il baritono INGVAR WIXELL canta il monologo di Rigoletto “PARI SIAMO” e il duetto con il soprano EDITA GRUBEROVA “FIGLIA! – MIO PADRE”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL con il soprano EDITA GRUBEROVA canta “VEGLIA, O DONNA, QUESTO FIOR”:

 

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI e il soprano EDITA GRUBEROVA cantano il duetto “È IL SOL DELL’ANIMA”:

 

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Il soprano EDITA GRUBEROVA canta “CARO NOME”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “ELLA MI FU RAPITA … PARMI VEDER LE LAGRIME”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “POSSENTE AMOR MI CHIAMA”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL canta l’Invettiva di Rigoletto “CORTIGINI, VIL RAZZA DANNATA”:

 

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Il soprano EDITA GRUBEROVA canta “MIO PADRE! TUTTE LE FESTE AL TEMPIO”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL e il soprano EDITA GRUBEROVA cantano “PIANGI FANCIULLA … SI’, VENDETTA, TREMENDA VENDETTA”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “LA DONNA E’ MOBILE”:

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Il mezzosoprano VICTORIA VERGARA, il tenore LUCIANO PAVAROTTI, il soprano EDITA GRUBEROVA e il baritono INGVAR WIXELL cantano il Quartetto “BELLA FIGLIA DELL’AMORE”:

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Il soprano EDITA GRUBEROVA e il baritono INGVAR WIXELL cantano il duetto “CHI E’ MAI? … MIA FIGLIA!” – V’HO INGANNATO, COLPEVOLE FUI”:

 

TOSCA di GIACOMO PUCCINI

Tosca è un’opera in tre atti su Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto da “La Tosca” di Victorien Sardou (dramma rappresentato per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il cui successo è legato soprattutto all’interpretazione di Sarah Bernhardt).

Prima rappresentazione: Teatro “Costanzi” di Roma, 14 gennaio 1900.

 

Personaggi: 

Floria Tosca, celebre cantante (soprano lirico spinto)
Mario Cavaradossi, pittore (tenore lirico spinto)
Il barone Scarpia, capo della polizia (baritono drammatico)
Cesare Angelotti (basso cantante)
Il Sagrestano (basso)
Spoletta, agente di polizia (tenore)
Sciarrone, gendarme (basso
Un carceriere (basso)
Un pastorello (voce bianca)


Cast della prima assoluta, direttore Leopoldo Mugnone: 

Floria Tosca (soprano) Hariclea Darclée
Cavalier Mario Cavaradossi (tenore) Emilio De Marchi
Il barone Scarpia (baritono) Eugenio Giraldoni
Cesare Angelotti (basso) Ruggero Galli
Il Sagrestano (basso) Ettore Borelli
Spoletta (tenore) Enrico Giordani
Sciarrone (basso) Giuseppe Gironi
Un carceriere (basso) Aristide Parasassi
Un pastore (voce bianca) Angelo Righi

Direttore: Leopoldo Mugnone

Trama:   

Periodo storico: Roma, giugno 1800.

Atto I:

Poco dopo la Battaglia di Marengo, la Prima Repubblica Romana cade con conseguente atmosfera tesa seguita agli avvenimenti rivoluzionari successi in Francia.

L’inizio dell’opera è solenne e preannuncia Scarpia, il Capo della Polizia Papalina.

Il bonapartista Conte Angelotti, ex console della Repubblica Romana, è evaso dalla prigione di Castel Sant’Angelo e si nasconde nella Basilica di Sant’Andrea della Valle: qui, la marchesa Attavanti, sua sorella, ha preparato degli indumenti femminili per evitare il riconoscimento.
Arrivato in chiesa, a causa dell’operato del Sagrestano, Angelotti è costretto a nascondersi nella Cappella di sua sorella.

Il Sagrestano brontola mentre ripulisce gli strumenti del pittore che, dopo poco, arriva per riprendere il lavoro al ritratto che sta dipingendo.

Mario Cavaradossi ha ritratto di nascosto la Marchesa Attavanti, ma confronta i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri con Tosca (“Recondita armonia”).

Il sacrestano se ne va e Cavaradossi si accorge di Angelotti, suo buon conoscente e di cui approva il credo politico.

Mentre entrambi preparano la fuga, arriva Floria Tosca, l’amante di Cavaradossi, per cui Angelotti è costretto a nascondersi nuovamente nella cappella.

Cavaradossi non può rivelarle quanto sta succedendo, dal momento che Tosca potrebbe rivelare la presenza di Angelotti, in confessione.
Tosca espone al suo Mario quanto desidera, per quella sera (Non la sospiri la nostra casetta…), ma riconosce la marchesa Attavanti come la Maddalena del dipinto e fa una scenata di gelosia al pittore che, faticosamente, riesce a tranquillizzarla e a salutarla (Qual occhio al mondo…),

Angelotti e Cavaradossi riprendono il loro dialogo e il secondo si offre di proteggerlo presso la sua villetta.

Un colpo di cannone rende nota la fuga del prigioniero da Castel Sant’Angelo e Cavaradossi stabilisce di accompagnare Angelotti per coprirlo travestito da donna. Purtroppo, dimenticano il ventaglio nella cappella.

Non è vero che, a Marengo, l’Austria ha vinto su Napoleone, ma la notizia allieta il Sagrestano che vuole ringraziare, organizzando il Te Deum con il coro di bambini.

Il barone Scarpia, capo della polizia papalina, arriva all’improvviso perché insegue Angelotti e nutre forti sospetti su Mario, come bonapartista.
Per poterlo incriminare e incarcerare come complice di Angelotti, cerca di interessare Tosca che è ricomparsa per avvertire Mario che dovrà cantare a Palazzo Farnese per celebrare il fatto bellico (“Ed io venivo a lui tutta dogliosa…”).
Servendosi del ventaglio trovato nella cappella degli Attavanti, Scarpia provoca, ad arte, la gelosia ossessiva di Tosca che cade nel trabocchetto tesole dal poliziotto.
Tutto questo, nonostante sia stata appena tranquillizzata da Mario, perché crede che si sia verificato un incontro clandestino fra Cavaradossi e la Marchesa: per cui promette di ritrovarli.

Atto II:

Scarpia è nel suo appartamento e sta cenando mentre, al piano superiore di Palazzo Farnese, alla presenza del Re e della Regina di Napoli, è in atto il festeggiamento che si svolge per celebrare la battaglia vinta.

Tosca è stata seguita fino alla villetta di Mario da Spoletta e dai suoi gendarmi che la vedono uscire poco dopo dal momento che lei stessa si è resa conto di avere commesso un errore di comportamento geloso.

Dopo la perquisizione della casa del pittore, lo arrestano per non avere trovato Angelotti.
Cavaradossi è condotto da Scarpia e interrogato: rifiutando di svelare il nascondiglio di Angelotti viene torturato.
Dopo poco che Tosca ha cantato al piano superiore, Scarpia la chiama e le fa sentire le grida lamentose di Mario.
Logorata, Tosca riferisce a Scarpia che il nascondiglio di Angelotti è nella villetta e Scarpia ripete, in presenza di Cavaradossi: “Il pozzo nel giardino!”.
Cavaradossi si sente tradito da Tosca e, subito dopo, il messo annuncia che la notizia della vittoria austriaca era falsa, dal momento che Napoleone ha sconfitto i nemici, a Marengo.
Mario si esalta alla notizia della vittoria e Scarpia rende subitanea la sua condanna a morte per fucilazione.

Più tardi, Scarpia viene a sapere che Angelotti di è suicidato all’arrivo degli sbirri nella villetta, per cui ordina l’impiccagione del corpo del Conte accanto a Cavaradossi.

Tosca è disperata e chiede a Scarpia la grazia per il suo Mario: la grazia ci sarà alla condizione che lei gli si conceda, per cui, provando orrore, si rammarica tristemente (“Vissi d’Arte”) e, da persona forte, si ritrova a supplicare l’inflessibile Scarpia, al quale “DEVE” CEDERE.

Scarpia chiama Spoletta e, d’accordo con lui, tranquillizzano Tosca che la fucilazione sarà inscenata con i fucili caricati a salve: “Come facemmo col Conte Palmieri”).
Dopodiché, raccomandato a Spoletta che non vuole essere disturbato, scrive il salvacondotto per Tosca e Cavaradossi in modo che raggiungano il Porto di Civitavecchia e si avvicina a Tosca affinché rispetti il patto ma, lei, avendo trovato un coltello sulla tovaglia, lo uccide.

Poi, s’impossessa del salvacondotto strappandolo dalle mani di Scarpia e, con pietà posa due candelabri ai suoi lati, un crocifisso sul suo petto e se ne va.

Atto III: È l’alba.

Si sente un canto in dialetto romanesco da parte di un pastorello.

Cavaradossi sta per essere giustiziato e scrive a Tosca la sua estrema lettera d’amore, però la interrompe perché ripensa intensamente al loro rapporto attraverso l’aria “E lucevan le stelle”.

Di sorpresa, Tosca arriva e gli racconta di essere stata costretta ad uccidere il poliziotto, gli esibisce il salvacondotto e lo porta a conoscenza della finta fucilazione, per cui scherza anche sul fingere in modo veritiero di morire per ingannare tutti.

Ma Tosca si agita e si scombussola perché Cavaradossi è stato fucilato realmente e, rincorsa dagli sbirri a causa del ritrovamento del corpo inerte di Scarpia, grida “O Scarpia, avanti a Dio!” e si getta nel vuoto.


Brani più noti:

Recondita armonia
Quale occhio al mondo può star di paro
Tre sbirri… una carrozza… presto!… seguila
Va’ Tosca! Nel tuo cuor s’annida Scarpia!
Ella verrà… per amor del suo Mario!
Orsù, Tosca, parlate / Non so nulla! / Non vale
Vissi d’arte, vissi d’amore
E lucevan le stelle… e olezzava
Amaro sol per te m’era morire
O dolci mani mansuete e pure
E non giungono… Bada!…
Son pronto / Tieni a mente… al primo
Com’è lunga l’attesa!

 

Incisioni note:  

Maria Caniglia, Beniamino Gigli, Armando Borgioli, Ernesto Dominici, Giulio Tomei – Oliviero De Fabritiis

Renata Tebaldi, Giuseppe Campora, Enzo Mascherini, Dario Caselli, Fernando Corena – Alberto Erede

Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi, Franco Calabrese, Melchiorre Luise – Victor De Sabata

Antonietta Stella, Gianni Poggi, Giuseppe Taddei, Ferruccio Mazzoli, Leo Pudis – Tullio Serafin

Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, George London, Silvio Maionica, Fernando Corena – Francesco Molinari Pradelli

Birgit Nilsson, Franco Corelli, DietrichFischer-Dieskau, Silvio Maionica, Alfredo Mariotti – Lorin Maazel

Mirella Freni, Luciano Pavarotti, Sherrill Milnes, Richard Van Allan, Italo Tajo – Nicola Rescigno

Katia Ricciarelli, José Carreras, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik, Fernando Corena – Herbert von Karajan

Carol Vaness, Giuseppe Giacomini, Giorgio Zancanaro, Piero De Palma, Danilo Serraiocco, Alfredo Mariotti            – Riccardo Muti

Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Ruggero Raimondi, Maurizio Muraro, Enrico Fissore – Antonio Pappano

 

Adattamenti e video:

Tosca (film 1918)

Tosca (film 1941)

Avanti a lui tremava tutta Roma (film del 1946)

Tosca, film-opera diretto da Carmine Gallone (1956)

La Tosca, film diretto da Luigi Magni con musiche di Armando Trovajoli (1973)

Tosca, film per la televisione del 1976 con Raina Kabaivanska nella parte della protagonista, Plácido Domingo come Mario Cavaradossi, Sherrill  Milnes nella parte del barone Scarpia, Alfredo Mariotti e diretto da Bruno Bartoletti per la regia di Gianfranco De Bosio  Decca.

Tosca: James Conlon/Luciano Pavarotti/Shirley Verrett/MET, regia Tito Gobbi,

1978 Decca Tosca (reg. Franco Zeffirelli, live MET) – Giuseppe Sinopoli/Plácido Domingo/Hildegard Behrens,

1985 Deutsche Grammophon Tosca, nei luoghi e nelle ore di Tosca – film diretta TV (Rai Uno 1992), regia Giuseppe Patroni Griffi, orchestra diretta da Zubin Mehta; Plácido Domingo: Cavaradossi; Catherine Malfitano: Tosca; Ruggero Raimondi: Scarpia.Tosca,film-opera diretto da Benoît Jacquot (RAI uno

2001) Tosca- Amore disperato, opera moderna diretta da Lucio Dalla

(2003) Tosca- Paolo Carignani/Emily Magee/Jonas Kaufmann, 2008 Decca

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:  


“La Tosca”, dramma di Sardou, “viene rappresentato al “Teatro dei Filodrammatici” di Milano nel 1889 e colpisce Puccini al punto di volerne ricavare un’opera; per cui lo comunica a Giulio Ricordi che, a sua volta, ne parla con Sardou il quale non rifiuta ma si dimostra distaccato circa la cosa.

La stesura del libretto viene autorizzata a Ricordi che la passa ad Alberto Franchetti per avere conseguito un grande successo per la sua opera “Cristoforo Colombo”, però Franchetti rinuncia dopo qualche mese e Ricordi affida il lavoro a Puccini.

Ostacoli e considerazioni portano la prima rappresentazione di “Tosca” al Teatro “Costanzi” di Roma, il 14 gennaio 1900, in presenza del presidente del Consiglio Luigi Pelloux e della regina Margherita di Savoia.

Nonostante la serata nervosa e il direttore d’orchestra – Leopoldo Mugnone – sia obbligato ad  interrompere l’esecuzione e ricominciare da capo, nonostante la critica si aspetti un’opera conforme a “Manon” e a “La bohème”, “Tosca” si assicura un posto in repertorio, arrivando ad essere messa in scena nei maggiori teatri lirici della Terra.

In quest’opera (la più drammatica di Puccini) i fatti apprensivi si centralizzano su Tosca-Scarpia-Cavaradossi, disegnando i loro profili caratteriali e l’amore dei due amanti preso di mira dal poliziotto.
Infatti, l’introduzione dell’opera segna la forte solennità che preannuncia il barone Scarpia e la sua personalità viscida, la melodia si distingue particolarmente nei duetti tra Tosca e Mario e nelle tre romanze “Recondita armonia”, “Vissi d’arte”, “E lucevan le stelle”, che rallentano la tensione, mentre la massima drammaticità la riscontriamo nel secondo atto, dove il protagonista è proprio Scarpia.

E’ un caso drammatico che evidenzia la gelosia, la costrizione morale, la menzogna, la tortura, la crudeltà, la vendetta, la punizione.

 


Tosca: 

Tosca: una donna non comune dal carattere dolce – forse, a volte, un po’ fragile ma anche forte – risoluta ed empatica (“ad accarezzar fanciulli … a coglier rose …), con emozioni passionali e fisiche.

E’ anche una Signora, nell’anima, una Signora Artista della Musica, in quanto artista sensibile, oltre a possedere umiltà.

Tosca NON SA che Scarpia SA GIA’ che verrà perduta dalla sua stessa gelosia morbosa, ma il Barone – a causa del suo credersi “il centro dell’universo” – NON si rende conto che questa donna pretende fedeltà dal suo uomo per cui NON SE LA SENTE DI SOTTOSTARE ad un NARCISISTA MALIGNO/PERVERSO e, quindi – appena le capita di vedere il coltello, sulla tovaglia, DECIDE DI UCCIDERE il poliziotto DOPO AVERE RICEVUTO IL SALVACONDOTTO FIRMATO DALLO STESSO SCARPIA.

Poi, in un atto di pietà, Tosca pone i due candelabri ai lati di Scarpia-morto NON senza avere constatato, senza provare rimorso: “E AVANTI A LUI TREMAVA TUTTA ROMA”.

Tosca: un’eroina che ha fatto il possibile per salvare se stessa e il suo uomo dal ricatto ma, alla fine, sarà felice con lui nell’Altro Mondo.

 


Mario Cavaradossi: 

Lavora come pittore nella Chiesa di Santa Maria della Valle, ma vive la società che è attorno a lui con una certa indifferenza, da persona giovane e da artista qual è: infatti, è amante dell’Arte e, nel primo atto, celebra tale Arte per mezzo della bellezza delicata e aggraziata della DONNA attraverso l’aria “Recondita armonia”.
Aria in cui confronta la donna bionda, con gli occhi azzurri del quadro che sta dipingendo, con Floria Tosca, bruna, con “l’occhio nero” della tipica bellezza italiana.

Inizialmente, non è un eroe; non è nemmeno un patriota.
Però sa aiutare il suo prossimo: infatti, si trova faccia a faccia col Conte Angelotti appena evaso da Castel Sant’Angelo, dove era prigioniero liberale-democratico e lo supporta nascondendolo presso casa sua, una villetta con il pozzo dalla quale potrà fuggire.

A seguito di questo, si scoprirà che Cavaradossi è capace di riconoscere i suoi impulsi democratici e per cui la sua personalità diventerà eroica e patriottica: lo si comprende dalla sua resistenza alla tortura per non rivelare il nascondiglio dell’amico Conte Angelotti.

Cavaradossi è vittima del meccanismo mentale di Scarpia e viene fucilato: per avere amato il suo prossimo, paga con la vita.


Scarpia: 
 

La scena del “Te Deum”, scena significativa perché mette in risalto la “rabbia in corpo” di Scarpia, segue immediatamente il suo ordine al fido Spoletta di pedinare Tosca per arrivare ad arrestare i Bonapartisti: infatti, Scarpia è il Deus ex Machina e il maligno Capo della Polizia Pontificia che si serve soprattutto della GELOSIA di Tosca per arrivare ai suoi scopi; in questo caso, a mezzo del ventaglio trovato in chiesa.

Sotto l’aspetto psicologico, Scarpia è un personaggio molto interessante: vissuto e cresciuto con l’educazione e la mentalità del tempo, i fattori ambientali lo portano a rincorrere IL POTERE ed è “L’UOMO CHE COMANDA e TUTTO GLI E’ PERMESSO”.

Scarpia è un approfittatore del maschilismo dell’epoca e della sua carica lavorativa presso lo Stato Pontificio per mostrare la sua “potenza” e la sua ambizione smisurata: infatti, da essere viscido, agisce per proprio interesse personale, è narcisista maligno manipolatore perverso.
E’  “un fragile”, ma sembra che non sappia molto giudicarsi per ciò che è realmente.

Desidera pazzamente Tosca ma, interiormente sadico, NON sa amare le donne perché  è un essere insicuro e frustrato che – inconsciamente – vuole sottomettere la personalità femminile.
NON sa soddisfare e NON saprebbe farlo, specialmente, verso una donna INNAMORATISSIMA del suo uomo.

Come Iago, in “OTELLO” di Verdi, anche Scarpia vola molto in alto, ma – COME PER ICARO – LA CERA DELLE ALI SI SCIOGLIE E LO FA PRECIPITARE ROVINOSAMENTE: PER LUI, IL POTERE TERMINA.

Per cui, a seguito della sua morte:

. Scarpia: il fido Spoletta e il gendarme Sciarrone lo piangeranno perché non avranno più il loro “protettore”.

. Scarpia: la sua presenza si aggira vittoriosa, nel III atto, anche dopo morto, come se fosse un fantasma.

. Scarpia muore per mano di Tosca, ma E’ il VINCITORE su tutti.

. Scarpia è il personaggio più bello dell’opera: senza di lui, “Tosca” non esisterebbe.

Cesare Angelotti: 

Angelotti non è un perdente perché Scarpia avrà il suo corpo freddo, ma NON la sua anima: Scarpia, soprattutto, da sadico mentale, non lo potrà torturare e uccidere.

Vittoriano Sardou ha scritto “La Tosca”, i librettisti Luigi Illica (molto patriottico) e Giuseppe Giacosa hanno saputo trarre l’argomento validamente, esprimendo molto bene la psicologia dell’opera per la musica interiormente divina di Puccini che ha conferito splendore e che l’ha consacrata come capolavoro.

Battuto al computer da Lauretta

 

Il tenore MARIO LANZA canta “RECONDITA ARMONIA”:

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Il soprano RAINA KABAIVANSKA e il tenore PLACIDO DOMINGO cantano il duetto dal I atto “QUALE OCCHIO AL MONDO PUO’ DI STAR DI PARO” :

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Il baritono SHERRIL MILNES e il coro cantano “Tre sbirri… una carrozza… presto!… seguila” e “TE DEUM”:   https://youtu.be/FHOJCdfBFQg

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU canta “VISSI D’ARTE, VISSI D’AMORE”:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “E LUCEVAN LE STELLE”:

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Il soprano MARIA CALLAS e il tenore GIUSEPPE DI STEFANO cantano il duetto dal III atto “O DOLCI MANI MANSUETE E PURE”:

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Il soprano RAINA KABAIVANSKA e il tenore PLACIDO DOMINGO cantano IL FINALE:

 

SAMSON ET DALILA di CAMILLE SAINT-SAËNS 

Opera in tre atti e quattro quadri su libretto di Ferdinand Lemaire tratto da un fatto biblico.

Musica di Camille Saint-Saëns

Fonte: Bibbia

 

Prima rappresentazione: Teatro Granducale di Weimar, 2 dicembre 1877 (in lingua tedesca)

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Pagliano” di Firenze, 26 marzo 1892

Prima rappresentazione francese: Rouen, 23 marzo 1890 (in lingua francese)

 


Personaggi:

Dalila (mezzosoprano)
Samson (tenore)
Il sommo sacerdote di Dagon (baritono)
Abimelech, satrapo (basso)
Un vecchio ebreo (basso)
Un messaggero (tenore)
Due Filistei (tenore e baritono)
Ebrei, Filistei (coro)

 

I primi interpreti: 

Sansone, tenore, Franz Ferenczy
Dalila, mezzosoprano o contralto, Auguste von Müller
Sommo Sacerdote di Dagon, baritono, Hans von Milde
Abimélech, satrapo di Gaza, basso, Dengler
Primo Filisteo, tenore, Karl Knopp
Secondo Filisteo, basso, Felix Schmidt
Messaggero filisteo, tenore, Winniker
Vecchio ebreo, basso, Adolf Henning
Ebrei, Filistei = coro

Direzione: Eduard Lassen

 

Trama: 

Epoca: In Palestina, intorno al 1150 a.C.

Atto I: Una piazza nella città di Gaza, in Palestina, davanti al tempio di Dagon.

Gli Ebrei chiedono aiuto al Signore perché sono oppressi dai Filistei (“Dieu! Dieu d’Israel”).

Sansone li esorta a credere pienamente nel Signore perché  lui riuscirà a liberarli presto  dalla schiavitù (“Arretez, o mes frères!”).

Il satrapo Abimelech schernisce gli Ebrei e il loro Dio (“Qui donc élève ici la voix?”) e viene ucciso da Sansone (“C’est toi que sa bouche invective…..”), per cui il suo seguito fugge in una direzione, mentre Sansone e i suoi fuggono nell’altra.

Il Gran Sacerdote, rendendosi conto dell’uccisione di Abimelech, comanda la sterminazione degli Ebrei (“Que vois je? Abimelech! Frappé par des esclaves!”), quando un messaggero comunica che gli Ebrei, guidati da Sansone, stanno saccheggiando il raccolto, per cui si rifugia nelle montagne, mentre gli Ebrei ringraziano il Signore (“Hymne de joie…”).

Dalila esce dal tempio assieme ad altre sacerdotesse filistee (“Voici le printemps…..”), e  usa l’astuzia affinché i Filistei si rivalgano sugli Ebrei e celebra la vittoria di Sansone dicendogli di amarlo e invitandolo ad accompagnarla nella valle di Soreck (“Je viens célébrer la victoire…..”).

Nonostante sia incerto tra diversi sentimenti e i richiami di un vecchio saggio ebreo che lo ha avvertito della doppiezza e della falsità di Dalila, Sansone  la segue nella sua casa.

 

Atto II: La valle di Soreck, in Palestina.

In attesa dell’arrivo di Sansone, Dalila prega Dagon, il Dio dei Filistei, perché  lei possa aiutare il suo popolo contro gli Ebrei (“Samson, recherchant ma présence…”, “Amour, viens aider ma faiblesse”) e, al Gran Sacerdote  (“J’ai gravi la montagne…”), a cui confida il suo programma (“Qui….. déjà par trois fois…”), Dalila giura la soppressione di Sansone.

Giunge Sansone, quasi pentito di non avere ascoltato i consigli circa il fare attenzione a Dalila: Dalila che lo irretisce nella scena della seduzione (“Mon coeur s’ouvre à ta voix…”), facendo capitolare il giovane che, però, non vuole portarla a conoscenza del segreto della sua forza.

Dalila fa la preziosa, lo fa sentire in colpa e vile per non amarla, per cui torna a casa.

Si manifesta l’ira di Dio attraverso un forte temporale.

Sansone è lacerato dalla passione (“En ces lieux, malgré moi…..”), per cui pensa che sia giusto seguire la donna che, dopo poco tempo, chiama gli sbirri del Gran Sacerdote che circondano la casa e lo incarcerano.

 

Atto III:

Scena I: Nella prigione di Gaza, Sansone gira la macina.

Sansone, privo della forza donatagli dai capelli e accecato, nel carcere, costretto a girare  la macina da mulino (un lavoro svolto dagli asini), prega affinché gli Ebrei non si vengano a trovare nelle sue stesse condizioni (“Vois ma misère, helas!”).

Inoltre, Ebrei prigionieri lo maledicono a causa di Dalila  (“Samson, qu’as tu fait de tes frères?”) .

Scena II: Interno del Tempio di Dagon.

Sansone viene portato nel tempio di Dagon nel quale un’orgia incontrollata (“Baccanale”) rende onore alla vittoria filistea e subisce lo scherno del Gran Sacerdote che lancia una sfida: “prega” il Dio ebreo affinché renda la forza a Sansone (“Salut! Salut au juge d’Israel!….. “),.

Nel tempio, tutti lodano ed esaltano Dagon, che ritengono il solo ed effettivo dio assoluto, mentre Dalila (alquanto cinica e crudele) e la calca popolare si beffano di Sansone che, pregato Dio di rendergli “gli occhi, la forza e la vittoria” per un istante, chiede l’aiuto di un ragazzino per farsi accompagnare presso le due colonne portanti del tempio dove, idem,  prega Dio di ridargli la sua forza per provocarne il crollo, per cui tutti quelli che si trovavano al suo interno moriranno assieme allo stesso Sansone.

 

Brani famosi:

Dieu! Dieu d’Israël! (Coro, Atto I)
Printemps qui commence (Dalila, Atto I)
Amour, viens aider ma faiblesse (Dalila, Atto II)
Mon cœur s’ouvre à ta voix (Dalila, Atto II)
Baccanale (Atto III)

 

Discografia (selezione):

Jon Vickers, Rita Gorr, Ernest Blanc   Georges Prêtre   EMI
Plácido Domingo, Elena Obraztsova, Renato Bruson   Daniel Barenboim Deutsche Grammophon
José Carreras, Agnes Baltsa, Jonathan Summers Colin Davis Philips
Placido Domingo, Waltraud Meier, Alain Fondary Myung-whun Chung EMI

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Fin dalla sua comparsa sulla Terra, l’uomo ha sentito il bisogno di credere in qualcosa di superiore.
Ogni popolo crede e prega a suo modo.

“Samson et Dalila” è un melodramma suggerito dall’episodio biblico di Sansone e Dalila dove presenziano misticismo e sensualità, Ebrei e Filistei con il rispettivo Dio.

La trama dell’opera racconta di Dalila, la seduttrice e incantatrice che consegna Sansone,  il prode Ebreo, ai suoi avversari Filistei: Sansone che, però, si riscatterà implorando il vero Dio a mezzo di «Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto!».

Giugno 1870: Liszt è direttore artistico del teatro  di  Weimar e dà la disponibilità a Saint-Saens per la prima rappresentazione di “Samson et Dalila” che ottiene un grande successo; impresa che, differentemente, risulta più difficile in Francia.

Inizialmente, doveva essere un oratorio che seguiva “Samson Agonistes” di Milton,  “Samson” scritto da Voltaire per Rameau, “Samson” di Haendel.

Pare che il libretto di Lemaire  abbia avuto anche lo “zampino” del musicista, un buon letterato.

Il debutto dell’opera avviene in lingua tedesca (Simson und Delila) il 2 dicembre 1877 al Teatro “Granducale” di Weimar, con Hans Feodor von Milde (Oberpriester), sotto la direzione di Eduard Lassen.

Esito: grande successo.

Ma il pubblico non è altrettanto entusiasta dopo l’esecuzione avvenuta in lingua francese il 23 marzo 1890, a Rouen.
Dopo questi inizi, l’opera  diventerà  la creazione lirica più famosa di Saint-Saëns, entrando nel repertorio lirico dei maggiori teatri del mondo.

La musica dei compositori francesi è raffinata.

Oltre a questo, Saint-Saens è un maestro di musica delicato: Sansone ha una parte tenorile melodica e lirica e, a Dalila, viene dato il timbro di mezzosoprano e il ruolo del personaggio con volontà molto forte e capace di “condurre”.

La fonte di “Sansone e Dalila” è ispirata dal libro dei Giudici dell’Antico Testamento.

Saint-Saens, nel 1866, decide di musicare un Oratorio, dove Il “voto di castità” infranto da  Sansone, rappresenterebbe  il risveglio della società francese dopo gi anni libertini e corrotti  sotto il dominio di Napoleone III.

E’ un’opera-“cavallo di battaglia” di Fiorenza Cossotto, Agnes Baltsa, Grace Bumbry, Shirley Verrett e Anita Rachvelishvili.

 

Sansone:  

Isacco (figlio di Abramo e Sara), come San Giovanni il Battista, nasce quando i genitori sono avanti negli anni.

Così è anche per Sansone: la madre Mara è sterile e il padre Manoach (della Tribù di Dan) non hanno discendenti, per cui, questo tipo di figli nati tardi e concepiti da madre sterile è un dono divino perché tali figli sono coloro che vengono consacrati a Dio per tutta la vita.

Infatti, l’Angelo del Signore predice a Mara che partorirà un figlio che libererà il loro popolo dai Filistei.

Sansone è un Giudice, ossia un Governatore, e scopre che il padre ha fatto sposare la moglie filistea al compagno di nozze, per cui stabilisce di vendicarsi bruciando il raccolto della popolazione nemica la quale, saputo che il motivo è il matrimonio tradito, danno fuoco alla donna e al padre.

Perdendo la moglie, Sansone attua un massacro presso i Filistei, dopodiché si rintana  nella caverna della rupe di Etam.

Quindi, tremila Giudei si comportano falsamente verso Sansone che, trovato una mascella d’asino, la usa come arma e uccide mille uomini.

Il luogo è Ramat-Lechi (che significa <la parte alta della mascella>).

Sansone, in Ebraico, significa “piccolo sole” ed è l’Eletto da Dio, personaggio con la  predisposizione “solare”: infatti, in Ebraico, si dice “Shemesh” che, tradotto, significa “Sole”, mentre la sua  origine è Bet-Shemesh, ossia “la casa del sole”.

Fin dal ventre materno, il puro Sansone riceve delle direttive che insegnano ciò che dovrà adottare fra cui una dieta simbolica, evitare alcoolici e cibi non appartenenti alla legge biblica.

E’ una missione secondo la quale dovrà mantenere il voto del «nazireato» (dall’ebraico nazir, “consacrato”) che impone  di  non tagliarsi i capelli come segno della devozione secondo  virilità (la capigliatura) e, quindi, l’obbligo della sua persona dedicata a Dio.

I capelli di Sansone indicano la sua forza, sono raccolti in sette trecce e sono simili ai raggi solari.

Ricevendo la sua grandissima forza dai propri capelli, Sansone pratica gesti e atti addirittura soprannaturali.

Questa forza lo rende invincibile e anche simbolo di virilità, facendone un campione: infatti, uccide un leone a mani nude, uccide mille Filistei con una mascella di asino e riesce a demolire la porta della città di Gaza.

I capelli rivestono importanza per quanto riguarda forza e potere in parecchie culture, nei diversi periodi della Storia.

Sansone, < giudice-governatore > di Israele, combatte con i Filistei, avversari potenti – e il  tutto – è raccontato nei capitoli 13-16 del libro biblico dei Giudici.

Purtroppo, la sua forza fisica NON è pari alla sua forza mentale perché, interiormente, ha la fragilità di un bambino.

Nella Bibbia (Vecchio Testamento), lo dimostra quando si sente gratificato per le sue tante conquiste femminili che, per la verità, “lo canzonano”.

Lo dimostra, chiedendo l’intervento del padre di prendergli per moglie un donna che gli piace, MA che ha visto una sola volta: è il tipico essere che non si è mai sacrificato per conquistare la ricompensa morale.

Lo dimostra con immaturità e inesperienza verso le donne, cedendo alle insistenze di Dalila quasi “per non essere più disturbato”, senza riflettere neppure un istante sulle conseguenze negative.

Questa “arrendevolezza” è la debolezza che porterà alla sua cattura da parte dei Filistei, sarà accecato e “utilizzato” quale divertimento per il popolo.

La cecità esterna è il primo sacrificio che lo trasforma e che lo porta alla consapevolezza dopodiché, di conseguenza, acquisisce la capacità di “vedere” attraverso il proprio interiore, per cui Sansone “paga” per una rinuncia per la quale intraprende un sacrificio: una rinuncia sul piano inconscio che corrisponde ad una “perdita” sul piano fisico.

Lentamente, diventa un prode: la “rinuncia obbligata” ai suoi capelli gli fa perdere l’energia fisica, ma gli sviluppa una “modificazione interiore” che lo porterà all’altra rinuncia consapevole, ossia il sacrificio a mezzo della sua stessa vita riguardante l’incarico che gli è stato affidato da Dio per concretizzarsi (oggi, diremmo: rinuncia cosciente all’infantilismo, al narcisismo).

 

Dalila: 

Il suo nome deriva da “Lajlah”, ossia “la notte”.

E’ sacerdotessa del loro Dio: Dagon.

In lingua ebraica, il nome del dio Dagan diventa Dagon ed è  conosciuto  anche come Zagan, importante divinità cananaica della fertilità e del raccolto, padre di Baal.

Il suo aspetto: uomo che spunta da una spiga di grano oppure come uomo barbuto dalla  forma di pesce nella parte inferiore del corpo.

Ha alcune similarità con Oannes, considerato il patrono dei fattori e degli agricoltori.

Psicologicamente, Dalila è un essere devastante e spiritualmente basso, è sadica per cui  non le importa di infliggere il dolore agli altri: infatti, SA di essere affascinante e si serve di questo suo ascendente per distruggere la forza fisica e morale di Sansone.

Dalila è lasciva, incline alla sensualità, alla licenziosita’, con fascino erotico anche vocale: nell’opera lirica di Saint-Saëns, canta l’aria seduttiva dolcissima, affascinante, trascinante “Mon Coeur s’ouvre a’ ta voix”, un’aria grandiosa, subdola e serpeggiante, che priva Sansone delle poche forze spirituali che gli rimangono.

Il duetto d’amore vive durante una scena di tempesta e la melodia simboleggia l’ira divina perché, qui, Sansone perde purezza e forza: musicalmente, è un momento alto.

Abile nella riuscita, consegue la vittoria su Sansone che aveva combattuto i Filistei in maniera crudele, bruciando le messi, devastando, assogettando gli stessi Filistei in modo pesante: Dalila gli fa pagare l’offesa.

(Oggi, è possibile ricordare le lotte femministe ma, a differenza di sentimenti, Dalila la si potrebbe descrivere come un bullismo femminile).

Donna dannosa e perfidamente falsa, con  fascino e cognitività mentali alquanto grandi, con sangue freddo, usa tutto ciò per arrivare ad un’unica finalità: la vendetta verso l’essere umano maschio e prendersi una rivincita, un “riscatto”.

Quale campione di Israele, Sansone è scomodo ai Filistei e, come tale, ostacola i loro disegni, per cui pensano alla sua soppressione per mezzo della sua non molto convincente fama di donnaiolo, per cui l’unica maniera è di indebolirlo per mezzo di una donna: la sua debolezza è inversamente proporzionale alla capacità cerebrale di dominare di Dalila in età sessualmente attiva e “mescolandosi” con altri, sua capacità di cui si serve con lo scopo di “castigare” tutto il genere maschile.

Da traumatizzata, Dalila E’ LA “PUNIZIONE” ed è aggressiva, per cui attua la “VENDETTA-CASTIGO” – che lei stessa RAPPRESENTA – sul genere maschile attuata attraverso modi e condotte che, a volte, psicologicamente, infragiliscono gli uomini, li portano ad essere  docili, cedevoli; li sopraffa “evirandoli”  dalla forza fisica e dalla validità di supremazia sul genere femminile.

A mezzo dei suoi capelli, Sansone simboleggia la forza e la virilità del maschio.

Ma, emotivamente, è facilmente manipolabile e influenzabile e, data la sua inesperienza verso il mondo femminile, Dalila lo priva della sua capigliatura-simbolo, ossia della sua “forza”, delle sue “possibilità”.

Dalila agisce in base alla mentalità e alle usanze di quel tempo, ma la cosa è corrente in tutte le società maschiliste di oggi.

Dalila è stimata e remunerata dai Filistei per distruggere Sansone ma, nella sua capacità psichica, è presente la necessità interiore radicata di rivalersi su un ruolo che può avere per altre vie.

Seduttrice per sete di vendetta, di denaro e di potere, “sa condurre”: per la sua opera di seduzione su Sansone, infatti, riceve mille e cento sicli d’argento.

A quel tempo, la donna è oggetto di piacere dell’uomo a scopo di matrimonio-gestione patrimoniale ma, oggi, le femmine hanno un certo “rendersi mascoline”per mezzo  dell’esibizione con comportamenti di stile maschile.

Dalila, dopotutto, per denaro, per vendetta o per potenza, è spia e aiuta il proprio popolo che adora i suoi Dei e su cui, però, alla fine, vince Geova, attraverso Sansone-caduta del Tempio di Dagon.

 

Donna intelligente, non credo che sia poi da aborrire tanto.

Psicologicamente, Dalila è un bellissimo personaggio ed è molto intrigante.

 

OPERA-COLOSSO BIBLICO,  IL TENORE MARIO DEL MONACO LA RITENEVA UNA DELLE CINQUE OPERE PIU’ IMPORTANTI DA LUI INTERPRETATE.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

 

 

Il tenore JOSE’ CARRERAS e il mezzosoprano AGNES BALTSA cantano “DIEU! DIEU D’ISRAEL!”:

 

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Il mezzosoprano ELINA GARANCA canta “PRINTEMPS QUI COMMENCE”:

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Il mezzosoprano OLGA BORODINA canta “AMOUR, VIENS AIDER MA FAIBLESSE”:

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Il mezzo soprano ELINA GARANCA canta “MON COEUR S’OUVRE à TA VOIX”:

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JAMES LEVINE dirige il “BACCANALE”:

 

I PAGLIACCI di RUGGIERO LEONCAVALLO

 

Opera in due atti su libretto e musica di RUGGERO LEONCAVALLO.

Tratta da un fatto realmente accaduto.

Prima rappresentazione: 21 maggio 1892 al Teatro “Dal Verme” di Milano.

 

Interpreti:  della prima rappresentazione:

Canio/Pagliccio (tenore) Fiorello Giraud
Nedda/Colombina (soprano) Adelina Stehle
Tonio/Taddeo (baritono) Victor Maurel
Beppe/Arlecchino (tenore) Francesco Daddi
Silvio (baritono) Mario Roussel

Direttore:i Arturo Toscanini.


Trama:

Periodo storico: la Festa dell’Assunzione (periodo: tra il 1865 e il 1870).

Per un’opera, solitamente, si scrive una premessa (come facevano Lully  e Gluck), o si prepara  un’esposizione che spiega chiaramente (come Wagner, Busoni ed altri), ma non è il caso di Leoncavallo che ha musicato le sue idee presentandole come “prologo” dell’opera “I Pagliacci” (“Si può?, si può?”): idee piuttosto chiare per chi ascolta

Tonio, personaggio importante, rivela al pubblico il “proposito del poeta”: presentare personaggi reali con sentimenti veri alla “commedia dell’arte” e, con il sipario sceso, attraverso la bellissima melodia introduttiva del prologo, non nasconde che, dietro la maschera del “clown”, si nasconde l’anima triste e malinconica dei commedianti; forse, la tristezza dello stesso Leoncavallo.

La piccola compagnia teatrale è mobile ed è formata dal capocomico Canio, da Nedda (sua moglie) e da  Tonio e Beppe (due commedianti); arriva in un paesino del Sud Italia.

Il deforme Tonio ama Nedda (stanca di una vita di tipo vagabondo, sogna una vita residente) e, in principio, è rispettoso, con lei ma, respinto dalla donna, diventa malvagio e vendicativo, per cui avverte Canio del tradimento da parte della stessa Nedda con Silvio (un contadino del luogo).

Canio li scopre, ma Silvio fugge senza essere riconosciuto.

Canio vorrebbe colpire la moglie, ma Beppe raccomanda l’inizio della commedia perché il pubblico è presente.

Canio è possessivo e si rende conto di essere di età molto maggiore di Nedda, ma l’ama intensamente.

Canio è turbato, ma DEVE truccarsi per lo spettacolo (“Vesti la giubba”) e, attraverso “Ridi Pagliaccio”, il suo dolore viene evidenziato drammaticamente considerando che – in scena – DEVE recitare la “sua” parte di marito ingannato.

La recitazione di Canio/Pagliaccio sta nell’interpretare un marito tradito, ma la finzione diventa realtà (“No, Pagliaccio non son”) e rinfaccia a Nedda/Colombina la sua non riconoscenza, facendole presente che il suo amore è diventato odio a causa di gelosia.

Nedda, intimidita, reagisce conservando un tono da recitazione e, provocata, reagisce con durezza.

Beppe capisce che le cose sono cambiate, ma non può intervenire perché Tonio, glielo impedisce.

Il pubblico è attratto dal cambiamento da farsa in dramma ma, troppo tardi, si rende conto che non si tratta più di creazione scenica.

Nedda si rifiuta di dire il nome dell’amante e Canio la accoltella a morte.

Silvio, fra il pubblico, accorre sul palco per aiutarla, ma trova la stessa fine.

Rivolgendosi al pubblico, Canio stabilisce che  “La commedia è finita!”: all’inizio, era la battuta beffarda e compiaciuta di Tonio/Taddeo al pubblico, ma – poi – è passata a Canio come prassi esecutiva abituale.

 


Brani noti:  

“Si può?”, Tonio (Prologo)
“Son qua, ritornano!”, Coro (Atto I)
“Qual fiamma avea nel guardo”, Nedda (Atto I)
“Vesti la giubba”, Canio (Atto I)
“Canzone di Arlecchino”, Beppe (Atto II)
“No, Pagliaccio non son”, Canio (Atto II)

Incisioni: 

Alessandro Valente, Adelaide Saraceni, Apollo Granforte, Leonildo Basi, Nello Palai Carlo Sabajno
Francesco Merli, Rosetta Pampanini, Carlo Galeffi, Gino Vanelli, Giuseppe Nessi Lorenzo Molajoli
Beniamino Gigli, Iva Pacetti, Mario Basiola, Leone Paci, Giuseppe Nessi Franco Ghione
Richard Tucker, Lucine Amara, Giuseppe Valdengo, Clifford Harvuot, Thomas Hayward Fausto Cleva
Jussi Björling, Victoria de los Ángeles, Leonard Warren, Robert Merrill, Paul Franke Renato Cellini
Mario Del Monaco, Clara Petrella, Afro Poli, Aldo Protti, Piero De Palma Alberto Erede
Giuseppe Di Stefano, Maria Callas, Tito Gobbi, Rolando Panerai, Nicola Monti Tullio Serafin
Mario Del Monaco, Gabriella Tucci, Cornell MacNeil, Renato Capecchi, Piero De Palma Francesco Molinari Pradelli
Gianni Poggi, Aureliana Beltrami, Aldo Protti, Walter Monachesi, Alfredo Nobile Ugo Rapalo
Franco Corelli, Lucine Amara, Tito Gobbi, Mario Zanasi, Mario Spina Lovro von Matačić
Carlo Bergonzi, Joan Carlyle, Giuseppe Taddei, Rolando Panerai, Ugo Benelli Herbert von Karajan
James McCracken, Pilar Lorengar, Robert Merrill, Tom Krause, Ugo Benelli Lamberto Gardelli
Plácido Domingo, Montserrat Caballé, Sherrill Milnes, Barry McDaniel, Leo Goeke Nello Santi
Luciano Pavarotti, Mirella Freni, Ingvar Wixell, Lorenzo Saccomani, Vincenzo Bello Giuseppe Patanè
José Carreras, Renata Scotto, Kari Nurmela, Thomas Allen, Ugo Benelli Riccardo Muti
Plácido Domingo, Teresa Stratas, Juan Pons, Alberto Rinaldi, Florindo Andreolli Georges Prêtre
Luciano Pavarotti, Daniela Dessì, Juan Pons, Paolo Coni, Ernesto Gavazzi Riccardo Muti
José Cura, Barbara Frittoli, Carlos Álvarez, Simon Keenlyside, Charles Castronovo Riccardo Chailly

 

Videografia:

Mario Del Monaco, Gabriella Tucci, Aldo Protti, Attilio D’Orazi, Antonio Pirino Giuseppe Morelli

Plácido Domingo, Teresa Stratas, Juan Pons, Alberto Rinaldi, Florindo Andreolli Georges Prêtre Franco Zeffirelli Philips

Luciano Pavarotti, Teresa Stratas, Juan Pons, Dwayne Croft, Kenn Chester James Levine Franco Zeffirelli, Fabrizio Melano DG

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:  

Un’opera magica con personaggi tristi, nonostante Nedda sogni attraverso la sua “ballatella” e la gente rida per la comicità della commedia.

Un’opera attuale e realista, un dramma umano che si svolge nella verde zona sulle montagne appenniniche di Montalto, in Calabria.

Un’opera in cui la mentalità è quella della seconda metà dell’ ‘800, quando “non esistono i diritti” ma esiste il “delitto d’ onore” (in Italia, abrogato nel 1981).

Un’opera con un pizzico di folclore e dove tutto comincia dalla derisione di Nedda verso Tonio per autodifendere un suo diritto che “sente” di avere.

 


Tonio:   

E’ un soggetto infido e servile ma, all’inizio, Tonio/Taddeo considera la parità di sentimenti fra la gente “normale” e gli artisti girovaghi.

Ciò che, pare, non è per Canio.

Taddeo di estrazione sociale bassa, complessato cosciente della sua deformazione fisica, SA essere vendicativo, sottile e subdolo nel manipolare Canio, mentalmente.

Da artefice della conseguenza drammatica alla sua vendetta, impedisce persino che Beppe salvi Nedda dall’ira di Canio, in scena.

SA compiere atti cattivi perché la sua cattiveria è dovuta, infatti, al suo complesso d’inferiorita’ e alla sua frustrazione, complesso che gli procura sofferenza interiore di rabbia e odio verso gli altri.

 


Nedda: 

Nedda, innamorata e giovane, si abbandona ai suoi sogni, (“Stridono lassù”).

È sempre osservata da Tonio che viene respinto dalla donna perché innamorata di Silvio.

NON è colpa sua se s’innamora di un uomo che le si addice principalmente per l’età, a differenza del marito che potrebbe essere suo padre: Nedda ha i suoi diritti, MA – chi comanda – sono la mentalità e le leggi del tempo.

Tonio, complessato a causa della sua deformazione (Silvio, incoscientemente, lo soprannomina “Tonio, lo scemo”, nonostante il serio timore di Nedda), è capace di provare un sentimento sincero nei confronti della donna e, nel contempo, realizza di essere “lieto” che gli venga offerta l’occasione di aiutare Canio a “fare giustizia”; tale sentimento che gli provoca gelosia lo porterà a vendicarsi e causerà la tragedia, nonostante la resistenza di Nedda verso Silvio (nel duetto ” Non mi tentar”) e nonostante gli sia appartenuta.
Ma si riprende e l’amore trionfa: fuggiranno assieme.

Nedda, in un processo al giorno d’oggi, sicuramente verrebbe assolta.

 


Canio:

Canio: con età molto maggiore di Nedda, l’aveva raccolta orfana, sfamata e sposata “dandole un nome”.

NON sa capacitarsi di perdere la giovane moglie che lui ama, forse, morbosamente.

NON sa capacitarsi che la sua anima NON accetti la sfida vigente secondo la mentalità e le leggi del 1800.

NON gli resta altro che chiedere alla moglie “il nome dell’amante” secondo l’argomento simile della commedia-spettacolo.

Canio: veridicità, specialmente, in “Recitar”, verso il finale dell’opera.

Canio si rende conto, lucidamente, che “la commedia è finita”: morta Nedda, la sua vita – ormai – non ha più scopo perché Nedda RAPPRESENTAVA una cosa reale e positiva di sopravvivenza; LUI l’aveva raccolta e sfamata (oggi, sarebbe come una specie di badante).

Nedda era più giovane di lui e RAPPRESENTAVA il suo aiuto a vivere, praticamente: COSA IMPORTANTE.

 


Silvio: 

Silvio è malinconico e, quando convince Nedda a fuggire, il duetto estasiato ed incantato ha le basi nel secondo atto di “Tristano e Isotta” di Richard Wagner.

Se è vero che “Tristano e Isotta” è chiamata anche “l’opera degli sguardi” perché l’amore fra i due era nato prima di bere il filtro d’amore, è anche vero che Leoncavallo – in gioventù, appassionato di Wagner – si richiama al compositore tedesco.

 

Il pubblico:

Il pubblico si commuove per la veridicità della commedia che si conclude in tragedia-dramma della gelosia che porta Canio ad uccidere Nedda e Silvio: “La commedia è finita”.

Battuto al computer da Lauretta  

Il baritono SALVATORE SASSU canta “ SI PUO’ “ (PROLOGO):

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Il tenore CARLO BERGONZI e CORO cantano “SON QUA, RITORNANO!”:

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Il soprano ANNA MOFFO “ QUAL FIAMMA AVEA NEL GUARDO … STRIDONO LASSU’ ” (aria delle Campane):

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU e il baritono DMITRI HVOROSTOVSKY cantano il duetto “DECIDI IL MIO DESTIN”:

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l tenore MARIO DEL MONACO canta “RECITAR … VESTI LA GIUBBA”:

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Il tenore BENIAMINO GIGLI canta “O, COLOMBINA” (“Canzone di Arlecchino”):

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Il tenore MARIO DEL MONACO e il soprano GABRIELLA TUCCI cantano “No, Pagliaccio non son” e finale:

 

 

 

OTELLO di GIUSEPPE VERDI

Opera in 4 atti su libretto di Arrigo Boito tratto dalla tragedia “Othello” (1603) di William Shakespeare

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano, 5 febbraio 1887, nel periodo della “Stagione di Carnevale e Quaresima”.

Esito: grande successo.

 

In seguito, Verdi opera alcune modifiche alla partitura per la versione francese (Danze) che va in scena al “Théâtre de l’Opéra” di Parigi come “Othello”, il 12 ottobre 1894.

Il libretto viene tradotto dallo stesso Boito e da Camille du Locle.

 

Personaggi:

Otello, moro, generale dell’Armata Veneta (tenore)
Iago, alfiere (baritono)
Cassio, capo di squadra (tenore)
Roderigo gentiluomo veneziano (tenore)
Ludovico, ambasciatore della Repubblica Veneta (basso)
Montano, predecessore d’Otello nel governo dell’isola di Cipro (baritono)
Un araldo, (basso)
Desdemona, moglie d’Otello (soprano)
Emilia, moglie di Iago (mezzosoprano)

Coro

Primi interpreti:

Otello (tenore) Francesco Tamagno
Desdemona (soprano) Romilda Pantaleoni
Iago (baritono) Victor Maurel
Emilia (mezzosoprano) Ginevra Petrovich
Cassio (tenore) Giovanni Paroli
Roderigo (tenore) Vincenzo Fornari
Lodovico (basso) Francesco Navarrini
Montano (baritono) Napoleone Limonta
Un Araldo (basso) Angelo Lagomarsino

Direttore e inventore del macchinismo: Luigi Caprara

Maestro del coro: Giuseppe Cairati

Concertatore: Giuseppe Verdi

Direttore d’orchestra: Franco Faccio

Secondo violoncello dell’orchestra: Arturo Toscanini


Trama: 

Atto I

L’esterno del castello. Una sera con forte temporale.

La nave di Otello, il generale dell’Armata Veneziana, ha difficoltà ad attraccare, per cui ufficiali, soldati e popolazione di Cipro assistono atterriti al difficile approdo.

Otello, “Il Moro”, dichiara la sua vittoria contro i Musulmani: «Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar; nostra e del ciel è gloria! Dopo l’armi lo vinse l’uragano!».

L’alfiere Iago odia profondamente Otello perché ha nominato Cassio luogotenente al posto dello stesso Iago.

Roderigo – gentiluomo veneziano – è innamorato di Desdemona e viene avvicinato da Iago che gli fa conoscere il proprio odio per il Moro e gli fa credere che anche Cassio provi passione per la donna.
Ad entrambi conviene rovinare Cassio.

Iago istiga Cassio a bere che, ubriaco, cede alla provocazione di Roderigo, duellando, e Montano, ex governatore di Cipro, viene ferito per fermarli.
Il rumore fa accorrere Otello che punisce Cassio, degradandolo.

Giunge Desdemona e il Moro ordina a tutti di allontanarsi.

Otello e Desdemona si sono sposati segretamente; in questo duetto, Otello rivive i momenti burrascosi della sua vita e i momenti dolci dell’inizio del loro amore.

La notte che seguirà sarà angelica.

Atto II: Una sala terrena del castello.

Il “ragno” Iago continua ad intessere la sua trama: dopo avere consigliato a Cassio di ricorrere a Desdemona per perorare la sua causa, a poco a poco persuade il Moro che fra Cassio e sua moglie sia in atto un amore.

Desdemona NON SA che cosa Iago stia preparando e, rivolgendosi ad Otello, distrattamente, lascia cadere il fazzoletto donatole dal marito come pegno d’amore.

Emilia, ancella di Desdemona, lo raccoglie ma le viene subito sottratto da Iago, suo marito.

Iago racconta ad Otello che Cassio, in sogno, rivolgeva parole tenere a Desdemona e di aver visto il fazzoletto nelle mani dell’ufficiale.
La cosa provoca l’ira furibonda e la gelosia di Otello che giura punizione.

Atto III: La grande sala del castello.

Gli ambasciatori di Venezia stanno recandosi a Cipro, a bordo di una galea.

Otello chiede a Desdemona di fasciargli la fronte col fazzoletto che le aveva regalato.
Desdemona si accorge di averlo perduto e, confusa, non può farlo; inoltre, l’insistere nella perorazione verso Cassio, fanno incollerire Otello che insulta e scaccia la sua sposa, in lacrime.

Per fornire una prova del tradimento di Desdemona, Iago organizza un incontro con Cassio, mentre Otello origlia nascosto: pensa di capire il senso pur non sentendo le parole che, per la verità, intendono Donna Bianca.
Cassio proferisce il nome di Desdemona e sorride, tenendo in mano il famoso fazzoletto che Iago aveva già fatto arrivare nell’abitazione di Cassio, all’oscuro di tutto.

La galea veneziana approda nel porto assieme allo squillo di tromba e al colpo di cannone-segnale mentre, con Iago, decide di uccidere la moglie adultera.

Nella sala con dignitari, gentiluomini e dame, Desdemona è turbata ma presenzia alla cerimonia accompagnata da Emilia.

L’Ambasciatore della Repubblica Veneta rende noto il messaggio del Doge che richiama Otello a Venezia; Cassio gli succederà a Cipro.

Lodovico prega Otello di consolare Desdemona piangente, ma il Moro è convinto che il dolore della donna confermi il tradimento.
Non riuscendo a padroneggiare i suoi impulsi, la butta a terra.
I presenti sono sbigottiti e agghiacciati; Otello ordina loro di andarsene, e maledice Desdemona.
Una paurosa crisi convulsiva, lo fa cadere a terra svenuto.

Fuori del palazzo, si inneggia al «Leon di Venezia», ma il feroce Iago deride: «Ecco il Leone!».

Atto IV: La camera di Desdemona.

Desdemona ha un triste presentimento e, si prepara per la notte. Emilia, come sempre, l’assiste.
Desdemona canta “La canzon del salice” e, prima di addormentarsi, recita l’Ave Maria.

Otello entra silenzioso in camera della moglie; le si avvicina; la bacia.
Desdemona si sveglia e Otello le dice che la sua morte è vicina, per cui chieda perdono al cielo per i suoi peccati.
Desdemona tenta di difendersi ma Otello la soffoca con il suo stesso cuscino.
Emilia entra appena in tempo per ascoltare le ultime parole della morente: «Al mio signor mi raccomanda… Muoio innocente…».

Otello dichiara che Desdemona lo ha tradito, per cui Emilia gli rivela che Cassio ha ucciso Roderigo.
Poi, Emilia grida anche: «Otello uccise Desdemona!».
Tutti accorrono.
Emilia smaschera Iago rendendo noto l’inganno del fazzoletto. Iago fugge davanti a tutti, inseguito dai soldati.

Tutto è stato reso lampante e Otello si pugnala, cadendo sul corpo della moglie.
Muore baciandola per l’ultima volta.


Brani noti: 

Esultate!, sortita di Otello (Atto I)
Innaffia l’ugola!…Chi all’esca ha morso, Brindisi (Atto I)
Già nella notte densa, duetto, Otello e Desdemona (Atto I)
Credo in un Dio crudel, monologo, Jago (Atto II)
Sì, pel ciel marmoreo giuro, cabaletta, Otello e Jago (Atto II)
Dio ti giocondi, o sposo, duetto, Otello e Desdemona (Atto III)
Dio! Mi potevi scagliar, monologo, Otello (Atto III)
Questa è una ragna, terzetto tra Jago, Cassio ed Otello(Atto III)
Canzone del salice (Piangea cantando), Desdemona (Atto IV)
Ave Maria, preghiera di Desdemona (Atto IV)
Niun mi tema, monologo, Otello (Atto IV)


Incisioni più note: 

Ramón Vinay, Herva Nelli, Giuseppe Valdengo;
Mario Del Monaco, Renata Tebaldi, Aldo Protti
Jon Vickers, Leonie Rysanek, Tito Gobbi
Mario Del Monaco, Renata Tebaldi, Aldo Protti
James McCracken, Gwyneth Jones, Dietrich Fischer-Dieskau
Jon Vickers, Mirella Freni, Peter Glossop
Carlo Cossutta, Margaret Price, Gabriel Bacquier
Placido Domingo, Katia Ricciarelli, Justino Díaz
Placido Domingo, Barbara Frittoli, Leo Nucci
Jonas Kaufmann, Maria Agresta, Marco Vratogna
Jonas Kaufmann, Federica Lombardi, Carlos Alvarez

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Quest’opera, curata meticolosamente, ha pagine musicali forti e vigorose ma, anche, pagine pervase di dolcezza, come, ad esempio, la “Canzone del salice” e l’ “Ave Maria”, il bacio prima di uccidere Desdemona da parte di Otello “esasperato” da Iago: infatti, nel II atto, Jago instilla il dubbio atroce, provocando così la massima ira di Otello a causa della sua gelosia verso Cassio e Desdemona.

Da parte di Otello, si tratterebbe di uxoricidio premeditato o a causa di rabbia accumulata di cui Iago “è il mandante morale”.

Desdemona PERDE la vita però, umanamente, NON È PERSONALITÀ PERDENTE perché viene RIABILITATA da Otello, dopo la sua uccisione: Otello prova RIMORSO ma, inconsapevolmente, questo momento “LO LIBERERA’ DAL SUO TORMENTO” visto che uccide anche sé stesso.

NON è una bella consolazione, certamente: si tratta di una TRAGEDIA PSICOLOGICA E UMANA.

 

Desdemona: 

Desdemona ha appena sposato Otello in gran segreto ed è donna che possiede una dolcezza infinita, specialmente durante il duetto d’amore del I atto, dove esprime la sua anima angelica, dolce, pura, buona, innocente, generosa; e, dove al termine, Otello dimostra il suo essere poetico e innamorato citando “Venga la morte! E mi colga nell’estasi di quest’amplesso il momento supremo!”, “Le Pleiadi ardenti” e “Venere splende”.

È una donna moralmente pulita e NON si può pensare all’infedeltà perché è il tipo di donna buona, di donna che ama, di donna rassegnata, di donna che è portata alla rassegnazione anche verso il comportamento di Otello: la si nota, specialmente, durante la recitazione dell’Ave Maria, quando si prepara per dormire.

 

Otello: 

Per quanto riguarda la GELOSIA ESAGERATA, psicologicamente, è classificata una MALATTIA: ai tempi di Otello, la donna è SUBORDINATA all’uomo e, fra parentesi, in Italia, la moglie NON si può più picchiare dal 1963, mentre il Delitto d’onore NON esiste più dal 1981, per cui, quando la gelosia mostra insistenza e maniacalità, è consigliabile rivolgersi a personale sanitario per avere aiuto psicologico.

“Otello” è “UN PERDENTE” perché, la sua, è la storia della diminuzione della capacità interiore di vivere appartenente ad un’anima generosa, nobile, che viene affascinata da un’altra moralmente guasta e malvagia fino ad organizzare l’uccisione della propria moglie.

Un’anima generosa aiutata dalla stessa anima malvagia: infatti, il suo comportamento di “innamorato geloso patologico” è scatenato dalla sua fragilità mentale e psicologica, per cui crede Desdemona capace di complottare verso di lui.

Oggi, si direbbe che certi soggetti che attuano tali azioni estreme possano sviluppare paranoie che portano delirio, disperazione e a terminare la relazione a mezzo di stalking (pedinamento del proprio partner o incarico all’agenzia investigativa), origliare alle porte, omicidi e suicidi.

 

Iago: 

La psicologia scientifica moderna nasce nella seconda metà dell’Ottocento, ma Shakespeare, da grande psicologo innato, presenta Iago come un PERSONAGGIO STRAORDINARIO, sicuramente il più interessante dell’opera, reso comprensibile molto bene dal librettista Arrigo Boito, grande letterato.

Verdi collocherebbe Iago all’età di 28 anni circa e potrebbe risultare strano che lo stesso Iago sappia avere la capacità di riconoscere la propria personalità: infatti, il definito da Otello “onesto Iago”, SA di essere SCELLERATO, DEMONIACO, interiormente.

La sua riflessione è CAPACE DI REALTA’; soprattutto nel suo brano, il “CREDO”, si presenta come lo scellerato che non giustifica le sue azioni ma riesce a spiegare il significato, ossia il concetto: Iago E’ COSCIENTE DI CIO’ CHE E’.

Infatti, in questo brano, Iago riesce a riassumere sé stesso: un essere DISTRUTTIVO, DEVASTANTE  INCONTROLLATO DALLA SUA PERSONALITA’ e, nel III atto, è soddisfatto di essere riuscito ad abbattere, psicologicamente, l’anima di Otello; a lui si rivolge beffardo: “Ecco il Leon!”.

I “segnali” della DIVERSITA’ MENTALE e della DIVERSITA’ SOCIALE hanno creato il suo orgoglio e l’eterna invidia per il suo prossimo, arrivando a creargli addirittura quella che, oggi, la Psicologia chiama “SINDROME DI PROCUSTE”, ossia “LA MALATTIA DEGLI INVIDIOSI”: “PORRE GLI ALTRI IN CATTIVA LUCE”.

Chiarendo un po’ meglio: la PAURA della “diversità” è composta da un complesso di emozioni negative che proviamo, < trovandoci davanti a persone con differenze rispetto alle nostre (opinioni, etnia, religione, orientamento sessuale [attrazione emozionale sessuale di una persona verso un individuo di sesso opposto, dello stesso sesso, o verso entrambi i sessi]) >.

NON si tratta di credere che il disprezzo per il “diverso” sia solo a causa di cattiveria e mancanza di umanità perché la nostra mente umana – inconsapevolmente – cerca sempre di autotutelarsi dal mondo esterno: ossia, SAREBBE BENE cercare di CAPIRE I MOTIVI dei comportamenti altrui.

Per cui, pur appartenendo esteriormente al genere umano, con un comportamento indifferente e disinvolto, da persona che possiede grande fascino e che piace, Jago – interiormente – è NATO PER FARE IL MALE, avvalendosi di astuzia, di potere di simulare, di rendere reale, di aspetto che trasmette fiducia, di modi che persuadono, riuscendo a dominare gli altri, di “aggirare l’ostacolo” (Otello, Cassio, Roderigo, Desdemona, Emilia sono sue “pedine”), tanto da diventare il “deus ex machina” dell’opera, in quanto rende inafferrabili le sue trame machiavelliche perché nascoste dalla “maschera” dell’onestà, ma che conducono ad un finale tragico.

Ad esempio, nel duetto con Otello, Jago racconta IL “SOGNO” (sempre, comportandosi “pur non dando peso”): copia la voce suadente di Cassio, ricordando “Il rio destino impreco che al Moro ti donò”.

Spesso, Otello viene indicato come “moro” (non si sa se come Arabo o del Nord-Africa), ma ciò sottolinea la diversità da una razza ad un’altra.

Di tutto ciò, Otello HA PAURA e s’infuria come reazione.

Iago NON possiede EMPATIA ed è, sicuramente, affetto da NARCISISMO MALIGNO MANIPOLATORE PERVERSO: è UN VAMPIRO EMOTIVO che SI NUTRE DELL’ENERGIA INTERIORE DEL SUO INTERLOCUTORE.

SALE FINO IN CIELO, MA I RAGGI DEL SOLE SCALDANO LA CERA CON CUI LE ALI SONO APPICCICATE AD “ICARO” che CADE E PERDE: anche Iago avrà una brutta fine.

Iago: grande e affascinante personaggio, psicologicamente.

LUI È L’OPERA “OTELLO” perché È il “DEUS EX MACHINA” DI TALE VICENDA.

 

Concludendo:

Otello e Iago sono due personaggi molto diversi fra loro: Otello, valido guerriero della “Serenissima” della fine del 1400, anima nobile, “L’EROE” che è innamorato della sua neo-moglie e  che è invidiato da Iago per il ruolo che ricopre e per avere sposato la donna che anche lui avrebbe voluto.

Anche Emilia, Cassio e Roderigo sono tutte vittime di Iago.

Emilia, dama di Desdemona, percepisce l’angoscia e l’incredulita’ della sua padrona, durante la “Canzone del salice”: Emilia è un essere comprensivo.
Emilia conosce l’animo maligno del marito che “comanda e tiene sotto controllo”, ma NON del tutto: solo alla fine, si rende completamente conto di come egli sia veramente, per cui “testimonia” assieme a Cassio.

Battuto al computer da Lauretta

Il tenore MARIO DEL MONACO canta “ESULTATE!”:

 

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Il baritono TITO GOBBI canta IL BRINDISI, “INNAFFIA L’UGOLA! … CHI ALL’ESCA HA MORSO” :

 

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Il tenore MARIO DEL MONACO e il soprano ROSANNA CARTERI cantano il duetto d’amore “GIA’ NELLA NOTTE DENSA”:

 

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Il  baritono RENATO CAPECCHI canta il monologo di Iago “CREDO IN UN DIO CRUDEL”:

 

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Il tenore MARIO DEL MONACO e il baritono RENATO CAPECCHI cantano “SI’, PEL CIEL MARMOREO GIURO:

 

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Il soprano ROSANNA CARTERI e il tenore MARIO DEL MONACO  cantano “DIO TI GIOCONDI, O SPOSO”:

 

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Il tenore … canta il monologo di Otello “DIO! MI POTEVI SCAGLIAR”:

 

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Il soprano ROSANNA CARTERI canta la “CANZON DEL SALICE”:

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Il soprano ROSANNA CARTERI canta “AVE MARIA”:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “NIUN MI TEMA” e finale dell’opera:

 

NORMA di VINCENZO BELLINI

 

Opera-tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani tratto da “Norma, ou L’infanticide” di Alexandre Soumet (6 aprile 1831)

Musica Vincenzo Bellini

 

Epoca di composizione settembre – novembre 1831

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala”di Milano, 26 dicembre 1831

 

Personaggi:   

Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie (tenore)
Oroveso, capo dei druidi (basso)
Norma, druidessa, figlia di Oroveso (soprano)
Adalgisa, giovane ministra del tempio di Irminsul (soprano)
Clotilde, confidente di Norma (soprano)
Flavio, amico di Pollione (tenore)
Due fanciulli, figli di Norma e Pollione (recitanti)
Druidi, Bardi, Eubagi, sacerdotesse, guerrieri e soldati galli

 

Cast 26 dicembre 1831:

Direttore: Alessandro Rolla

Norma, (soprano), Giuditta Pasta
Adalgisa, (soprano), Giulia Grisi
Pollione, (tenore), Domenico Donzelli
Oroveso, (basso), Vincenzo Negrini
Clotilde, (soprano), Marietta Sacchi
Flavio, (tenore), Lorenzo Lombardi

 

Trama: 

Epoca storica: al tempo dell’invasione romana delle Gallie.

(Il soggetto richiama il mito di Medea).

Atto I

Foresta consacrata al dio Irminsul: qui, i Druidi esaltano la liberazione dalla sottomissione di Roma.

Il proconsole romano Pollione, addentrato nel bosco sacro gallico, confessa al suo amico Flavio che si è innamorato di Adalgisa, una giovanissima sacerdotessa del Dio Irminsul (“Meco all’altar di Venere”) e di voler lasciare Norma (pur temendo la sua vendetta), la figlia di Oroveso e sacerdotessa druidica che, all’insaputa di tutti, ha partorito due figli suoi e che fa custodire da Clotilde.

Durante la riunione gallica, Norma esprime che ha saputo dagli Dèi che non è ancora giunta l’ora della rivolta contro Roma, la quale dovrà cadere, ma non a causa dei Druidi.

Durante il rito sacro, tranquillizza i presenti attraverso la famosa preghiera alla Luna:
< Casta Diva, che inargenti  queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel >.

I Druidi si sono allontanati e, rimasta sola, Adalgisa incontra Pollione che la convince ad abbandonare i Galli e la loro religione per vivere a Roma con lui (“Va, crudele, al Dio spietato”).

Volendo confidarsi con Norma circa l’avere mancato al suo voto di castità, senza riferire il nome dell’uomo che ama, Adalgisa racconta il primo incontro (“Sola, furtiva, al tempio”), ma viene sciolta dai voti perché, in lei, Norma rivede sé stessa e le sue emozioni.

Pollione arriva mentre  Norma, saputo che il suo amato è lui, in preda al furore, la  mette in guardia circa l’infedeltà dell’uomo (“Oh, non tremare, o perfido”) e racconta della sua relazione col proconsole, mentre Adalgisa – sentendosi ingannata – rifiuta di seguirlo a Roma.

Norma è richiamata alla riunione dei Druidi, Pollione se ne va irritato e Adalgisa informa la stessa Norma che intende rinunciare all’amore.

Atto II

Nella sua abitazione, Norma, traumatizzata da quanto ha saputo, medita di vendicarsi uccidendo i suoi due bambini, ma riflette grazie al suo istinto di madre.

Determinata ad uccidersi, chiede ad Adalgisa di prendersi cura dei soi figli portandoli a Roma (“Deh, con te, con te li prendi”), dopo avere contratto il matrimonio con Pollione.

Però, Adalgisa la dissuade e promette di adoperarsi presso Pollione perché ritorni a lei, confermando la sua rinuncia all’uomo, mentre Norma le assicura amicizia senza fine.

Oroveso comunica ai Galli che Pollione partirà e che il nuovo proconsole sarà più pericoloso  ma, dal momento che Norma non ha ancora annunciato la rivolta, invita tutti a pazientare per insorgere (“Ah, del Tebro al giogo indegno”).

Norma s’illude nel ripensamento di Pollione, ma Clotilde non le nasconde che il proconsole è determinato a portare Adalgisa a Roma.

Norma, essendo sempre stata contraria che il suo popolo attuasse rivolte, ascolta la sua illusione-speranza non concretizzata che la spinge a riunire i Druidi per dichiarare guerra a Roma.
Quindi, batte lo scudo di Irminsul per annunciare ai Galli  la ribellione verso Roma (“Guerra! Guerra!”), dopodiché Oroveso le chiede il nome della vittima del sacrificio proprio quando Pollione viene scoperto dopo essersi introdotto nello spazio riservato alle sacerdotesse, allo scopo di rapire Adalgisa.

Norma sta per uccidere Pollione ma, impietosita, dice di volerlo interrogare. Chiede a tutti di allontanarsi e offre la salvezza della vita al proconsole imponendogli di lasciare Adalgisa (“In mia man alfin tu sei”) ma, avendone un rifiuto, ucciderà i loro due figli e manderà Adalgisa al rogo.

Pollione accetta e Norma prende coscienza che la “colpa” di Adalgisa è la sua, per cui si autodenuncia e ordina che venga eretto il rogo, mentre Pollione si accorge della grandezza e generosità di Norma e decide di seguirla.

In segreto, Norma confessa a Oroveso di essere madre e lo prega di prendersi cura dei bambini (“Deh, non volerli vittime”) che sono custoditi da Clotilde.

 

Brani celebri:   


Atto I

Sinfonia
Coro d’Introduzione – Ite sul colle
Recitativo e Cavatina Pollione
Recitativo – Svanir le voci!
Cavatina – Meco all’altar di Venere
Coro – Norma viene
Recitativo e Cavatina Norma
Recitativo – Sediziose voci
Cavatina – Casta Diva
Recitativo e Duetto Pollione e Adalgisa
Recitativo – Sgombra è la sacra selva
Duetto – Va’, crudele, al Dio spietato

Finale I
Recitativo – Vanne, e li cela entrambi
Duetto Norma e Adalgisa – Sola, furtiva, al tempio
Terzetto Norma, Adalgisa e Pollione – Ah! Di qual sei tu vittima

Atto II

Introduzione
Recitativo – Dormono entrambi
Duetto Norma e Adalgisa – Deh! con te, con te li prendi…
Coro – Non partì?… Finora è al campo
Recitativo e Sortita Oroveso
Recitativo – Guerrieri! a voi venirne
Sortita – Ah! del Tebro al giogo indegno

Finale II
Recitativo – Ei tornerà
Coro – Guerra, guerra! le galliche selve
Recitativo – Né compi il rito, o Norma?
Duetto Norma e Pollione – In mia man alfin tu sei
Recitativo – Dammi quel ferro
Duetto Norma e Pollione – Qual cor tradisti, qual cor perdesti
Scena ultima – Deh! non volerli vittime

 

Incisioni:  

Gina Cigna, Giovanni Breviario, Ebe Stignani, Tancredi Pasero

Vittorio Gui  Orchestra e Coro dell’EIAR di Torino     Warner Music

Maria Callas, Mario Filippeschi, Ebe Stignani, Nicola Rossi-Lemeni       Tullio Serafin   Orchestra e coro del Teatro alla Scala   EMI

Maria Callas, Franco Corelli, Christa Ludwig, Nicola Zaccaria    Tullio Serafin  Orchestra e coro del Teatro alla Scala   EMI

Joan Sutherland, John Alexander, Marilyn Horne, Richard Cross           Richard Bonynge   London Symphony Orchestra e Chorus RCA Victor/Decca Records

Elena Souliotis, Mario Del Monaco, Fiorenza Cossotto, Carlo  Cava        Silvio Varviso   Orchestra e coro dell’Accademia di Santa Cecilia          Decca Records

Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Fiorenza Cossotto, Ruggero Raimondi   Carlo Felice Cillario  London Philharmonic Orchestra e Ambrosian Chorus   RCA Victor

Beverly Sills, Enrico Di Giuseppe, Shirley Verrett, Paul Plishka  James Levine

New Philharmonia Orchestra e John Alldis Choir           Deutsche Grammophon

Montserrat Caballé, Jon Vickers, Josephine Veasey, Agostino Ferrin     Giuseppe Patané          Dreamlife

Renata Scotto, Giuseppe Giacomini, Tatiana Troyanos, Paul  Plishka      James Levine National Philharmonic Orchestra e Ambrosian Opera Chorus    Sony Classical Records

Joan Sutherland, Luciano Pavarotti, Montserrat Caballé, Samuel Ramey          Richard Bonynge  Orchestra e coro della Welsh National Opera    Decca Records

Cecilia Bartoli, John Osborn, Sumi Jo, Michele Pertusi  Giovanni Antonini Orchestra La Scintilla e International Chamber Vocalists          Decca Records

 

Registrazioni dal vivo:

Maria Callas, Kurt Baum, Giulietta Simionato, Nicola Moscona Guido  Picco      Città del Messico            Melodram

Maria Callas, Mirto Picchi, Ebe Stignani, Giacomo Vaghi   Vittorio Gui       Londra Legato Classic

Maria Callas, Franco Corelli, Elena Nicolai, Boris Christoff         Antonino Votto Trieste Melodram

Maria Callas, Mario del Monaco, Ebe Stignani, Giuseppe Modesti         Tullio Serafin    Roma   Fonit Cetra

Maria Callas, Mario del Monaco, Giulietta Simionato, Nicola Zaccaria    Antonino Votto     Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano            Teatro alla Scala, 7 dicembre   Arkadia

Maria Callas, Gianfranco Cecchele, Fiorenza Cossotto, Ivo Vinco          George Prêtre  Parigi    Eklipse

Montserrat Caballé, Placido Domingo, Fiorenza Cossotto, Ruggero   Raimondi   Carlo Felice Cillario       Milano            MYTO

Montserrat Caballé, Jon Vickers, Josephine Veasey, Agostino Ferrin     Giuseppe Patanè  Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino

Teatro romano di Orange, 27 luglio      Opera d’Oro

Grace Bumbry, Giuseppe Giacomini, Lella Cuberli, Robert Lloyd           Michael Halasz  Orchestra Sinfonica di Bari, Coro Amici della Polifonia e Voci per la Musica       Palazzo Ducale, Martina Franca            Dynamic

Renata Scotto, Ermanno Mauro, Margherita Rinaldi, Agostino Ferrin    Riccardo Muti Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino          Teatro Comunale di Firenze      Lyric Distribution Inc., Myto

Jane Eaglen, Vincenzo La Scola, Eva Mei, Dimitri Kavrakos[18]            Riccardo Muti  Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino          Teatro Dante Alighieri, Ravenna           EMI

DVD & BLU-RAY (selezione)

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Norma è una tragedia lirica tratta da “Norma, ou L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet, è composta in quasi tre mesi ed è rappresentata al Teatro “Alla Scala” di Milano il 26 dicembre 1831, inaugurando così la “Stagione di Carnevale e Quaresima” del 1832.

Esito: insuccesso dovuto a poblemi di esecuzione e ad una claque nemica di Bellini e del soprano Giuditta Pasta.

Sapendo che avrebbe dovuto musicare l’opera per l’apertura della Stagione Lirica del famoso teatro di Milano, Bellini si rivolge al suo amico librettista Felice Romani, la cui scelta considera il cast che comprende il prestigio di Giuditta Pasta sia come cantante, sia come attrice, cucendole il libretto su misura, eccellente interprete di ruoli drammatici.

E’ importante ricordare che il libretto, tratto dal lavoro di Soumet, basato sulla tragedia greca, Romani lo rende più umano, romantico e più attuale, nel tempo.

Le due protagoniste della “prima” sono i soprani:

. Giulia Grisi interpreta Adalgisa, soprano  romantico, dal timbro chiaro e in grado di sostenere buoni acuti.

.  Giuditta Pasta, in origine, contralto, poi spostata verso il registro di soprano, interpreta Norma.

 

Nota è l’ammirazione di Wagner per quest’opera, la cui grande notorieità rende Bellini immortale, mentre la decima scena del Secondo Atto, “In mia mano alfin tu sei”, è una sorpresa e una grande gioia per lo tesso Wagner che, come altri, apprezza molto l’introduzione al secondo atto (che Chopin prende come base per il suo studio n. 7, op. 25, per pianoforte).

Le arie di “Norma” di Bellini hanno ispirato alcune composizioni, fra cui, per pianoforte e altri strumenti:

Fantasia “Réminiscences de Norma” di Franz Liszt, Grande “Fantaisie et Variations” sur des motifs de l’opéra Norma di Sigismund Thalberg, il “Thême favori” de la Norma de Bellini varié variazioni di Friedrich Kalkbrenner, “Grandes fantaisies”-studio pianistico su “Casta Diva” di Fryderyk Chopin (grandissimo ammiratore di Bellini), fantasia sulla Norma per violino e orchestra di Henri Vieuxtemps; Giovanni Bottesini per contrabbasso e pianoforte;  Jean-Baptiste Arban: variazioni per cornetta e pianoforte.

Una fantasia a grande orchestra “Omaggio a Bellini” è stata creata da Saverio Mercadante ed è ispirata dai temi della Norma.

 

Norma:

“Norma” è simile a “Medea”, tragedia greca di Euripide ma, a differenza della Maga, non uccide i suoi figli.

Nell’opera, si nota il suo rapporto “pubblico” durante i riti e le riunioni, mentre il suo rapporto “privato” presenta affetti personali e passioni che riguardano la stessa Norma, Adalgisa e Pollione.

E’ sacerdotessa dei Druidi, popolo celtico, amante della Natura, fedele al Dio Irminsul e  pregano la Luna/Diva bianca e casta affinché una rivolta si realizzi verso Roma, per cui le riunioni si svolgono alla sua luce.

Entrambi i rapporti vengono uniti quando Norma permette al padre e al popolo di conoscere i suoi drammi personali, i suoi conflitti, diventando un’eroina che evita il sangue dei suoi figli e sacrificandosi a mezzo del rogo purificatore: da un fatto personale, la situazione diventa un fatto pubblico.

Psicologicamente, la statura morale di Norma è al di sopra degli altri personaggi, in quanto è sacerdotessa del culto celtico e conduce il suo popolo, è madre e sa amare ardentemente Pollione agisce sempre in presenza di cori o di altri personaggi in una vicenda che racconta la relazione segreta e l’istinto amorevole materno, oltre alla falsità di Pollione, la diversità di società culturale.

La sua vocazione è stata infranta a causa dell’amore per il proconsole romano che la rende  madre di due figli e tale cosa le provoca il dramma emotivo religioso e il tormento di una donna innamorata, gelosa, e l’amore per i figli.

Desta interesse il finale con l’unione dei due innamorati nella morte e l’anima generosa che non accusa Adalgisa ma sé stessa, affrontando il sacrificio della Morte.

Norma è un anima bella.

 

Pollione: 

Secondo l’epoca in cui l’opera viene ambientata, Pollione desta l’interesse femminile, però  la sua falsità lo porta ad ingannare due donne.

Al giorno d’oggi, esiste il divorzio e una logica di ragionamento secondo cui una donna ingannata dal proprio uomo CHIEDE SODDISFAZIONE ATTRAVERSO LE VIE LEGALI.

Pollione non prova il senso di colpa verso Norma, ma “si redime” alla fine.

 

Adalgisa: 

Adalgisa, come Norma, è una vittima di Pollione.

Ha la forza di respingerlo dopo che Norma gli ha raccontato chi è Pollione.

NORMA: MELODRAMMA AFFASCINANTE, E’ LA PIU’ NOBILE OPERA LIRICA DELLA PRIMA META’ DELL’ ‘800.

 

Battuto al computer da Lauretta

 

RICCARDO CHAILLY dirige la SINFONIA:

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Il basso CESARE SIEPI e il coro cantano “ITE SUL COLLE, O DRUIDI”:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta MECO ALL’ALTAR DI VENERE:

 

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Il soprano MARIA CALLAS canta “CASTA DIVA”:

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Il soprano GERALDINE CHAUVET e il tenore MANRICO TEDESCHI cantano “SGOMBRA E’ LA SACRA SELVA” (Pollione e Adalgisa):

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Il mezzosoprano Cecilia Bartoli,  il soprano Sumi Jo, il tenore John Osborn cantano il terzetto “OH! DI QUAL SEI TU VITTIMA”:   https://youtu.be/4UdRwc9CIrg

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Il soprano MARIA CALLAS e il mezzosoprano CHRISTA LUDWIG cantano “DEH! CON TE LI PRENDI”:

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Il soprano DANIELA DESSI’ e CORO cantano “GUERRA! GUERRA! LE GALLICHE SELVE”:

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Il soprano MARIA CALLAS e il tenore MARIO DEL MONACO cantano “In mia man alfin tu sei”:

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Il soprano MARIA CALLAS, il mezzosoprano CHRISTA LUDWIG, il tenore FRANCO CORELLI, il basso NICOL ZACCARIA cantano “QUAL COR TRADISTI, QUAL COR PERDESTI, … DEH, NON VOLERLI VITTIME”:   https://youtu.be/onmB8U6J5Dk

 

NABUCCO  di  GIUSEPPE VERDI 

 

Opera in IV parti su libretto di Temistocle Solera, tratto da “Nabuchodonosor”, dramma di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornue, musica di Giuseppe Verdi.

Prima rappresentazione: Teatro “La Scala” di Milano, 9 marzo 1842 con Giorgio Ronconi e Giuseppina Strepponi.

 

Personaggi:

Nabucco, re di Babilonia (baritono)
Ismaele, nipote di Sedecia re di Gerusalemme (tenore)
Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei (basso)
Abigaille, schiava, creduta figlia primogenita di Nabucco (soprano)
Fenena, figlia di Nabucco (mezzosoprano)
Il Gran Sacerdote di Belo (basso)
Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia (tenore)
Anna, sorella di Zaccaria (soprano)

 

Gli interpreti principali della prima rappresentazione: 

Nabucodonosor (baritono) Giorgio Ronconi
Ismaele (tenore) Corrado Miraglia
Zaccaria (basso) Prosper Dérivis
Abigaille (soprano) Giuseppina Strepponi
Fenena (mezzosoprano) Giovannina Bellinzaghi

 

Trama: 

Epoca storica: intorno al 587 circa a.C.

Parte I: Gerusalemme,

Nel Tempio di Gerusalemme, i Leviti e il popolo lamentano la sorte degli Ebrei, assediati dal re di Babilonia, Nabucodonosor.
Il profeta Zaccaria incoraggia piuttosto irruentemente la sua gente presentando un prezioso ostaggio, Fenena, figlia
di Nabucodonosor, che affida in custodia ad Ismaele, nipote del re di Gerusalemme.
Il giovane ama la prigioniera, la vuole liberare e fuggire con lei perché, in passato, mentre si trovava a Babilonia, era prigioniero ed era stato liberato proprio da Fenena.

Giunge Abigaille, idem innamorata di Ismaele e minaccia la sorella di riferire al padre, ma tacerà se Ismaele rinuncerà a Fenena e amerà la stessa Abigaille.

Nabucodonosor, a capo del suo esercito, è deciso a saccheggiare Gerusalemme, e Zaccaria, per fermarlo, minaccia di uccidere Fenena: Ismaele riesce a consegnarla salva, nelle mani di Nabucodonosor che sfoga la sua ira imprigionando gli Ebrei e facendo incendiare il Tempio di Salomone.

Parte II: L’empio.

Abigaille trova una pergamena che attesta le sue umili origini di schiava.
Nabucco nomina reggente Fenena, che ordina di liberare tutti gli Ebrei.
Abigaille accetta il consiglio del Sacerdote di Belo di impossessarsi della corona.

Zaccaria, prigioniero degli Assiri in Babilonia con tutto il suo popolo sollecita Iddio a parlare attraverso il suo labbro e incontra Fenena che ha deciso di convertirsi al Dio degli Ebrei.
I Leviti maledicono Ismaele perché li ha traditi, ma Anna, sorella di Zaccaria, lo difende: il giovane infatti ha salvato un’Ebrea, perché la figlia del re nemico, Fenena, si è convertita alla “Legge”.

Nabucco è creduto morto in guerra e Abigaille pretende da Fenena la corona, ma il re ritorna e se la riprende.
Deride il Dio di Babilonia, che avrebbe spinto i Babilonesi a tradirlo, e il dio degli Ebrei, (Jehova).
Esige di essere adorato come l’unico Dio, un fulmine scende sulla sua testa e la corona cade mentre il re comincia a mostrare segni di follia.
La corona viene subito raccolta da Abigaille che si autonomina regina a difesa dell’Assiria.

Parte III: La profezia.

Il Gran Sacerdote di Belo consegna ad Abigaille la sentenza di condanna a morte degli Ebrei, e la regina si finge incerta sul da farsi.
All’arrivo di Nabucco, spodestato, dà ordine di ricondurlo nelle sue stanze.
Lo invita a porre il suggello regale sulla sentenza di morte degli Ebrei.
Nabucco la accontenta, ma subito vede il nome di Fenena nell’elenco dei condannati; Abigaille, implacabile, afferma che nessuno potrà salvarla e gli ricorda di essere anch’essa sua figlia, ma il re conferma la sua vera condizione di schiava.
Abigaille fa a pezzi la pergamena che attesta la sua origine.
Il re chiama le sue guardie ma esse lo arrestano, obbedendo alla nuova regina.
Preda di confusione e impotenza, Nabucco chiede perdono ad Abigaille e invoca pietà per Fenena.

Sulle sponde dell’Eufrate gli ebrei, sconfitti e prigionieri, ricordano con nostalgia e dolore la cara patria perduta (coro: “Va’, pensiero, sull’ali dorate”).

Il Pontefice Zaccaria li incita a non piangere come femmine imbelli e profetizza una dura punizione per il loro nemico: il Leone di Giuda sconfiggerà gli Assiri e distruggerà Babilonia.

Parte IV: L’Idolo infranto.

Nabucco, tornato in sé, si affaccia alla loggia e vede con raccapriccio Fenena in catene.
Disperato e rendendosi conto di essere prigioniero, si inginocchia al Dio di Giuda invocando il suo aiuto e chiedendogli perdono.
Subito, sopraggiunge il fedele ufficiale Abdallo con un numero di soldati, che gli offre la spada (“Il brando tuo”) e l’aiuto a riconquistare il trono.

Nel corteo degli Ebrei, Zaccaria conforta Fenena e la fanciulla si prepara a godere delle gioie celesti.

Nabucco, alla testa delle sue truppe, ordina di infrangere la statua di Belo e, miracolosamente, «l’idolo cade infranto da sé»: tutti gridano al «divino prodigio».

Nabucco concede la libertà agli Ebrei e ordina al popolo d’Israele di costruire un tempio per il suo Dio grande e forte, “il solo degno di essere adorato”.

Mentre tutti, Ebrei ed Assiri, s’inginocchiano invocando l’«Immenso Jehova», entra Abigaille sorretta da due guerrieri: la donna si è avvelenata e chiede il perdono degli uomini e di Dio prima di morire.
Zaccaria rivolge a Nabucco l’ultima profezia: «Servendo Jehova, sarai de’ regi il re!».

 

Brani noti: 

Sinfonia
D’Egitto là sui lidi, cavatina di Zaccaria (parte I)
Mio furor, non più costretto, (finale parte I)
Ben io t’invenni, o fatal scritto!… Anch’io dischiuso un giorno, recitativo e aria di Abigaille (parte II)
Vieni, o Levita, preghiera di Zaccaria (parte II)
S’appressan gli istanti, finale (parte II)
Donna, chi sei? duetto tra Nabucco e Abigaille (parte III)
Va, pensiero, sull’ali dorate, coro degli ebrei (parte III)
Dio di Giuda! preghiera di Nabucco (parte IV)

 

Incisioni note: 

Gino Bechi, Maria Callas, Luciano Neroni, Amalia Pini, Gino Sinimberghi Vittorio Gui Warner Classic

Paolo Silveri, Caterina Mancini, Antonio Cassinelli, Gabriella Gatti, Mario Binci Fernando Previtali Fonit Cetra

Ettore Bastianini, Margherita Roberti, Paolo Washington, Miriam Pirazzini, Gastone Limarilli Bruno Bartoletti Myto

Cornell MacNeil, Leonie Rysanek, Cesare Siepi, Rosalind Elias, Eugenio Fernandi Thomas Schippers MetOpera

Ettore Bastianini, Mirella Parutto, Ivo Vinco, Anna Maria Rota, Luigi Ottolini Bruno Bartoletti G. O. P.

Tito Gobbi, Elena Souliotis, Carlo Cava, Dora Carral, Bruno Prevedi Lamberto Gardelli Decca

Giangiacomo Guelfi, Elena Souliotis, Nicolaj Ghiaurov, Gloria Lane, Gianni Raimondi Gianandrea Gavazzeni Nuova Era

Matteo Manuguerra, Renata Scotto, Nicolaj Ghiaurov, Elena Obrazcova, Veriano Luchetti Riccardo Muti EMI

Piero Cappuccilli, Ghena Dimitrova, Evgenij Nesterenko, Lucia Valentini Terrani, Plácido Domingo Giuseppe Sinopoli Deutsche Grammophon

Paolo Gavanelli, Monica Pick-Hieronimi, Paata Burchuladze, Anna Schiatti, Gilberto Maffezzoni Anton Guadagno Koch Schwann

Renato Bruson, Marija Hulehina, Ferruccio Furlanetto, Elena Zaremba, Fabio Armiliato Daniel Oren Valois

Leo Nucci, Dimitra Theodossiou, Riccardo Zanellato, Anna Maria Chiuri, Bruno Ribeiro Michele Mariotti  C Major

Amartüvshin Enkhbat, Saoia Hernández, Michele Pertusi, Annalisa Stroppa, Ivan Magrì Francesco Ivan Ciampa Dynamic

 

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:

Nabucco (il titolo originale completo è “Nabucodonosor”) è la terza opera lirica di Giuseppe Verdi ed è quella che ne ha decretato il successo, consacrandolo quale “Simbolo dell’Unità d’Italia”.

Secondo una critica:

“È stata spesso definita come l’opera più risorgimentale di Verdi, poiché gli spettatori italiani dell’epoca avevano la condizione politica simile a quella degli Ebrei soggetti al dominio babilonese. Questa interpretazione però fu il risultato di una lettura storiografica retroattiva che, alla luce degli avvenimenti storici occorsi, volle sottolineare in senso risorgimentale l’attività artistica del compositore.

La lettura fu incentrata soprattutto sul famosissimo coro” Va’, pensiero, sull’ali dorate”, intonato dal popolo ebraico, ma il resto del dramma è invece incentrato sulle figure drammatiche dei Sovrani di Babilonia Nabucodonosor II e della sua presunta figlia Abigaille”.

Dopo il fiasco di “Un giorno di regno” e la morte della moglie e dei due figlioletti, Verdi si ritrova vittima del rifiuto psicologico di comporre musica, ma l’impresario Bartolomeo Merelli gli propone un libretto scritto da Temistocle Solera intitolato “NABUCCO”.

 

Verdi rimane molto colpito e accetta volentieri di musicare l’opera.

Nel 1841 viene completata la partitura musicale e, il successivo 9 marzo 1842, l’opera viene rappresentata al Teatro “Alla Scala” di Milano con felicissima accoglienza da parte del pubblico e della critica.

E’ importante ricordare anche che Nabucco debutta con grande successo al Teatro “Alla Scala” di Milano, alla presenza di Gaetano Donizetti.

Secondo quanto scritto da qualche storico musicale, “Il librettista Solera aderì alla battaglia risorgimentale da posizioni neoguelfe, circostanza che potrebbe giustificare la collocazione di un’autorità di tipo religioso, l’inflessibile pontefice Zaccaria, a capo della fazione ebraica”.

L’azione si svolge a Gerusalemme, a Babilonia e sulle sponde del fiume Eufrate, nel 587 a.C. circa.
Ha per sfondo la guerra dei Babilonesi, guidati dal Re Nabucodonosor contro gli Ebrei e i Leviti (ossia, gli appartenenti alla tribù di Levi), popolazione che NON ha MAI perso la propria identità, neppure al giorno d’oggi.

Presenziano gli eventi di guerra, le rivalità amorose, i tradimenti: il tutto termina con la liberazione degli Ebrei, mentre Nabucco, convertito, dichiara la Gloria di Jehova.

 

Nabucco: 

E’ UN “VINCITORE”, dal momento che, una volta svegliatosi dall’incubo e rinsavito, il senno ritornato gli fa CAPIRE che IL DIO DEGLI EBREI E’ PIU’ FORTE DEL SUO ESSERSI VOLUTO ERIGERE AD ESSERE SUPERIORE: “NON SON PIU’ RE, SON DIO!”.

Si prostra al Dio di Israele per il quale Fenena, la vera figlia, avrebbe dovuto essere sacrificata e che, grazie al piegarsi di Nabucco, continuerà a vivere.

Infatti, nel IV atto, Nabucco canta: “Dio degli Ebrei, perdono” seguito da “Dio di Giuda, l’ara, il tempio a te sacrati …”.

 

Zaccaria: 

Nel II atto, mentre è prigioniero, sua è “LA PREGHIERA”: brano fantastico commovente e intriso del forte “credo religioso”.

Aria preceduta da un passo orchestrale splendido, in cui emerge solo il violoncello.

Nel III atto, grazie al suo “POTERE” mistico, SCUOTE gli Ebrei che, a mezzo dello splendido coro “Vah, pensiero …”, sulle rive del fiume Eufrate, esprimono la nostalgia per la loro patria lontana, li “solleva” dalla tristezza a mezzo delle parole “Oh, chi piange? Di femmine imbelli … Chi solleva lamenti all’Eterno?”.

Zaccaria promette, profetizzando, che il Leone di Giuda vincerà Babilonia.

Ebbene, sì, questo coro stupendo, il più famoso nella storia dell’opera Lirica, E’ UN LAMENTO: qui vengono ricordati, con nostalgia e dolore, i Vati che ammutoliscono attraverso la loro arpa d’oro pendente dal salice e che ricorda i tempi andati, il fiume Giordano, le Torri atterrate di Sionne (ossia Gerusalemme: si chiamava così dal nome del Colle Sion).

E’ importante evidenziare che per il testo di questo coro, il più famoso dell’opera, «Va’, pensiero», cantato dagli Ebrei resi schiavi, il librettista Temistocle Solera si è ispirato al Salmo biblico 137: «Lungo i fiumi di Babilonia ci sedemmo angosciati in memoria della patria. Con le lacrime appendemmo le nostre cetre sopra i salici. In quell’esilio, parole di canto ci chiedevano i nostri carcerieri, inni di giubilo i nostri oppressori. No! Come potremmo cantare le lodi del Signore in terra straniera, senza evocare il dramma di Gerusalemme? Come potremmo dimenticare la nostra città? Il suo ricordo è al di sopra di ogni gioia».

Anche Salvatore Quasimodo si è ispirato, nella sua poesia: “E come potevamo noi cantare”, riferendosi chiaramente al periodo della tirannia nazifascista nel nostro Paese.

Infatti, Quasimodo scrive: “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto anche le nostre cetre erano appese. Sussurravano lievi al triste vento”.

«Va pensiero» è famosissimo in tutto il Mondo ed è una delle musiche italiane più conosciute accanto alla Marsigliese, a Lily Marlène, a We are theworld, a Les feuilles mortes…

 

Abigaille: 

Come Nabucco e Zaccaria, rincorre “IL POTERE”, ma la vera PERDENTE è Abigaille a causa del suo NON essere figlia biologica di Nabucco che le provoca il desiderio di rivalsa.

Infatti, Abigaille rimane traumatizzata dal ritrovamento del “fatal scritto” che prova la sua nascita NON di sangue reale e, che lei NON sa, potrebbe avere sempre portato ad un comportamento non troppo nobile (la Genetica ha sempre “parlato” per chiunque).

Il sentimento di RIVALSA la porterà a suicidarsi a mezzo di avvelenamento, nell’ultimo atto.

Psicologicamente, Abigaille è una personalità incisiva.

 

. Vocalità di Abigaille.

La parte di Abigaille è molto difficile: il soprano è drammatico e di grandissima potenza; le difficoltà tecniche sono rilevanti ed evidenziano il carattere predisposto all’ira da parte di tale donna.

Tra le più celebri Abigaille spiccano Maria Callas, Anita Cerquetti, Elena Souliotis, Ghena Dimitrova, Maria Dragoni, Marija Guleghina e Ekaterina Metlovama.

 

Fenena: 

Figlia biologica di Nabucco che si converte alla religione del suo Ismaele, possiede la vocalità di un mezzosoprano morbido ed è stata interpretata da mezzosoprani come Giulietta Simionato, Fiorenza Cossotto e Lucia Valentini Terrani.

 

Ismaele:

E’ l’amato di Fenena, conosciuto in Babilonia quale Ambasciatore.

Pur essendo coraggioso, viene maledetto dai Leviti perché si credono traditi, ma viene difeso da Anna, sorella di Zaccaria, che li informa che il giovane ha salvato un’Ebrea: infatti, la figlia di Nabucco-nemico, si è convertita alla religione di Jehova.

 

Abdallo: 

Ufficiale fedele a Nabucco, assieme ad un gruppo di soldati, lo aiuta nella riconquista della sua corona, a differenza del Grande Sacerdote di Belo che è fedele ad Abigaille.

Opera molto corale, Nabucco “è, praticamente, tutta un coro”.

Verdi dimostra la sua sensibilità, la sua attrazione inconscia verso la popolazione, specialmente sofferente, ossia il suo altruismo, la sua empatia.

Battuto al computer da Lauretta

ARTURO TOSCANINI dirige la SINFONIA:

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LOUIS BUSKENS dirige il CORO DEI LEVITI “GLI ARREDI FESTIVI”:

 

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Il  basso ILDAR ABDRAZAKOV canta “D’EGITTO, LA’, SUI LIDI”:

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Il soprano MARIA GULEGHINA canta “BEN IO T’INVENNI, O FATAL SCRITTO”:

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Il basso CARLO COLOMBRA canta “VIENI, O LEVITA”:

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Il baritono RENATO BRUSON, il soprano GHENA DIMITROVA, il tenore BRUNO BECCARIA, il soprano RAQUEL PIEROTTI cantano “S’APPRESSAN GL’ISTANTI”:

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Il baritono GINO BECHI e il soprano MARIA CALLAS cantano “DONNA CHI SEI?”:

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RICCARDO MUTI dirige il coro “VA, PENSIERO, SULL’ALI DORATE”:   https://youtu.be/MBYmhYxEvUM

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Il baritono PIERO CAPPUCCILLI canta “DIO DI GIUDA” (PREGHIERA DI NABUCCO):

MANON LESCAUT di GIACOMO PUCCINI

Manon Lescaut è un’opera in quattro atti su libretto di Luigi Illica, Giuseppe Giacosa, Marco Praga, Domenico Oliva, Ruggero Leoncavallo, Tito Ricordi e lo stesso Puccini.

Fonti: “Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut” di Antoine François Prévost.

Prima rappresentazione: Teatro Regio, di Torino, 1º febbraio 1893 con, primi interpreti,  Cesira Ferrani e Giuseppe Cremonini Bianchi.

Genere: dramma lirico Musica Giacomo Puccini.

 

Personaggi:   

Manon Lescaut (soprano)
Il Cavaliere Renato Des Grieux, studente (tenore)
Lescaut, Sergente della Guardia del Re (baritono)
Geronte di Ravoir, tesoriere generale (basso)
Edmondo, studente (tenore)
Un  lampionaio (tenore)
Un musico (mezzosoprano)
Un oste (basso)
Il maestro di ballo (tenore)
Sergente degli Arcieri / Sergente di Parigi (basso)
Il Comandante di Marina (basso)
Un parrucchiere (mimo)

 

Trama:

Epoca: Seconda metà del secolo XVIII.

Atto I: Amiens, una locanda nel piazzale in prossimità della Porta di Parigi.

Qui, alcuni studenti, borghesi e ragazze scherzano sugli argomenti amore e giovinezza.

Fra gli studenti, Renato Des Grieux, mostra indifferenza verso l’amore (“L’amor? Questa tragedia, ovver commedia, io non conosco!”).

Arriva una carrozza che sosta per il cambio dei cavalli.
Da qui, scendono Manon Lescaut (la cui vita proseguirà in convento per decisione della famiglia che la ritiene piuttosto vivace e capricciosa), il fratello Lescaut (Sergente della Guardia del Re), Geronte di Ravoir (tesoriere generale del Re) e altri viaggiatori.

Vedendo Manon, Des Grieux ha “il colpo di fulmine” e, appena Manon resta sola, le si avvicina; al ritorno di Lescaut, promettono di rivedersi.

Intanto, Lescaut organizza di rapire la sorella affinché  lei diventi l’amante di Geronte di Ravoir, vecchio danaroso banchiere così, anche lui beneficerà.

Edmondo, l’amico di Des Grieux, ascolta il dialogo e lo informa, per cui organizzano una mossa contraria: Renato rapirà Manon, precedendo il banchiere.

Des Grieux convince faticosamente Manon a fuggire assieme in carrozza, gli studenti li salutano, Geronte smania e medita vendetta, mentre Lescaut, conoscendo la sorella, SA che NON sosterrà una vita senza pretese.

 

Atto II:  A Parigi.

Nella casa di Geronte: il salotto elegantissimo.

Lescaut aveva ragione e Manon lo ha raggiunto per diventare l’amante del vecchio banchiere.
E’ abituata a prepararsi per ricevimenti, durante i quali balla e canta.
Però, ormai, si annoia e prova nostalgia per il giovane Des Grieux; a questo punto, il fratello chiama di nascosto Des Grieux a palazzo.

Terminato l’ultimo ricevimento, Manon è sola e, nella sua camera, entra a forza Des Grieux: fra loro, la passione ritorna.
Des Grieux è arrabbiatissimo, ma Manon lo seduce facilmente.

Purtroppo, all’improvviso, arriva Geronte che, nonostante – attraverso uno specchio – Manon gli faccia presente quanto il banchiere sia maggiore di lei, saluta con :  “Arrivederci… e a presto!”.
Des Grieux la sollecita a fuggire subito, ma Manon non percepisce il pericolo.
Interviene anche il fratello che la mette in guardia che è stata denunciata e, mentre tenta di ritrovare un po’ di gioielli tenuti nella stanza, le guardie la trattengono come ladra e infedele.

Atto III:  Piazzale presso il porto di Le Havre e caserma con una cella.

È notte.
Manon è incarcerata nella prigione di Le Havre assieme ad altre donne di malaffare; da qui, l’alba seguente sarà imbarcata in una nave che andrà negli Stati Uniti.
L’azione per scansare tale esilio non riesce a Lescaut, per cui Des Grieux supplica il comandante della nave allo scopo che lo imbarchi insieme a lei. Il comandante è commosso dalle sue lacrime e gli permette di partire come mozzo per il viaggio d’oltreoceano.

 

Atto IV: Una landa sterminata ai confini della Nuova Orléans, nell’America del Nord.

Manon e Des Grieux si spostano senza meta prestabilita attraverso un terreno arido, esausti.
Manon è stata imprudente molte volte per cui, questa volta, sono fuggiti.
Manon è stanca e non riesce a proseguire anche a causa della zona senz’acqua.
Il suo amante Des Grieux le è sempre stato fedele ma NON può aiutarla.
E’ disperato  e piangente e può solo ascoltare le ultime parole di Manon che spira fra le sue braccia.

 

Brani noti: 

Donna non vidi mai, romanza di Des Grieux (atto I)
In quelle trine morbide, romanza di Manon (atto II)
Tu, tu, amore? Tu?!, duetto tra Manon e Des Grieux (atto II)
Intermezzo orchestrale, viaggio a Le Havre (atto III)
Sola… perduta… abbandonata, aria di Manon (atto IV)

 

Incisioni: 

Maria Zamboni, Francesco Merli, Lorenzo Conati, Attilio Bordonali, Giuseppe Nessi, Lorenzo Molajoli, Columbia

Renata Tebaldi, Mario del Monaco, Mario Borriello, Fernando Corena, Piero De Palma, Armando Giannotti, Francesco Molinari Pradelli, Decca

Licia Albanese, Jussi Björling, Robert Merrill, Mario Carlin, Franco Calabrese, Anna Maria Rota, Jonel Perlea, RCA

Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Giulio Fioravanti, Dino Formichini, Franco Calabrese, Fiorenza Cossotto, Tullio Serafin, EMI

Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Vincente Sardinero, Noël Mangin, Robert Tear, Peter Klein, Bruno Bartoletti, EMI

Mirella Freni, Plácido Domingo, Renato Bruson, Kurt Rydl, Robert Gambill, Giuseppe Sinopoli            Deutsche Grammophon

Raina Kabaivanska, Giuseppe Giacomini,Nelson Portella, Ljubomir Djakovski, Giancarlo Luccardi, Cristina Anghelakova, Angelo Campori, RCA

Kiri Te Kanawa, José Carreras, Paolo Coni,Italo Tajo, William Matteuzzi, Riccardo Chailly, Decca

Mirella Freni, Luciano Pavarotti, Dwayne Croft, Giuseppe Taddei, Ramón Vargas, Cecilia Bartoli, James Levine,  Decca

Marija Hulehina, José Cura, Lucio Gallo, Luigi Roni, Marco Berti, Riccardo Muti, Deutsche Grammophon

 

Cinema:    

. Manon Lescaut, film-opera del 1939 con Alida Valli e Vittorio De Sica, regia di Carmine Gallone.

. Gli  amori di Manon Lescaut, film del 1954 con Myriam Bru e Franco Interlenghi, regia di Mario Costa (utilizza la musica di Puccini).

. Sembra che John Williams si sia ispirato all’intermezzo del 3° atto di quest’opera per il celebre tema musicale di Star Wars.

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Il libretto di Manon Lescaut è Ispirato al romanzo scritto nel 1731 dall’abate Antoine François Prévost “Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut”, mentre l’opera viene composta fra il 1889 e il 1892.
Infatti, nel 1889, Puccini è impegnato con il rifacimento di “Edgar”, con la composizione di “Manon Lescaut” (eccetto l’ultimo atto), la riduzione de “I Maestri Cantori di Norimberga”, su richiesta di Ricordi  (per cui va a Bayreuth ad ascoltare l’opera di Wagner che, con “Tristano e Isotta” e “Parsifal” è fra le sue predilette).
Quindi, nell’ottobre 1892, l’opera è pronta.

Manon Lescaut è la terza opera di Puccini, gli apre la strada da percorrere, è considerata il suo primo lavoro operistico soggettivo e la sua partitura viene modificata da Puccini più volte, dalla prima rappresentazione dell’opera fino a poco prima di decedere.

Da non dimenticare quanto è risaputo:

< Lo stesso soggetto aveva già ispirato la Manon Lescaut di Daniel Auber (Daniel-François Esprit Auber), rappresentata a Parigi, Opéra-Comique, 23 febbraio 1856 e, soprattutto, la Manon di Jules Massenet (Parigi, Opéra-Comique, 19 gennaio 1884).

Secondo quanto raccontato, < Quando Marco Praga gli fece notare che avrebbe dovuto affrontare il confronto con la fortunata opera di Massenet, Puccini rispose: “Lui la sentirà alla francese, con cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata” >.

“Manon Lescaut”, opera attuale, affascinante e melodiosa, formata anche da alcuni autoimprestiti di musiche che Puccini aveva già composto, è definita “PURA PASSIONE” dal suo compositore (all’epoca, trentacinquenne) alla “prima” rappresentazione al Teatro “Regio” di Torino del 1° febbraio 1893.

E’ stato riconosciuto che “la bravura con cui Manon è stata orchestrata, non viene superata nelle sue opere seguenti e che Puccini utilizza tutti i valori stilistici che gli permettono di creare un’opera verista che possa colpire subito”.

Infatti, Manon suggerisce a Puccini qual è il suo percorso musicale da seguire, in futuro.

Quindi:

. PURA PASSIONE per l’amore che lega Manon e Des Grieux.

. PURA PASSIONE per quest’opera che sarà chiamata “il primo capolavoro di Puccini”.

. PURA PASSIONE per perfezionare l’opera attraverso nove varianti (dal 1893 fino al 1924), il cui libretto – oltre ai sei librettisti – passa a Giuseppe Adami e a Ricordi che, a quanto pare,  stampa la prima edizione senza i nomi degli autori.

. PURA PASSIONE per la trama semplice e coerente.

. PURA PASSIONE perché conosce molto bene la tecnica di Wagner (Puccini ama tre sue opere, in particolare: Tristano e Isotta, I Maestri Cantori di Norimberga e Parsifal) e a lui si ispira per lo stile amoroso del duetto del secondo atto.

. PURA PASSIONE circa la scrupolosità con cui Puccini SA calarsi nell’interiore dei protagonisti.

. PURA PASSIONE: addirittura, su Mercurio, a Puccini, è stato dedicato un cratere chiamato col suo nome.

 

Manon Lescaut: 

Manon, bella, sensuale, inebriante, volubile e leggera, possiede un carattere irrequieto, per il quale si deduce che lei stessa sia la causa dei suoi  guai, ossia che questo sia il motivo secondo il quale la famiglia Lescaut impone a Manon di entrare in convento.

E’ accompagnata dal losco fratello Lescaut che la promette al vecchio banchiere Geronte di Ravoir, ma la cosa non riesce perché lo studente Des Grieux batte tutti sul tempo.

Come previsto dal fratello, Manon non sopporta la povertà e accetta la vita agiata e ricca offerta dal banchiere, facendo mercato della sua passione per Des Grieux che, comunque, si evidenzia sotto forma di nostalgia e che incontra nuovamente.

Ama Des Grieux, ma non quanto lui ama lei.

Nel II atto, Manon viene perdonata da Des Grieux e, qui, compare con frequenza il  “Tristan-Akkord” (evidenzia l’importanza del legame amore-morte), riferimento adottato e affermato nella Giovane Scuola Italiana con la quale, praticamente, termina il Romanticismo e inizia il Verismo a cui appartengono Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilea, Catalani, Franchetti).

Come già detto sopra, “può essere lei stessa la causa dei suoi guai”: infatti, Antoine François Prévost, lo scrittore francese che l’ha concepita, la definisce “una peccatrice senza malizia”, ossia la personificazione incosciente e scriteriata del male.

Chi la conosce è condotto inevitabilmente alla distruzione a causa del suo forte potere di seduzione, mentre Puccini, alla prima rappresentazione, nel 1893, così definisce la sua terza opera: “La bella, voluttuosa e tragica Manon Lescaut”.

Manon senza dubbio è affetta da qualche disagio psichico: sicuramente, si tratta di un disturbo d’ansia e di preoccupazione che si manifesta in modo eccessivo e che non riesce a padroneggiare, per cui – secondo la Scienza Medica – le conseguenze potrebbero manifestarsi con insoddisfazione, difficoltà di concentrazione, tensione muscolare, stanchezza, sonno agitato: tutto ciò le porta un forte danno.

Ad esempio, il Disturbo Oppositivo Provocatorio è una forma di comportamento ripetitivo negativo, sfidante-irritante, ribelle ed avverso nei confronti di chi possiede autorevolezza.

Si manifesta con perdita di controllo, liti con gli adulti, resistenza e rifiuto di rispettare richieste o regole delle persone più grandi, suscettibilità o fastidio a causa degli altri, essere dispettoso o vendicativo.

I rischi che facilitano la comparsa del Disturbo Oppositivo Provocatorio  possono essere provocati da:

. Essere stato abusato o trascurato.

. Disciplina particolarmente severa o inconsistente.

. La mancanza di supervisione.

. Genitori con una storia di ADHD, Disturbo Oppositivo Provocatorio o problemi  di comportamento.

. Instabilità familiare.

. Cambiamenti stressanti che invalidano il senso di coerenza di un bambino aumentano il rischio di comportamento dirompente.

Le manifestazioni del disturbo si manifestano nell’ambiente familiare ma possono essere evidenti anche a scuola o nella comunità.

 

Renato Des Grieux:

Psicologicamente, Manon è la protagonista, nonostante Des Grieux, Lescaut e Geronte, rivestano ruoli di un certo peso.

Des Grieux è un puro e l’amore per Manon gli ottenebra la mente, per cui tronca i rapporti con la sua facoltosa famiglia e si impoverisce alquanto per avere “scelto” Manon.

Innamoratissimo di Manon, la supporta sempre assieme ai guai che lei stessa causa per sua  incoscienza, noncuranza; quando ritrova Manon è arrabbiatissimo, però – fra i due – è lui l’unico ad essere capace di perdonare e di riprendere.

Des Grieux è persino capace di autoesiliarsi per stare accanto alla “sua” donna fino all’ultimo, anche dopo l’abbandono di costei dovuto alla brama di denaro, fino a rassegnarsi disperatamente, alla fine.

Il comportamento continuamente onesto di Des Grieux, verso Manon, potrebbe far  pensare al “mammismo” o alla sindrome dell’abbandono, ossia alla paura di perdere una persona o di restare soli (cosa alquanto diffusa, nella popolazione umana).

La psicologa e psicoterapeuta Cristina Lanza, su miodottore.it., spiega che questa sindrome comprende un insieme di “sintomi e sensazioni di disagio/paura/angoscia innescati dall’assenza (reale o solo minacciata, temporanea o definitiva) dell’altra persona, verso cui si è strutturata una vicinanza affettiva e vissuta come una riedizione di esperienze abbandoniche della propria infanzia”.

Infatti, il vivere nella propria infanzia queste situazioni continue, avvia e immagazzina ansie, paura di restare senza l’altra persona e un senso di incertezza che si possono trascinare nella vita adulta.

Tutto ciò, se è forte o continuo, può provocare depressione abbandonica.

Pare  che la storia Manon-Des Grieux sia originata da una vicenda realmente esistita nella vita di Prévost: infatti, lo scrittore e Des Grieux presentano somiglianze attraverso la predisposizione religiosa e il volere vivere la vita pienamente; coinvolgimento in scandali e riaccostamento alla Chiesa dove Prévost diventa abate.

 

Sergente Lescaut:  

Lescaut non è il protagonista, ma il suo ruolo è basilare.

Da persona poco raccomandabile qual è, vuole dare la sorella al vecchio banchiere così anche lui gode di una vita “comoda”, ma si riabilita un po’ quando organizza l’incontro di Manon e Des Grieux nel palazzo di Ravoir e quando vuole scansare l’esilio della sorella.

Lescaut, con la sorella “punita” per la sua irrequietezza e iperattività a mezzo della destinazione alla vita conventuale, è una persona anaffettiva (sicuramente, in modo patologico), priva di correttezza morale, per cui  il suo comportamento è, chiaramente,  una reazione conseguenziale della vita trascorsa in famiglia per lui e la sorella, ma con la differenza che la donna non era considerata importante quanto l’uomo (ancora oggi, si usa dire, che “l’uomo porta i pantaloni”).

 

Geronte di Ravoir:  

E’ un personaggio comprimario importante ed è un vecchio banchiere bavoso vendicativo che, oggi, verrebbe definito pedofilo e denunciato-condannato, vista e considerata la differenza d’età fra lui e la giovinetta Manon.

A Geronte, la propria immagine viene presentata da Manon attraverso uno specchio, per cui, a causa della propria cattiveria, provoca le disavventure della stessa Manon e di Des Grieux, arrivando alla deportazione in America.

 

Battuto al computer da Lauretta

 

Il tenore GIUSEPPE DI STEFANO canta “DONNA NON VIDI MAI SIMILE A QUESTA”:

 

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “IN QUELLE TRINE MORBIDE”:

 

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Il soprano KRISTINE OPOLAIS e il tenore JONAS KAUFMANN cantano il duetto d’amore “TU? TU? AMORE, TU?” (E SCENA DELLA SEDUZIONE):

 

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HERBERT von KARAJAN dirige L’INTERMEZZO DEL III ATTO:

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Il soprano MIRELLA FRENI canta “SOLA, PERDUTA, ABBANDONATA”:

 

MADAMA BUTTERFLY di GIACOMO PUCCINI

Madama Butterfly è un’opera in tre atti (inizialmente, due) su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto da un lavoro di David Belasco, a sua volta tratto da un breve racconto di John Luther Long.

Nello spartito e nel libretto l’opea è definita “tragedia giapponese” ed è dedicata alla regina d’Italia Elena di Montenegro.

Prima rappresentazione: Teatro alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904 (stagione di Carnevale e Quaresima).
Esito: insuccesso.

Seconda rappresentazione con modifiche apportate: 28 maggio 1904 – Teatro Grande di Brescia
Esito: grande successo.


Personaggi: 

Madama Butterfly / Cio Cio-san (soprano)
B. F. Pinkerton, tenente della Marina degli Stati Uniti (tenore)
Suzuki, servitrice di Cio Cio-san (mezzosoprano)
Sharpless, console degli Stati Uniti a Nagasaki (baritono)
Goro, nakodo (tenore)
Lo zio Bonzo (basso)
Il Principe Yamadori (tenore)
Kate Pinkerton (mezzosoprano)
Lo zio Yakusidé (baritono)
Il commissario imperiale (basso)
L’ufficiale del Registro (basso)
La zia (soprano)
La cugina (soprano)
La madre (mezzosoprano)
Dolore (bambino, mimo)
Parenti, amiche e amici di Cio-Cio-San, servi

 

Primi interpreti dei personaggi principali: 

Cio-Cio-San (soprano) Rosina Storchio
Pinkerton (tenore) Giovanni Zenatello
Sharpless (baritono) Giuseppe De Luca

Direttore: Cleofonte Campanini

 

Trama:

Epoca storica: Nagasaki, inizio 1900.

Atto I:

Il tenente Pinkerton è con il console americano Sharpless ed è in attesa della giovanissima sposa giapponese, un’adolescente incontrata per mezzo di Goro, un sensale di matrimoni (oggi, noi lo chiameremmo “agente matrimoniale”): la fanciulla è figlia di un nobile costretto a suicidarsi “con onore”  su comando dell’imperatore; nobile che, chiaramente, da anni, non può più provvedere a moglie e figlia.

L’unico legame ritenuto valido da Pinkerton è quello con una compatriota e incoraggia il console a brindare al matrimonio futuro americano; da farfallone, gli esprime le proprie intenzioni sui legami che vorrebbe contrarre: “Lo yankee vagabondo”, afferma, “affonda l’ancora alla ventura… la vita ei non appaga se non fa suo tesor i fiori di ogni plaga …”.

Infatti, Pinkerton è un avventuriero che conosce il diritto di abbandonare la moglie anche dopo un solo mese di matrimonio, secondo le consuetudini del Paese.

Il nome della ragazza quindicenne è Cio-Cio-San (Madama = San; Farfalla = Cho-Cho) che, in lingua inglese, diventa Butterfly, nome col quale viene chiamata dopo le nozze per fissare la fedeltà al marito.

Anche Cho Cho-San desidera queste nozze perché, caduta in disgrazia dopo la morte del padre, potrà riscattarsi dal lavoro di geisha per mezzo del matrimonio.

Durante la cerimonia, lo zio bonzo disereda la ragazza che, per sposare Pinkerton, ha ripudiato la propria religione e il proprio nome per convertirsi al Cristianesimo.

A Butterfly non importa perché è innamorata del marito appena sposato e gli esprime che è “rinnegata e felice”.

Atto II:

Pinkerton è ritornato negli Stati Uniti d’America da tre anni, lasciando vivere Butterfly e Suzuki nella casa che lui aveva comprato in occasione del loro matrimonio.
Casetta che sta degradando, mentre le finanze lasciate da Pinkerton stanno per terminare.

Secondo Suzuki l’uomo non tornerà, ma Butterfly, è tenace ed è certa che il marito tornerà.

Un giorno, Sharpless va a trovare Butterfly per rendersi conto delle condizioni finanziarie; capisce che lei si illude e le suggerisce di prendere in considerazione la corte del principe Yamadori, che vorrebbe sposarla seriamente.

Butterfly si considera ancora legata a Pinkerton e rifiuta il consiglio di Sharpless, mostrandogli il bambino generato da Pinkerton, prima che partisse: Butterfly lo ha nascosto a tutti, compreso il marito.

Se Pinkerton non tornasse, come donna esclusa dalla sua famiglia, ridiventerebbe geisha per mantenere il figlio, destino a cui lei preferisce la morte.

Cho Cho-San, scrutando sempre l’orizzonte, vede apparire la nave “Abramo Lincoln”, quella del suo amato Pinkerton.

E’ certa che sia tornato per lei, per cui è raggiante e, con Suzuki, para a festa la casa per accoglierlo meritatamente; con Suzuki e il bambino lo aspettano per tutta la notte, ma invano.

Atto III:

Notte insonne: Butterfly è delusa e rassegnata.

Ma, mentre riposa, Pinkerton si reca presso la loro casa in compagnia di Sharpless e di Kate, la giovane moglie da lui sposata regolarmente in America.

L’ufficiale dice a Suzuki che è deciso a portarsi il bambino negli U.S.A. per educarlo secondo gli usi occidentali.
Il velo illusorio cade dagli occhi di Butterfly e fa cadere la felicità tanto sognata.
Decide di farsi da parte, silenziosamente.

Quindi, affida il figlio a Pinkerton e Kate, lo benda e lo fa sedere dietro un paravento.

Nella penosa e dolorosa scena finale, Butterfly si colpisce al collo con lo stesso pugnale con cui il padre si è ucciso.
Pinkerton vuole chiederle perdono, ma la trova morta, mentre il bambino è bendato, gioca con una bambola e una bandierina americana e non i rende conto di nulla.


Brani famosi: 

Dovunque al mondo, aria di Pinkerton (atto primo)
Quanto cielo! Quanto mar!, entrata di Butterfly con coro femminile (atto primo)
Viene la sera … Bimba dagli occhi pieni di malìa … Vogliatemi bene, un ben piccolino, duetto tra Butterfly e Pinkerton (atto primo)
Un bel dì, vedremo (atto secondo)
Coro a bocca chiusa (atto secondo)
Addio fiorito asil (atto terzo)
Tu, tu piccolo Iddio! (atto terzo)

 

Incisioni più note con: 

Rosetta Pampanini, Toti Dal Monte, Renata Tebaldi, Maria Callas, Anna Moffo, Mirella Freni, Montserrat Caballé, Renata Scotto, Angela Gheorghiu.

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:

Verso la fine della seconda metà del 1800, viene creato un Gruppo di musicisti post-wagneriani che appartiene alla corrente verista, la “Giovine Scuola Italiana”: Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilea, Franchetti e – all’inizio – Puccini.

Praticamente, siamo alla fine dell’Opera Romantica dalla quale Puccini presto trova e percorre una strada sua.

Dopo avere musicato cinque opere, Puccini incontra la piccola geisha Cio-Cio-San (Onorevole Farfalla).
Infatti, nel luglio 1900, Puccini si trova a Londra per la prima di “Tosca” là e, una sera, andando ad assistere alla rappresentazione di “Madama Butterfly” di David Belasco, al “Duke of York’s Theatre”, nonostante non conosca la lingua inglese, viene colpito dallo strale amoroso verso il personaggio della piccola geisha.

Puccini compone “Madama Butterfly” a Torre del Lago, con interruzioni a causa di un incidente d’auto e problemi vari.

Puccini ama l’esotismo ed è convintissimo del valore del soggetto e della personalità della piccola geisha, per cui si documenta instancabilmente e in modo particolareggiato su musiche, usi e costumi nipponici.
Ha l’aiuto di una famosa attrice di là, Sada Yacco, e della moglie dell’Ambasciatore giapponese, in Italia, facendosi descrivere usi e costumi del popolo orientale.

I costumi, al debutto alla Scala di Milano, sono disegnati da Giuseppe Palanti.

Purtroppo, la prima al Teatro “La Scala”, nel febbraio 1904, cade clamorosamente (sembra a causa di boicottaggio), ma Puccini è caparbio e, nel maggio 1905, dopo appropriate modifiche, l’opera, al Teatro “Grande” di Brescia, consegue un esito trionfale venendo, poi, rappresentata in tutti i teatri del Mondo.

Il sensibilissimo Puccini sceglie i suoi libretti convinto che: “Se non mi tocca il cuore non c’è niente da fare”.

Così parla a Butterfly: “Piccola creatura mia, io amo le anime che piangono senza urlare e soffrono con amarezza tutta intima”.

Puccini ama l’esotismo e, la predilezione per questa sua opera è talmente grande che chiama “Cio-Cio-San” la sua nave; nave che solca le acque del Lago di Massaciuccoli e del Mare di Viareggio.

Questo esempio femminile lascia un forte segno nella psiche di Puccini che, più tardi, creerà il simile personaggio di Liù, nell’incompiuta “Turandot”.

 

Da notare che, in quest’opera:

. L’inno nazionale degli Stati Uniti d’America che compare svariate volte all’interno dell’opera, in realtà, ai tempi di Puccini è l’inno della Marina degli Stati Uniti d’America.

Ma, nel 1931, tale inno, con una risoluzione del congresso, diventa l’inno nazionale statunitense.

. L’ assolo di Yakusidé, lo zio ubriacone di Butterfly: non viene eseguito e, soprattutto, il concertato a cui appartiene, non viene mai eseguito.

 

Butterfly:   

Cio-Cio-San è adolescente e un po’ bambina, ha paura di soffrire e lo dice a Pinkerton, durante il bellissimo duetto d’amore del I atto: “Vogliatemi bene, un bene piccolino”.

E’ una nobile e dolcissima ragazza quindicenne che ha “dovuto” prostituirsi per mantenere se stessa e sua madre, dal momento che il padre si è ucciso su comando dell’imperatore.

Sposando Pinkerton, Butterfly conosce i suoi diritti di moglie, ma non possiede la giusta quantità di fiducia in sé stessa, anche dopo che lo zio la rinnega perché lei si converte alla Fede del marito in modo pio.

Butterfly si sente “rinnegata e felice”.
Suzuki e Sharpless tentano di aprirle gli occhi, ma cedono di fronte alla sua convinzione testarda di persona che necessita di affetto: infatti, la perdita del padre, quando era bambina, l”ha traumatizzata.

Butterfly, la notte prima che Pinkerton ritorni nella loro casetta dopo anni, la cosparge di fiori e si veste con l’abito da sposa indossato il giorno del matrimonio: organizza una specie di Festa.

Dopo avere organizzato l’accoglienza per “il suo Pinkerton”, non riesce a dormire perché la tanta felicità sembra farle male, pur trepidando e abbandonandosi al sogno ad occhi aperti.

Vedendo Kate e, rendendosi conto che è stata un giocattolino nelle mani di Pinkerton, non si lamenta, si dà la morte, facendosi da parte “con onore” e lasciandogli il bambino che è figlio suo ma – soprattutto – E’ IL FIGLIO DELL’UOMO CHE AMA.

Butterfly SA provare il Sentimento d’Amore anche con l’atto estremo: l’intenzione ferma di suicidarsi fa sembrare Butterfly fredda, interiormente, però, è pervasa da mille cose ed è decisa.

Viene interrotta dall’arrivo del bambino, ma riesce ad allontanarlo per poi colpirsi a morte, nella gola, con lo stesso pugnale di suo padre.

Butterfly non ha la mente manipolata al punto di ritrovarsi come “una bambola rotta”, ma diventa ugualmente “una bambola rotta” a causa del rendersi conto, dopo il ritorno di Pinkerton, che il suo sogno si è frantumato; si rende conto di essersi illusa in modo caparbio, si rende conto di non essere mai stata amata.

 

Quest’opera tratta un’ILLUSIONE che sfocia in tragedia, ma Butterfly NON è una perdente: Butterfly HA CONQUISTATO L’IMMORTALITA’, attraverso la Musica di Puccini.

Puccini E’ Butterfly, dal momento che ha saputo calarsi benissimo nel personaggio di Cio-Cio-San.

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A questo punto, ritengo opportuno fare presente qualcosa di importante che si può collegare alla vicenda di Butterfly:

. Fortunatamente, Cio-Cio-San non è vissuta nel periodo recente della guerra in Vietnam, dove i soldati statunitensi appartenenti alle basi stanziate a Bangkok e a Pattaya frequentavano prostitute tailandesi anche con la violenza fisica, lasciandole incinte: Butterfly si riabilita sposandosi secondo l’uso giapponese ma, da parte di Pinkerton, si tratta sempre di violenza psicologica e fisica su un’adolescente, su una donna, su un essere umano.

. Ad esempio, esistono, le “Ragazze Thai”: fra loro, si trovano brave ragazze che si affidano ad un uomo che le possa proteggere, ma esistono anche le ragazze che si offrono o che vengono spinte dalla famiglia per pagare i debiti di giochi stipulati con la mafia thailandese (qui, vendono anche i propri figli), molte delle quali “lavorano” nei Go-go-bar a luci rosse e rosa di Bangkok, Pattaya, Phuket, Koh Samui.
Sottostanno agli ordini di una maîtresse e sono molto abili nel comportarsi da vittime per scucire parecchi soldi ai clienti, raccontando che “svolgono tale tipo di lavoro perché la famiglia è povera, il tetto di casa è crollato ed è da rifare, …” ma, a loro, interessano i soldi.
Per non molti euro (valuta pregiata per quel Paese), sono disposte a tenere compagnia per un’ora, per tutta la notte o, addirittura, per l’intero periodo di soggiorno.

. Si possono trovare spettacoli strani (anche transessuali), nei Go-go-bar: qui, si trovano le Thai Lady Bar, i Ladyboy, i Trans Thailandesi e le lesbiche, …

. Il mio titolo di studio è “Maturità Professionale per Operatore Turistico”, per cui consiglio di fare attenzione alle sorprese e di ascoltare le comunicazioni da parte di un’Agenzia di Viaggi seria che, a mezzo del suo Accompagnatore, si comporta regolarmente e avverte i propri clienti dei pericoli nei quali potrebbero incorrere.

Infatti, sembra che, lì, sia ancora vivo il turismo sessuale, pur essendo in forte calo dalla fine degli anni ’90.

. I degenerati uomini “virtuosi” occidentali che cercano donne thai, uomini “virtuosi” che, con la loro doppia personalità, si trasformano in “Dottor Jeckyll e Mister Hyde”, facendo credere di essere bravi padri di famiglia, bravi nonni, invece, sono persone-“Centro dell’Universo” interiormente vuote, insoddisfatte che – inconsapevolmente – vogliono “dimostrare” e “raccontare” per sentirsi qualcuno e abbattere la personalità femminile (anche verso bambine e bambini, nei bordelli infantili: quindi, pedofili).
Questo, sicuramente, a seguito di azioni negative subìte non si sa quando; azioni che provocano la fuoriuscita della loro rabbia in corpo da placare.
(SE Pinkerton fosse vissuto in questo periodo, credo che questo tipo di turismo gli sarebbe calzato a perfezione).

. E’ importante citare che, da vent’anni a questa parte, la Thailandia si sta sviluppando economicamente.
Sono aumentati i posti di lavoro e si è verificata la diminuzione della Prostituzione, dell’AIDS e della pedofilia grazie anche alle Associazioni Internazionali che ritenevano la Thailandia un Paese moralmente degradato e alle leggi varate e fatte rispettare in modo ferreo dallo Stato Thailandese (Covid, a parte).

 

Detto quanto sopra, chiudo questo SCRITTO IN DIFESA DI BUTTERFLY, DELLA DONNA E DEI BAMBINI.

 

Pinkerton: 

Fin da subito, la personalità di questo ufficiale della Marina americana si presenta come cinica e immatura, egocentrica-egoista, tendente a ciò che gli conviene, NON preoccupandosi dei sentimenti altrui, illudendo, umiliando, provocando sofferenze nelle “vittime” psicologiche scelte inconsciamente.

“Vittime” che non possiedono una fiducia in sé stesse sufficiente per reagire.

Pinkerton è un “macho” del suo tempo: narcisista interiormente vuoto, mentalmente sadico, anaffettivo.

Infatti, la tendenza convinta a contrarre il matrimonio tradizionale con una compatriota – nell’attesa – gli ha fatto scattare il meccanismo psicologico di “diritto di avventure”.

Pinkerton è conquistato dalla finezza di Cio-Cio-San ed è risaputo che le geishe affascinano il maschio occidentale, creando curiosità e soddisfazione.

Ma è anche vero che, nel duetto d’amore, al termine del I atto, constata verso sé stesso “Questo giocattolino è mia moglie”: in effetti, il suo comportamento verso Butterfly è proprio come se fosse rivolto ad un giocattolo che può rompere quando non gli piace più.

(Parecchi uomini come lui trattano la donna così, per cui anche ai giorni nostri – come conseguenza a vari tipi di traumi – possono esistere donne che, idem, possiedono una percentuale di narcisismo, ma i dati dimostrano che le percentuali maschili sono maggiori di quelle femminili).

NON è tutta colpa di Pinkerton, ma dei fattori ambientali in cui è cresciuto: famiglia ed extra famiglia.

Può avere ricevuto parecchie concessioni, dai genitori (studi, sport), ma NON ciò di cui aveva più bisogno: l’amore.

Per cui è internamente vuoto e arido; pensa – inconsciamente – che tutto gli sia dovuto e si nutre dell’energia emotiva di chi gli sta di fronte.

Però, nel III atto, come per miracolo, riesce a rendersi conto del male creato a causa della sua aridità (“Addio, fiorito asil …”).

Nell’opera, il vero PERDENTE, è proprio il narcisista Pinkerton perché il suo comportamento è proprio di personalità che “NON SI RENDE CONTO”, oppure “NON SI VUOLE RENDERE CONTO, INCONSCIAMENTE PER AUTODIFESA VERSO QUALCOSA O QUALCUNO”: infatti, Sharpless, da uomo equilibrato, con empatia, insiste per far riflettere il marinaio: “E’ un facile vangelo che fa la vita vaga ma che intristisce il cor”).

 

Suzuki: 

Serva di Butterfly da prima del matrimonio, è religiosa e prega, oltre ad essere buona e paziente.

Con Sharpless, cerca di disilludere Butterfly e, quando arriva Kate, la moglie americana di Pinkerton, è colpita tristemente a causa del dolore che “la piccina” proverà; ossia, Suzuki conosce bene la fanciulla per cui “assorbe come una spugna” la tragedia umana della ragazza.

 

Sharpless: 

Sharpless, Console degli Stati Uniti in Giappone, conosce abbastanza il carattere vanitoso e superficiale di Pinkerton e lo avverte educatamente che “ella ci crede”.

E’ comprensivo ed umano nei confronti di Cio-Cio-San: a differenza di Pinkerton, Sharpless dimostra di possedere empatia.
Sharpless è un uomo di buon senso, equilibrato, responsabile.
Sharpless è “un saggio”.

A lui il destino affida il compito di avvertire Butterfly (“… nella stagione del pettirosso …”) che Pinkerton ha una nuova moglie, ma non riesce a farlo perché l’entusiasmo, la speranza e l’ansia della giapponesina lo frenano.

 

Goro: 

E’ un “nakodo”, ossia un intermediario matrimoniale che fa conoscere stranieri e donne del luogo: “sol cento yen”.

Infatti, anche Butterfly e Pinkerton si conoscono grazie a lui, mentre lo stesso Goro organizza il loro matrimonio ‘momentaneo’.

Da bravo “agente matrimoniale”, Goro è molto professionale, non è invadente, ma – giustamente – informa circa l’abitazione giapponese, la servitù, e non disturba il colloquio fra il console e l’ufficiale americano pur proponendo a Pinkerton un legame ‘di convenienza’: “Se Vostra Grazia mi comanda, ce n’ho un assortimento”.

Davvero, “Gran perla di sensale”, lo definisce Pinkerton.

Gli presenta “L’imperial Commissario, l’Ufficiale, del registro, i congiunti”, e si avvale del suo potere per far tacere il chiasso provocato dai parenti di Butterfly, Yakusidé in testa (lo zio ubriacone).

Goro è un eccellente professionista, che segue attentamente tutta la cerimonia perché non si presentino spiacevoli imprevisti (purtroppo, l’intervento di Yakusidé produce negatività).

Goro diventa invadente solamente nel II atto, quando Suzuki e Butterfly sono costrette a malmenarlo fino a farlo scappare per avere accompagnato il Principe Yamadori da Butterfly, luogo dove le sottopone la norma contrattuale, giapponese, che “… per la moglie, l’abbandono al divorzio equiparò”, ma Butterfly obietta ingenuamente con le clausole della legge del ‘suo’ Paese: gli Stati Uniti.
Rischiando la coltellata da Butterfly, Goro risponde “dicevo solo che là in America, quando un figlio è nato maledetto, trarrà, sempre reietto, la vita fra le genti!”.

Goro: agisce unicamente per il proprio interesse.  E’ diplomatico ed è una personalità tossica, psichicamente.

Moltissime persone sono come lui in qualsiasi Paese e in qualsiasi epoca: spesso, sono definite “truffatrici”.

Goro, psicologicamente, è una personalità interessante.

 

Il Principe Yamadori:

La parte del Principe Yamadori è breve, ma dimostra che tale uomo possiede grande rispettabilità e conosce bene sia la tradizione giapponese sia la civiltà americana.

Pare capire bene la disgrazia di Butterfly, verso cui prova un sentimento sincero, la quale si ostina: “Già legata è la mia fede”.

Butterfly considera Goro e Yamadori “persone moleste”, per cui il Principe la saluta in modo commovente: «Addio. Vi lascio il cuor pien di cordoglio: ma spero ancor» … “Ah! Se voleste”.

Butterfly: «Il guaio è che non voglio…».

Concludendo: Yamadori è, senza dubbio, una persona buona nel vero senso della parola.

Lo zio Bonzo: 

Ha una parte brevissima che si trova nel primo atto: maledice Cio-Cio-San per avere rinnegato fede e cultura giapponesi e avere abbracciato la religione del marito americano.

MADAMA BUTTERFLY: UNA TRAGEDIA MUSICALE, UMANA E PSICOLOGICA CREATA IN MODO ALTO.

Battuto al computer da Lauretta

 

 

Il tenore MARCELLO GIORDANI canta “DOVUNQUE AL MONDO”:

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU canta “QUANTO CIELO! QUANTO MAR!”:

 

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I soprano MIRELLA FRENI e il tenore PLACIDO DOMINGO cantano “VIENE LA SERA … BIMBA DAGLI OCCHI PIENI DI MALIA”:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “UN BEL DI’ VEDREMO”:

 

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ETTORE GRACIS dirige il CORO A BOCCA CHIUSA (ATTO II) presso il Teatro “LA FENICE” di Venezia:  https://youtu.be/RWo6MZ4QuRg

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “ADDIO, FIORITO ASIL”:

 

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “TU, TU, PICCOLO IDDIO”:

LOHENGRIN di RICHARD WAGNER

Opera lirica in tre atti – libretto e musica di Richard Wagner.

Prima rappresentazione al “Gross Herzoegliches Hofftheater” di Weimar, 28 agosto 1850

 

Personaggi:

Enrico l’Uccellatore, re di Germania (basso)
Lohengrin (tenore)
Elsa di Brabante (soprano)
Goffredo, duca di Brabante, suo fratello (ruolo muto)
Federico di Telramondo, conte di Brabante (baritono)
Ortruda, sua moglie (soprano)
L’araldo del Re (basso o baritono)
Quattro nobili di Brabante (tenori e bassi)
Quattro paggi (soprani e contralti)
Nobili sassoni, turingi e brabantini, dame, vassalli, servi

 

Primi interpreti:

Lohengrin, Karl Beck
Elsa di Brabante, Rosa von Milde
Ortruda, Josephine Fastlinger
Federico di Telramondo, Hans Feodor von Milde
Enrico l’Uccellatore, August Höfer
L’araldo del Re, August Ferdinand Pätsch

Direzione orchestrale: Franz Liszt
Regia: Eduard Genast
Scenografia: Angelo Quaglio

 

Trama: 

Periodo storico: Medioevo, prima metà del X secolo.

Quest’opera è fiabesca e si nota che lo stile del suo compositore è completamente diverso dai musicisti italiani come Verdi, Bellini, Puccini, …

Il colore dominante è il BIANCO: irradia SPLENDORE.

Quanto è  accaduto prima della scena iniziale costituisce il motivo-base dell’opera, per cui è opportuno spiegare che il vecchio Duca di Brabante ha affidato la tutela di Elsa e Goffredo (suoi eredi)  al Conte Federico di Telramondo.

Federico avrebbe dovuto sposare Elsa ma, a seguito della sua ACCUSA verso la fanciulla di avere ucciso il fratello Goffredo rivendicando l’eredità del ducato, ha ricevuto – come risposta dalla stessa Elsa – la decisa rinuncia al matrimonio.

Ragione per la quale ha sposato la discendente di un ceppo di prìncipi pagani, Ortruda; principi che hanno sempre adorato divinità con poteri magici, per cui è importante sottolineare che Ortruda, al contrario di Lohengrin, crede nei vecchi Dei pagani: infatti, fra questi due personaggi, esiste la diversità di “CREDO RELIGIOSO”, ossia di  un argomento fondamentale da tenere ben presente e che, in effetti, evidenzia la scena maggiore della stessa Ortruda, ossia quella in cui lei – disperata – chiede  aiuto a Wotan e a Freia per attuare la sua vendetta, proprio perché osserva la religione pagana.

Quindi, per vendicare l’ “affronto” subìto dal marito per il mancato matrimonio con Elsa e per ereditare il ducato, Ortruda trasforma Goffredo in un cigno, convincendo Federico ad accusare la pura e angelica Elsa di fratricidio.

 

ATTO I:

Sulla riva del fiume Schelda, stanno i Brabantini: sono invitati dal Re Enrico-l’Uccellatore  a tenersi pronti nella difesa verso gli Ungari.

Essendo in previsione che la battaglia avvenga entro due giorni e, per ristabilire la pace, chiede l’aiuto del Conte Federico di Telramondo, definito “ UN MODELLO DI VIRTU’ “.

Il Re incoraggia Elsa a difendersi contro l’accusa di fratricidio da parte di Telramondo la quale gli racconta un suo sogno: si sentiva sola, indifesa, per cui aveva implorato l’aiuto di Dio che, come risposta, materializzava un cavaliere dall’armatura smagliante che giurava di combattere in sua difesa.

Telramondo NON ritratta l’accusa fatta, per cui il Re “voglia permettere” un duello per  risolvere la “questione davanti a Dio” che egli sosterrà con chiunque voglia difendere l’onore di Elsa.

Lohengrin arriva su una piccola barca trascinata da un cigno candido: la sua armatura è d’argento e risplende.
Poi, si accomiata dal cigno: “Mercè! Mercè, cigno gentil!”.

Il cavaliere rende noto a tutti che Elsa è innocente e che l’accusa di Telramondo è falsa; chiede ad Elsa di diventare sua moglie, ma ESIGE la PROMESSA che lei NON gli chieda mai chi è e da dove sia venuto: in caso contrario, sarà costretto ad abbandonarla per sempre.

Lohengrin vince Telramondo, ma non lo uccide, Elsa e Lohengrin vengono portati in trionfo, Telramondo cade ai piedi di sua moglie sconfitto e disonorato.

 

Atto II:

Nella scena altamente wagneriana, vedendo la fragilità emotiva del marito, Ortruda è ANGOSCIATA INTERIORMENTE, lo titola di VILE e gli fa presente che  “Il  cavaliere dovrebbe rivelare il suo nome, affinché il potere avuto ad opera dell’inganno possa cadere”.

Psicologicamente, Ortruda riesce ancora a sottomettere Federico che viene preso da un desiderio di rivalsa, per cui agiscono subito affinché Elsa venga presa dal forte tarlo del dubbio: fingendosi vittima, Ortruda le comunica il pentimento di Telramondo e insinua che Lohengrin possa amare senza incertezza, nonostante venga eletto a Protettore del  Brabante e sposi Elsa.

Infatti, fra la folla, quattro vecchi vassalli di Telramondo, diffondono la notizia della battaglia imminente con gli Ungari, per cui Telramondo si erige ad accusatore di Lohengrin per STREGONERIA, MAGIA NERA.

 

Nella cattedrale, il coro del corteo è interrotto dall’intervento di Ortruda, che, con un subitaneo cambiamento di atteggiamento, sfida Elsa attraverso “MOTIVI VALIDI” secondo i quali suo marito era grandemente onorato, in patria, mentre Lohengrin NON sembra puro e NESSUNO  LO CONOSCE.

Le accuse di Ortruda vengono respinte da tutti i presenti, Elsa si stringe a Lohengrin, appena arrivato assieme al Re per le nozze.

Qui, Federico accusa Lohengrin di menzogna, chiedendogli: “Nome, rango e meriti io gli domando! Possa egli smentire l’inchiesta!”.

 

Atto III:

Elsa non è felice completamente a causa del dubbio inculcatole da Ortruda e Lohengrin si rende conto che Elsa è ormai in balia del dubbio: “Elsa, come ti vedo tremare!”.

A seguito dell’irruzione di Telramondo nella stanza dei due sposi, Elsa porge la spada a Lohengrin che lo uccide.

Sulla riva della Schelda, stanno il Re, la corte, la bara con il corpo di Telramondo.

Lohengrin giunge e rende noto, addolorando tutti, che non può più essere il protettore  che proviene dal Castello di Monsalvato nel quale è custodito un calice – il GRAAL – dove è raccolto il sangue di Cristo, calice portato lassù da una schiera di Angeli e sorvegliato da un gruppo di cavalieri che hanno il compito di proteggere chi necessita di aiuto.

Ogni anno, una colomba rinnova il potere del calice.

Parsifal, suo padre, è il re del Castello ed egli si chiama Lohengrin.

Riappare la barchetta trascinata dal cigno; Lohengrin, addolorato, si accomiata da Elsa, si inginocchia pregando sommessamente e una colomba bianca vola sopra la barca.

Ortruda grida che il cigno è il fratello di Elsa che lei stessa ha stregato.

Lohengrin scioglie la catena che lega il cigno il quale, dai flutti, emerge nei panni di un fanciullo vestito d’argento e balza sulla riva del fiume.

Lohengrin sale sulla barca trascinata, questa volta, dalla colomba bianca ed Elsa invoca Lohengrin, ma cade morta al suolo.

 

Brani noti:  

Preludio atto I
“Einsam in trüben Tagen”, (“Sola in tristi giorni”, ossia il “Sogno di Elsa) atto I
Wenn ich im Kampfe für dich siege, “Se in campo io vinco per te”  atto I
Euch lüften, die mein Klagen, “A voi arie, che il mio lamento”
Inizio della 4ª scena (Processione di Elsa alla cattedrale)
Preludio atto III
Treulich geführt, “Fedelmente guidati” (Coro  e marcia nuziale)
Das süsse Lied verhallt, “Il dolce canto muore” (Duetto d’amore)
Höchstes Vertraun, “D’altissima fiducia”
Ingresso del re Enrico
In fernem Land, “Da voi lontan, in sconosciuta terra ” (Racconto del Graal)
Mein lieber Schwan… O Elsa! Nur ein Jahr an deiner Seite, “Mio caro cigno… O Elsa! Un anno solo al tuo fianco” (Addio di Lohengrin)

 

Incisioni note:

Eleanor Steber, Wolfgang Windgassen, Josef Greindl     Joseph Keilberth Coro e Orchestra di Bayreuth   Decca

Annelies Kupper, Lorenz Fehenberger, Otto Von Rohr   E. Jochum Coro e Orchestra Radio Bavarese   DGR

  1. Cunitz, R. Schock, G. Frick   Wilhelm Schuechter Coro e Orchestra Radio Amburgo   VDP


Video: 

Placido Domingo, Robert Lloyd, Cheryl Studer, Hartmut Welker, Dunja Vejzovic, Georg Tichy   Claudio Abbado Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna   RM Arts 1990

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:  

Richard Wagner è un intellettuale che esercita un ruolo incisivo sulla cultura europea del 1800, svecchiando decisamente  il teatro musicale e influenzando il pensiero psicologico di parecchi stati europei, fra cui Jung e destando l’ammirazione di Baudelaire, D’Annunzio, Nietzsche (da estimatore, passato, poi, a denigratore), Alban Berg.

Per Wagner, “Lohengrin”, ossia “Il Cavaliere del Cigno”, è una grand opéra romantica  nello stile “fiaba con finale tragico”.
Lohengrin è un’opera allegorica e complessa che, a differenza di altri lavori di Wagner (il cui fine è la  “la redenzione”), è l’unica che termina con il senso di rimpianto.

Nella vita, Wagner, come artista, si sente isolato e Lohengrin è il personaggio-immagine della sua situazione personale solitaria: come Lohengrin, Wagner necessita di affetto e comprensione da parte del mondo umano.

Allora, in base all’interpretazione di poesie e di documenti storici a cui si ispira, allude all’ “artista assoluto”, in modo psicologico e filosofico.

Infatti, appare chiaro che Lohengrin vuole essere amato da Elsa per come lui è, senza  rendere conto della sua estrazione sociale.
Lohengrin-“artista” simboleggia l’opposto di Telramondo, il cavaliere che rappresenta il “conformismo borghese” accettato dalla legge e che, con Ortruda, genera l’ombra del dubbio che, lentamente, si annida in Elsa, provocando il suo allontanamento da Lohengrin il quale ritiene meno importante il legame fra il Cristianesimo iniziale e il Paganesimo.

Quanto sopra viene visto dai nostri occhi mortali come storia fiabesca “normale” ma, in effetti, il concetto di Wagner è profondo, psicologico, sociologico e filosofico perché pone Ortruda come “maga” della religione pagana; maga che diventa la “reazionaria” contro quanto attuato dal “rivoluzionario” Lohengrin.

Però, reazionaria e rivoluzionario non riescono a realizzare i loro sforzi perché l’ “artista”, ossia qualsiasi essere umano in generale, “non viene riconosciuto” e il reazionario “non viene giustficato dalla Storia”.

La spiegazione è intricata, però la Psicologia e la Filosofia aiutano in tale cosa insegnandoci che è giusto operare dei cambiamenti per “uscire” da dove siamo rimasti bloccati, cambiamenti  che ci facciano avanzare di nuovo e avere spazio nel  cuore, nella mente, fisicamente.

Tutto questo affinché NON ci venga impedito di ottenere quello che vogliamo bloccando il nostro sviluppo personale, allontanando le fonti di sofferenza: consolazioni false e mancanza di autostima.

Wagner contrappone il Mondo puro dei Cavalieri del Graal e il Mondo cupo dei Maghi Pagani.

Scrivendo trama e libretto, Wagner compie “un lavoro da certosino” perché riunisce e  assembla storie come la “Saga di Lohengrin”, il “Parzival” di Eschenbach (sviluppando la storia di Lohengrin, il figlio del Cavaliere del Graal), arrivando ad un solo argomento coerente e ben definito filosoficamente e psicologicamente, trasportato nell’epoca medioevale.

Wagner crea l’opera “Lohengrin” e cita gli Dei pagani che anticipano particolari psicologici dei nostri tempi abbastanza recenti, opera in cui si riflettono la vita e il pessimismo del compositore.
Infatti, da scontento qual è, per Wagner, “il mondo moderno” dell’epoca è insignificante, per cui dà per certo che il protagonista sarà sconfitto: infatti, Lohengrin-personaggio profetico non può coesistere con la realtà sociale in cui viene a trovarsi.

Quindi, il debole Re Enrico rappresenta il Re Federico Guglielmo IV che tende alla soppressione  della democraticità della corrente del filosofo Hegel; re che stipula la “Santa Alleanza” con il reazionario Zar Nicola I, per cui Wagner ipotizza il concetto di “amore” e lo rende constrastante con la realtà del suo tempo.

Il fiuto di Wagner dimostra che amore e liberazione-riscatto sono il contrario delle lotte di potere nella società in cui vive, società che usa l’amore per puro calcolo: Lohengrin usa l’amore e la verità per essere capito ed amato per suo diritto personale e sta per raggiungere l’obiettivo prefisso quando Elsa, come gli esseri umani, usa l’amore e la verità entro un certo arco di tempo (la prima notte di nozze) per chiedere a Lohengrin chi è veramente.

Sicuramente, qualcuno non ha mai capito il motivo per cui Lohengrin non vuole svelare la sua identità, per cui si chiede perché tale motivo possa sembrare sciocco: motivo che rappresenta il transito verso il  “vero punto centrale dell’esistenza umana”.

Passaggio che riguarda la solitudine di Lohengrin ed Elsa, figure fondamentali per poter mostrare gli attacchi all’immagine umana; immagine dell’uomo-Lohengrin che sarebbe guaribile dall’amore di una donna, nonostante la macchinazione della demoniaca Ortruda che rappresenta il “calcolo politico”, la “borghesia reazionaria”.

Wagner sceglie l’ “allegoria dell’artista” che ha necessità di essere compreso per  mezzo del sentimento “amore”, sentimento che non trova nella società “moderna” in cui vive, per cui Elsa (ama l’artista/Lohengrin) diventa distruttiva inconsapevolmente, in quanto “riflessione/curiosità” che, inconsciamente e gravemente, non rispetta la libertà e la vita altrui.

Dopotutto, Lohengrin si reca da lei come difensore ed Elsa rappresenta la sua parte emotiva inconscia.

Per Wagner, i Cavalieri del Graal rispecchiano la “comunità degli artisti”, mentre  il Calice del Sacro Graal rappresenta, secondo Feuerbach, “Il cuore condotto alla ragione”, un regno che per Wagner è sinonimo di amore e libertà.

Per cui, secondo Wagner (che può sembrare utopistico): “Gli artisti  sono degli esseri mortali con il dono del fuoco dell’intuizione divina e sono coloro che, sostenuti dalla fede del Genio in sé, la cui forza non è eguagliata da alcuni, con straordinaria sofferenza dispiegano gli enigmi dell’esistenza per rivelarla all’umanità. – Il bisogno più urgente e più forte dell’uomo perfetto e artista è di comunicare sé stesso in tutta la pienezza della sua natura all’intera comunità: l’artista che, ‘nella solitudine silenziosa’, fa nascere la sua opera, sente l’impulso divino alla comunicazione e ha bisogno della comunità degli uomini per suffragare il suo ruolo di guida”.

Wagner descrive quest’uomo come uomo perfetto, il cui problema è quello dell’artista moderno, ossia nel suo rapporto con la società del suo tempo.

Infatti, Wagner ha capito che “L’artista nutre la speranza che gli altri gli tributino onore e gloria, restandone deluso e incompreso: l’artista, se gli domanderete se la maggior  parte degli uomini d’arte ha capito i suoi sforzi migliori, risponderà alla vostra domanda con un profondo sospiro”.

Nel 1800, la società borghese amareggia, scontenta e annienta l’artista, esigendo che – praticamente – le necessità suggerite dalla moda e non dai bisogni artistici – provochino la frustrazione dell’artista stesso che reagisce “trasformandosi” in mito-artefice di un’arte libera.

Per cui, come conseguenza, ricerca sempre la comprensione da parte della comunità di cui fa parte dal momento che, come Wagner sostiene, “Chi è isolato non è libero. E’ limitato e suddito in seno all’indifferenza; libero è l’uomo sociale perché l’amore lo rende indipendente.

Il bisogno di amare è insito ‘nell’anelito vitale dell’uomo poiché solo ciò che si ama si può comprendere e amare: significa riconoscere altri e, nello stesso tempo, riconoscere se stessi.”

 

Quindi, Wagner, essendo artista e pensatore, è cosciente di provare interesse-avversione verso la società moderna, la cui scienza e il cui ragionamento del guadagno, hanno operato una scissione fra uomo e natura, dal “puramente umano”, modificando l’aspetto artistico causando declino: “Ecco l’arte del nostro mondo civilizzato! La sua vera essenza è l’industria, il suo fine morale il guadagno, il suo pretesto estetico la distrazione delle noie.

Finché ci sarà una società basata sulla logica del guadagno, del potere e guidata dalle leggi della scienza sarà impossibile creare una comunità di uomini uniti nella necessità e nell’amore che rende l’uomo partecipe eliminando egoismi e solitudini”.

Situazione di grande attualità, in quanto la Storia si ripete.

 

Lohengrin:

Lohengrin, il Cavaliere del Cigno, è l’uomo che fa sognare chi vive in una dimensione “normale”.

Nell’opera wagneriana, impersona il difensore ideale dei deboli e scende per accorrere in aiuto di Elsa di Brabante che diverrà sua moglie.

Ma, secondo Wagner, è il puro innocente, il semi-dio che vive con i Cavalieri del Graal che simboleggiano la “comunità degli artisti” che la società borghese vuole distruggere a mezzo del potere e della logica del guadagno rappresentati da Ortruda e Telramondo.

Ortruda instilla il dubbio in Elsa che rivolge la domanda fatidica a Lohengrin circa la sua vera personalità ed è deluso dal comportamento della neo-moglie, per cui è costretto a raccontare pubblicamente la sua origine divina e a ripararsi “nella sua solitudine” tornando fra i Cavalieri del Graal, ossia la “comunità degli artisti” rappresentata dallo stesso Graal.

 

Elsa: 

. Elsa è una fanciulla dolce, con sentimenti puri, in cui Lohengrin/artista cerca di “redimersi”.

Viene travolta dagli eventi: la falsa accusa da parte di Telramondo è basilare per gli avvenimenti che seguiranno.

Secondo la tragedia wagneriana, Elsa è collocata fra Storia e Mito e vive in una realtà fantastica diversa di cui non si rende conto perché è innocente  ingenua, per cui si fa raggirare da Ortruda e Telramondo che, dopo averla accusata di fratricidio, le faranno perdere l’amore di Lohengrin.

Lohengrin, nonostante abbia natura di uomo-dio, intende essere amato come uomo terreno, per cui – all’inizio – non manifesta ad Elsa la sua personalità individuale; la quale Elsa rimane incuriosita dal non poter possedere il suo uomo sotto tutti gli aspetti e renderà irrealizzabile il loro rapporto nel mondo sociale proprio quando vuole attuare il loro amore.

Lohengrin si rende conto che “sbalordimento della comunità” e “senso di voler superare” arrivano fin dentro Elsa; quindi si rende conto che non è capito, ma solamente “venerato”, per cui si sente obbligato a rendere nota la sua  divinità.

 

Ortruda e Telramondo:

E’ importante citare Ortruda e Telramondo perché simboleggiano la borghesia, i suoi usi e costumi, le sue capacità politiche che non c’entrano con l’amore umano verso il prossimo.

Borghesia che impedirà, a Lohengrin-artista-dio, la possibilità  di creare una “comunità” nuova, inerente necessità e spirito, attraverso il guadagno, l’avidità di potere.

. Ortruda è un personaggio corrotto, distruttivo, che trama per riscattare l’onore di Federico di Telramondo, suo marito, idem persona immonda, immatura e insicura.

Persona che VUOLE IL POTERE, pur essendo debole, fragile: infatti, E’ SUA MOGLIE CHE “AGISCE” PER TUTTO.

Wagner sostiene:  “Ortrud è una donna che non conosce l’amore. Con ciò tutto è detto. Sua natura è la politica. Un uomo politico è ripugnante, ma una donna politica è atroce. Questa atrocità io dovevo rappresentare. Essa è una reazionaria, una donna rivolta esclusivamente all’antico e perciò nemica ad ogni novità”.

. Ortruda è un tassello importante, nell’opera, perché LEI è il “Deus ex Machina” che conduce la vicenda dell’opera (iniziando con la trasformazione in cigno di Goffredo).

LEI è “la vera protagonista”, nel secondo atto: qui, è  importante evidenziare, musicalmente, che il soprano-interprete DEVE “SAPERE COMANDARE” la tendenza della sua voce e conferirle il giusto stile creato da Wagner attraverso l’aria estremamente difficile e complessa fin da subito per mezzo degli acuti iniziali.

Dal duetto con Telramondo, si denota la malvagità di Ortruda che lo seduce con l’inganno,  arrivando al suo obiettivo di ottenebrargli la mente affinché odio e vendetta distruggano “i due innocenti”.

 

 

OPERA-CAPOLAVORO, MAGICA, FORTEMENTE IMPEGNATA PSICOLOGICAMENTE, FILOSOFICAMENTE, SOCIOLOGICAMENTE, POLITICAMENTE.

E’ UN PENSIERO PER QUANTO RIGUARDA LA RAPPRESENTAZIONE ALLEGORICA ATTRAVERSO IL  ‘PENSIERO ALTO WAGNERIANO VERSO LA SOCIETA’ UMANA DEL SUO TEMPO’.

Battuto al computer da Lauretta

 

 

ARTURO TOSCANINI dirige il PRELUDIO ALL’ATTO I:

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Il soprano MARIA CANIGLIA canta “SOLA NEI MIEI PRIM’ANNI” (SOGNO DI ELSA):

 

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Il tenore AURELIANO PERTILE canta “MERCE’ CIGNO GENTIL”:

 

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Il baritono ALDO PROTTI e il mezzosoprano LAURA DIDIER cantano TI LEVA, ANDIAM” DAL II ATTO:

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HERBERT von KARAJAN dirige il PRELUDIO ALL’ATTO III:

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Il CORO POLIFONICO DELLA CITTA’ DI VENTIMIGLIA esegue la “MARCIA NUZIALE”:

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Il tenore AURELIANO PERTILE canta DA VOI LONTAN IN SCONOCIUTA TERRA:

 

GIOVANNA D’ARCO di GIUSEPPE VERDI

Opera in tre atti su libretto di Temistocle Soliera, tratto parzialmente dal dramma di Friedrich Schiller “Die Jungfrau von Orléans”, musica di Giuseppe Verdi

Prima rappresentazione al Teatro “Alla Scala”, di Milano 15 febbraio 1845

 

Personaggi:

Carlo VII, re di Francia (tenore)
Giovanna, figlia di Giacomo (soprano)
Giacomo, Pastore in Domrémy (baritono)
Delil, Ufficiale del re (tenore)
Talbot, supremo comandante degli inglesi (basso)

Ufficiali del Re, Borghigiani, Popolo di Reims, Soldati francesi, Soldati inglesi, Spiriti eletti, Spiriti malvagi, Grandi del regno, Araldi, paggi, fanciulle, Marescialli, Deputati, Cavalieri e Dame, Magistrati, Alabardieri, Guardie d’onore (Coro)

Primi interpreti: 

Giovanna (soprano) Erminia Frezzolini
Carlo VII (tenore)  Antonio Poggi
Giacomo (baritono) Filippo Colini
Delil (tenore) Napoleone Marconi
Talbot (basso) Francesco Lodetti

 

Trama:

Epoca storica: in Francia, circa nel 1429.

 

Prologo:

Carlo VII di Francia, comunica che intende rinunciare al trono in favore del re d’Inghilterra perché, la Vergine, in sogno, gli ha comandato di posare armi ed elmo nel bosco.

Carlo racconta questo sogno e viene a sapere che, proprio là, c’è una cappellina, per cui vi si reca.

Nel piccolo ovile vicino, abitano Giacomo e la figlia Giovanna che è demoralizzata per non potere combattere per la Francia che, lentamente, viene assoggettata agli Inglesi.

Tornata a casa, si addormenta e, durante il sonno, vede gli spiriti malvagi che la tentano convincendola a vivere la sua vita giovane; sempre, in sogno, la luna, mostra a Giovanna gli spiriti Eletti, i quali le predicono l’avverarsi del desiderio di combattere: combatterà, ma non dovrà provare alcun affetto terreno.

Si sveglia e va alla cappellina dove trova l’elmo, le armi e il Re.

A questo punto Giovanna indossa l’elmo, la corazza e, con le armi in pugno, informa il re che libererà la Francia.

Giacomo, vedendo la scena, crede che il Re con l’aiuto del demonio sia riuscito a soggiogare sua figlia; mentre Giovanna si allontana, Carlo inizia a provare amore per lei.

 

Atto I

Scena I: Luogo roccioso presso Reims.

I soldati inglesi sono sconfitti dopo tante affermazioni belliche per cui, con il loro comandante Talbot decidono di fuggire.

Giacomo li incontra ed espone loro il motivo delle loro disfatte.

 

Scena II: I giardini della reggia di Reims.

Qui, è in corso la festa per la vittoria, ma Giovanna decide di ritornare alla propria abitazione, nel bosco. Carlo la raggiunge e le confessa il suo amore, «puro e spirituale».

Giovanna rifiuta ma, poco dopo, confessa di contraccambiare l’amore del re per cui prova una specie di vaneggiamento perché le anime celesti le citano la sua rinuncia per poter vestire la corazza.

Nella basilica entreranno il re per l’incoronazione e Giovanna per l’omaggio.

Carlo prega per Giovanna, la quale vede gli spiriti malvagi esultanti per la vittoria contro di lei, donna combattente.

Atto II: Piazza di Reims con la cattedrale di S. Dionigi.

La folla inneggia a Giovanna, mentre giunge la processione composta da Ufficiali del Re, Grandi del regno, Araldi, Marescialli, Deputati con altri grandi personaggi e, alla fine, Carlo e Giovanna che entrano nella basilica, mentre, poco distante, Giacomo si sente padre tradito.

Carlo, incoronato RE, uscito dalla cattedrale, informa che tale luogo sacro sarà intitolato a Giovanna.

In presenza di tutti Giacomo accusa la figlia di essere vincolata al Maligno.

Giovanna ama Carlo in modo terreno, ma puro, però non sa come giustificarsi: maledetta da tutti (tranne che dal Re) la fanciulla si getta nelle braccia del padre per la cui mentalità esiste il rogo purificatore.

Atto III: Giovanna è prigioniera in una fortezza inglese.

E’ in atto la battaglia e Giovanna crede che il Re sia assediato dalle truppe nemiche.

Giacomo entra da lei che lo prega di rompere le sue catene e, pur avendo amato per un attimo Carlo, è sempre rimasta fedele a Dio.

Ora, Giacomo crede nella purezza della figlia, rompe le catene e la sprona a combattere contro gli Inglesi per cui, arrivata nel mezzo della battaglia, combatte con Carlo e riescono a scacciare i nemici.

Giacomo è pentito ed è perdonato dal Re, ma Delil dichiara che Giovanna è morta.

Molto addolorato, Carlo vede il corteo che trasporta la salma dove, per brevissimo tempo, Giovanna riconosce il Re, il padre e domanda la “sua” bandiera.

Dopodiché, vede calare la Vergine Maria e trapassa ad Altro Mondo, accolta dagli Spiriti Eletti.

Brani noti: 

Sinfonia
Sotto una quercia parvemi (atto I)
Pondo è letal, martiro, cavatina e cabaletta di Carlo (atto I)
Sempre all’alba ed alla sera, cavatina di Giovanna (atto I)
Son guerriera che a gloria t’invita, trio di Giovanna, Carlo e Giacomo (atto I)
O fatidica foresta, romanza di Giovanna (atto II)
Vieni al tempio e ti consola, duetto di Giovanna e Carlo (atto II)
Amai, ma un solo istante, duetto di Giovanna e Giacomo (atto III)

Incisioni note:

Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi, Rolando Panerai Alfredo Simonetto Pantheon
Renata Tebaldi, Gino Penno, Ugo Savarese Gabriele Santini Legato Classics
Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Sherrill Milnes James Levine EMI
Katia Ricciarelli, Flaviano Labò, Mario Zanasi Carlo Franci Foyer
Anna Netrebko, Francesco Meli, Plácido Domingo Paolo Carignani Deutsche Grammophon
Jessica Pratt, Jean-François Borras, Julian Kim Riccardo Frizza Dynamic

Videografia: 

Susan Dunn, Vincenzo La Scola, Renato Bruson Riccardo Chailly Kultur
Svetla Vassileva, Evan Bowers, Renato Bruson Bruno Bartoletti Unitel Classica
Jessica Pratt, Jean-François Borras, Julian Kim Riccardo Frizza Dynamic
Vittoria Yeo, Luciano Ganci, Vittorio Vitelli Ramon Tebar Major

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

E’ un argomento appassionante che ha ispirato artisti di vari settori: scrittori, pittori, scultori, musicisti, teatro, registi cinematografici, …

Riconosciuta BEATA dalla Chiesa Cattolica, il 18 aprile 1909, dopo cinquecento anni dalla morte, GIOVANNA D’ARCO è LA PATRONA DI FRANCIA.

Grande personaggio medioevale, Giovanna aveva una personalità angelica, pregava e si confessava più volte, tanto era devota.

Inoltre, aveva LE VISIONI di Santa Caterina, Santa Margherita, San Michele Arcangelo.

Persona dalla psiche complessa, era molto caritatevole e, all’età di tredici anni cominciava a sentire “LE VOCI” CELESTIALI: con il grado di Medicina otorinolaringoiatrica raggiunto oggi, queste “VOCI” potrebbero ricondurre agli “ACUFENI”, ossia i rumori avvertiti in modo intermittente o continuo nell’orecchio di un paziente, quando non esiste uno stimolo acustico: ronzio, tintinnio, fischio, sibilo. Possono essere derivati dal flusso vascolare che si verifica in prossimità dell’orecchio medio, e possono comparire a causa di un’irregolarità che colpisce la coclea, il nervo acustico, conseguenze di malattie cardiovascolari (aterosclerosi), infezioni (otite media, labirintite, meningite neurosifilide), invecchiamento e uso di farmaci ototossici, ostruzione del condotto uditivo a mezzo di tappo di cerume, mentre il ronzio può essere di origine tumorale o lesioni del sistema nervoso centrale che coinvolgono le vie uditive.

Ecco: tenuto a chiarire queste cause importanti, inoltre, è da sottolineare che, nel 1400-1500, NON SI SAPEVA che la SEGALE fosse preda di un fungo parassita: la SEGALE CORNUTA  che, nel Medioevo, aggrediva le graminacee, provocava reazioni del tipo di intossicazioni alimentari che portavano all’amputazione degli arti, alla morte e, chiaramente, a quanto pare, anche ai RUMORI ACUSTICI di cui ho parlato sopra, oltre a qualche squilibrio psichico, qualche condizione psicotica.

Inoltre, Giovanna, da bambina (da particolari conosciuti sulla sua vita) risulterebbe essere stata TRAUMATIZZATA, assistendo – dal suo nascondiglio – allo STUPRO effettuato sulla sorella da parte degli Inglesi.

Era stata colpita da questo GRAVE turbamento emotivo che, agli occhi dei genitori (che, a quanto pare, NON sapevano della violenza), risultava la semplice conseguenza della formazione dovuta all’età della “tempesta ormonale”.

TUTTO INFLUISCE NELLO SVILUPPO DI UNA PERSONALITA’.

E, comunque, GIOVANNA MERITA SEMPRE IL RISPETTO SOTTO TUTTI GLI ASPETTI CHE SI DEVE AD UNA DONNA.

E’ opportuno citare una rappresentazione importante di “GIOVANNA D’ARCO”:

. Inaugurazione della Stagione Lirica del Teatro “ALLA SCALA” di Milano del 7 dicembre 2015: “GIOVANNA D’ARCO”  viene rappresentata in questo Teatro 150 anni dopo la sua “ultima” a “La Scala”.

. Le scene iniziale e finale sono ambientate alla fine del 1800 e rappresentano un nosocomio con la stanzetta di Giovanna dove presenziano la stufa, il letto, l’armadietto su cui è appoggiata la statuina che rappresenta una Madonnina da giardino (con cui Giovanna sa tenere un dialogo), una sedia-poltrona. La cattedrale di Reims, alta otto metri e mezzo, domina il terzo atto, esprimendo la fede religiosa.

. Allievo del Dottor Charcot de “La Salpetrière” di Parigi, (un uomo molto sensibile, umanamente), Sigmund Freud – in questo periodo (la sua opera, “Die Traumdeutung”, è del 1899) – ha già raggiunto una certa capacità di analisi psichica, sulle persone, per cui l’opera – rappresentata sotto l’aspetto psicologico – EVIDENZIA L’ ATTUALITA’ DEI PROBLEMI: in questo caso, una giovane, il cui padre non riesce a capirla.

(Problemi esistenti DA SEMPRE, nella nostra società umana, ma che sono stati portati ad una conoscenza mondiale, in generale, nel ventesimo secolo, dove i cosiddetti “DEMONI-SPIRITI MALIGNI” della sessualità femminile non vengono più ritenuti un disonore: FINALMENTE! ).

. Per cui, la Giovanna di questa rappresentazione, forse ben inquadrata psicologicamente, è psicotica a causa dei suoi conflitti interiori: NON è la guerriera combattente sul campo di una battaglia terrena materiale, ma una “GUERRIERA” combattente INTERIORMENTE che possiede la passione per il suo Credo religioso, che ambisce alla “guerra santa e alla purezza”, all’amore casto verso Carlo VII.

Giovanna cede al sentimento per il suo Re, per cui Giacomo, il padre – che, nel II atto le chiede in modo autoritario e per ben tre volte “Non sacrilega sei tu?” (frase-imprecazione, in quanto si tratta di un problema personale di Giovanna: la verginità fisica) – evidenzia la minore importanza dei “demoni mentali” dai normali “demoni dell’Amore sentimentale e sessuale”: importanza che traumatizza Giovanna fino a sentirsi in colpa e a provare rimorso e pentimento; fino a morire a causa di dolore e disagio psichico.

. Freud ha reso importante “IL SOGNO”.

Infatti, qui, in questa edizione scaligera, oniricamente, le “visioni” si mescolano con la realtà esteriore della sua camera e con la realtà verso il padre.

Giovanna ha il desiderio di fuggire dalla sua stanza che, simbolicamente, rappresenta il “soffocamento” psicologico da parte del padre e della società umana.

Per fare meglio capire al pubblico, compaiono video di battaglie; sogna di amare Carlo, per cui appaiono amplessi erotici e, quando inizia a intravedere la sua morte compaiono nuvole azzurre del cielo.

. Francesco Meli è realista, nonostante il pesante costume d’oro che lo avvolge tutto, mentre – in sostituzione di Carlos Alvarez, indisposto – viene apprezzato il Giacomo di Devid Cecconi, baritono fiorentino.

Ho ritenuto opportuno citare questo SPETTACOLO che, al Teatro “Alla Scala”, E’ “CENTRATO” E DESTA ENTUSIASMO.

Fra le grandi Giovanne del 900: Tebaldi, Ricciarelli, Caballé, Netrebko , mentre le pagine corali sono entusiasmanti.

Il ruolo di Giovanna è stato interpretato da altre cantanti di fama internazionale come June Anderson e Mariella Devia.

Una ripresa dell’opera in tempi moderni è avvenuta, conseguendo grande successo, al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, nel luglio 2013 in cui, a vestire i panni dell’eroica Giovanna, è stata Jessica Pratt.


Battuto al computer da Lauretta

RICCARDO MUTI dirige la SINFONIA:

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Il soprano Maria Agresta canta “QUI! QUI!… DOVE PIU’ S’APRE … O FATIDICA FORESTA:   

 

 

LA GIOCONDA DI AMILCARE PONCHIELLI

Opera in 4 atti su libretto di Tobia Gorrio (pseudonimo e anagramma di Arrigo Boito) tratto da “Ange, tyran de Padoue” di Victor Hugo,

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano,  8 aprile 1876

Direzione orchestrale: Franco Faccio

 

Versioni successive:

18 ottobre 1876, Teatro Rossini, Venezia
24 gennaio 1877, Teatro Apollo, Roma
27 novembre 1879, Politeama Genovese, Genova

 

Personaggi:

La Gioconda, cantatrice (soprano)
Laura Adorno, genovese (mezzosoprano), moglie  di
Alvise Badoero, uno dei capi dell’Inquisizione di stato (basso)
La Cieca, madre della Gioconda (contralto)
Enzo Grimaldo, principe genovese (tenore)
Barnaba, cantastorie (baritono)
Zuàne, regatante (basso)
Un cantore (basso)
Isèpo, scrivano pubblico (tenore)Un pilota (alto)

Barnabotti – Arsenalotti – Senatori – Pregadi – Gentiluomini – Gentildonne – Maschere (arlecchini, pantaloni, bautte) – Popolo – Marinai – Mozzi – Monaci de’ Frari – Cavalieri della compagnia della calza – Cantori (coro)

Mazzieri – Scudieri – Scherani – Trombettieri – Dalmati – Mori – Il cancellier grande – Un regatante – Il consiglio dei dieci – Sei caudatari – Un nostromo – Un mastro delle vele – Un servo moro – Il doge (comparse)

 

Il debutto, le successive versioni e rappresentazioni si svolgono così: :

. Prima rappresentazione: 8 aprile 1876, Teatro alla Scala
(direttore: Franco Faccio)

Ponchielli, durante le prove, si dichiara soddisfatto della compagnia, particolarmente del basso Maini e del tenore spagnolo Julián Gayarré (noto in Italia come Giuliano Gayarre).
Addirittura, per Gayarre, riesce a prevedere il successo nel brano del secondo atto “Cielo e mar!”, brano bissato, insieme al preludio.

Previsione che si avverò, dato che la sera della prima fu questo uno dei due pezzi bissati, insieme al preludio.

 

. Seconda versione: 18 ottobre 1876, Teatro Rossini
(direttore Franco Faccio)

 

. Terza versione: 24 gennaio 1877, Teatro Apollo (direttore Luigi Mancinelli)

. Quarta versione: 27 novembre 1879, Politeama Genovese
(direttore Gialdino Gialdini)

 

Le quattro versioni:

La Gioconda, soprano,: Maddalena Mariani Masi

Laura Adorno, mezzosoprano: Marietta Biancolini Rodriguez, Eulalia Kadmina, Filippina von Edelsberg,  Flora Mariani De Angelis

Alvise Badoèro, basso: Ormondo Maini, Ormondo Maini, Ladislao Miller, Édouard de Reszke

La Cieca, contralto: Eufemia Barlani-Dini, Amelia Sbolgi, Amelia Sbolgi, Giuditta Celega

Enzo Grimaldo, tenore: Julian Gayarré, Enrico Barbacini, Enrico  Barbacini, Francesco Marconi

Barnaba, baritono: Gottardo Aldighieri, Giuseppe Kaschmann, Augusto Parboni, Gustavo Moriani

Zuàne, basso: Giovanni Battista Cornago, Abulcher Leoni, Achille Cardos, Giacomo Origo

Un cantore, basso: Giovanni Battista Cornago, Abulcher Leoni, Achille Cardos, Giacomo Origo

Isèpo, tenore: Amedeo Grazzi, Salvatore De Angelis, Emanuele Dall’Aglio

Un pilota, basso: Giovanni Battista Cornago,Giovanni Battista Panari

 

Riportando le notizie circa l’ultima versione:

< “La Scala”, il 12 febbraio 1880, quattro anni dopo il debutto: si raccoglie un autentico trionfo con la quinta e definitiva versione con la Mariani Masi, Elvira Demi come cieca, Elisabeth Leawington come Laura, Francesco Tamagno come Enzo, Francesco Marconi come Isèpo, Gustavo Moriani come Barnaba e Giovanni Ordinas come Alvise e Zuàne/cantore/pilota/barnabotto.

 

Poco per volta Ponchielli era riuscito a trovare la giusta misura e adattare il raffinato ma cerebrale libretto di Boito, alla propria vena musicale più autentica, calda e fluente, rimpiazzando, tagliando e aggiungendo interi episodi >.

 

Trama:  

Epoca: Venezia, XVII secolo.

 

Atto I – La bocca del leone.

Palazzo Ducale di Venezia: nel suo cortile, presenzia la Scala dei Giganti, mentre dal portico della Carta, si arriva alla Basilica di San Marco attraverso un ingresso di grande dimensione.

Sono presenti anche lo scrittoio di uno scrivano e una bocca di leone di marmo con la scritta: “Denontie secrete per via d’inquisizione contra cada una persona con l’impunita secreteza et benefitii giusto alle leggi “.

 

Il popolo, in festa, si dirige alla regata (“Feste! Pane!”).

Barnaba – finto cantastorie – è una spia del Consiglio dei Dieci e, di nascosto, vede Gioconda e la madre (la Cieca) che vanno in chiesa (“Figlia, che reggi il tremulo piè”).

< Gloria a chi vince il palio verde >, dice il popolo, al termine della regata ma, purtroppo, Zuàne, il partecipante, perde.

In modo subdolo, il dubbio gli è penetrato da Barnaba per mezzo della sua accusa alla Cieca (“La vidi staman gittar sul tuo legno un segno maliardo, un magico segno … la tua barca sarà la tua bara!”).

Come è già successo infinite volte,  tale calunnia viscida si diffonde tra la gente: in questo caso, se la prende con la povera donna.

Gioconda ed Enzo non riescono a sottrarla alla furia della folla (“Assassini, quel crin venerando rispettate! “), quando appaiono Laura Adorno (amata da Enzo) e suo marito Alvise Badoero, nobile inquisitore della Repubblica Serenissima di Venezia.

Laura prega il marito, di salvare la Cieca che – grata – dona a  Laura un rosario (“A te questo rosario, che le preghier aduna… ti porterà fortuna”).

Allontanata la folla, Barnaba chiama Enzo col suo nome, lo tranquillizza  che non lo nominerà e che Laura fuggirà con lui, nella notte.

Da spia potente, Barnaba rende nota ad Enzo, agghiacciato, la sua reale personalità attraverso il brano “Sono il possente demone del Consiglio dei Dieci”, esternandogli anche che ha fatto tutto ciò affinché Gioconda lo ami.

Poi, rimasto solo, Barnaba detta ad Isépo, il suo scrivano,  l’accusa verso Laura ed Enzo e la inserisce nella bocca del leone (“O monumento! “) non sapendo di essere osservato e udito da Gioconda e da sua madre.

La gente in festa entra nel cortile intonando < Carneval! Baccanal! > e una furlana, ma tutto  è  interrotto dai fedeli della basilica, dopodiché la gente stessa è sollecitata da un barnabotto ad inginocchiarsi e a pregare durante i vespri («Tramonta il sol… udite il canto del vespro santo, prostrati al suol»).

Gioconda, è disperata (“Tradita! Ohimè, io soccombo! ” e “O cor, dono funesto “, per cui la madre la consola come meglio può; però la ragazza è decisa, idem, a salire sulla nave di Enzo, nella notte.

 

Atto II – Il rosario.

Nella notte, presso la bocca della laguna di Venezia detta ” la bocca della Fusina “, Hècate , il  brigantino, è in attesa e i suoi marinai lavorano e cantano una marinaresca.

Il finto pescatore Barnaba spia la nave di Enzo mentre avverte il brigantino tramite il fido Isépo e intona la barcarola con la quale fa amicizia con i pescatori  (“Pescator, affonda l’esca!”).

Enzo veglierà durante la notte, per cui manda sotto coperta i marinai, mentre aspetta ansioso che Laura arrivi (“Cielo e mar”).

Lo stesso Barnaba gli porta Laura presso il  brigantino, attraverso una barca, mentre pronuncia un augurio sinistro che allarma la donna, ma che tranquillizza Enzo (“Eppure quello  è l’uomo che ci aperse il paradiso!”) e restano assieme fino al tramonto della luna, dopodiché Enzo la fa accompagnare a casa.

Laura è sola, preoccupata e scoraggiata per cui si rivolge alla Madonna  (“Stella del marinar”).

Gioconda si presenta (“E’ un anatema!”), aggredendo verbalmente la rivale e avvertendola di fuggire.

Laura reagisce forte (“L’amo come il fulgor del creato!”), per cui Gioconda l’avverte che suo marito sta arrivando sopra una barca (“Là è il tuo consorte!”).

Per reazione di Laura allo spavento e come richiesta d’aiuto alla Madonna a mezzo del  rosario, la conseguenza è alzarlo: qui, Gioconda la riconosce come salvatrice di sua madre, e la aiuta a fuggire.

Laura le chiede il nome (“Ma mi dirai chi sei?”) e Gioconda risponde: “Son la Gioconda”,  risponde l’altra.

Barnaba si rende conto della fuga di Laura (“Maledizion! Ha preso il vol!”), consigliando ad Alvise di seguire la barca sulla quale la donna fugge.

Ad Enzo, ritornato, Gioconda dice che Laura ha avuto paura (“Vedi là, nel canal morto? Un navil che forza il corso? Essa fugge… il suo rimorso fu più forte dell’amor!”), suscitando la riprovazione e l’ira di Enzo che vuole inseguire Laura ma che è fermato da Gioconda che lo avverte del pericolo delle galee veneziane, per cui incendia la sua nave.

 

Atto III – La Ca’ d’Oro.

Scena I: Una camera nella Ca’ d’Oro.

“Si, morir ella de’!”: così canta Alvise Badoero che si vuole vendicare terribilmente della moglie Laura che, lui decide, si darà la morte lei stessa a mezzo di un veleno, durante le danze della festa che si tiene a palazzo.

Chiama Laura, non mostra la sua collera, ma abbozza scherzoso al suo tradimento (“Bella così madonna, io non v’ho mai veduta”), per cui Laura gli chiede il motivo di tale comportamento (“Dal vostro accento insolito cruda ironia traspira”).

Alvise, sentendosi provocato, le urla che deve morire subito avendone come risposta “Morir, morir è troppo orribile” ma, insensibile, Alvise le indica la sua bara.

Fuori, i gondolieri intonano “La gaia canzone fa l’eco languir e l’ilare suono si muta in sospir” la cui ultima nota segnerà il termine dell’ingestione del veleno.

Gioconda è l’angelo che, nascostamente, la salva a mezzo della sostituzione attraverso un narcotico.

Bevuto il liquido soporifero, Laura  si distende sul catafalco della camera mortuaria.

Alvise, arrivato a controllare, nota la boccetta vuota e si persuade che Laura è morta, mentre Gioconda è scossa e riflette sul fatto che ha salvato la sua rivale per lo stesso uomo amato da entrambe: “Io la salvo per lui, per lui che l’ama”.

Scena II: sontuosa sala attigua alla camera mortuaria, sala dov’è in atto una festa durante la quale gli invitati inneggiano alla Ca’ d’Oro e dove è predisposto lo spettacolo della “Danza delle Ore”.

Barnaba arriva e accusa nuovamente di stregoneria la Cieca.

Fuori, risuona il suono della campana dei moribondi, per cui Barnaba porta a conoscenza Enzo che Laura è morta (“Un’agonia? Per chi?… Per Laura!”) e che, turbato fortemente, di conseguenza, rivela la sua identità a tutti.

Quindi, Alvise lo fa arrestare anticipandogli angoscia e tormento.

A questo punto, Alvise mostra il corpo di Laura.

Enzo è addolorato e Gioconda sussurra a Barnaba “Se lo salvi e adduci al lido, laggiù presso al Redentor, Il mio corpo t’abbandono, o terribile cantor.”

 

Atto IV – Il canal Orfano

Dall’atrio di un vecchio palazzo cadente, nell’isola della Giudecca, si vedono laguna e piazza San Marco con l’illuminazione a festa, oltre ad un’immagine della Madonna e una croce appesa al muro.

Un tavolo, un canapè con vari ornamenti per Gioconda con una lucerna, una lanterna, un veleno, un pugnale.

Una buia calle.

Gli amici cantori portano il corpo di Laura a Gioconda, che li prega di cercare la Cieca,  scomparsa e che, rimasta sola, valuta la soluzione del suicidio (“Suicidio! In questi fieri momenti”).

Gioconda, per un attimo, pensa a Laura: “Se spenta fosse!!! Siam sole… è notte… profonda è la laguna…”, ma è bloccata da voci che giungono dal vicino canale e che dicono “Eh! dalla gondola, che nuove porti? – Nel Canal Orfano ci son dei morti!”.

 

Enzo è liberato da Barnaba grazie a Gioconda, ma è disperato e vuole uccidersi per raggiungere Laura, ma Gioconda lo tranquillizza dicendogli che l’ha sottratta alla camera funeraria della Ca’ d’Oro.

Enzo s’arrabia e sta per uccidere Gioconda (“Oh, gioia, m’uccide!”) alloché Laura si risveglia  e  lo chiama per nome.

Laura rivela a Enzo che Gioconda le ha salvato la vita, per cui Enzo la benedice.

 

Gioconda rinnova la benedizione su Laura da parte della madre, fa fuggire Enzo e Laura in direzione di Aquileia a mezzo di una barca, avendone la loro benedizione.

 

Disperata, Gioconda vuole uccidersi con la spada, ma ripensa alla madre e all’accordo con Barnaba che le si para davanti quando sta per darsela a gambe.

La cantatrice ha promesso il suo corpo a Barnaba in cambio della liberazione di Enzo: deve pagare il prezzo.

Lo lusinga un po’ (“Vò farmi più gaia… più fulgida ancora…”) e cade a corpo morto sulla spada (“Volesti il mio corpo, demon maledetto? E il corpo ti do!”).

Il beffato Barnaba  si vendica dicendole che ha ucciso sua madre (“Ier  tua madre m’ha offeso… io l’ho affogata!”), però Gioconda è  deceduta (“Non ode più!”), per cui Barnaba grida rabbioso e scappa attraverso le calli.

 

Brani noti:

Atto I: La bocca del leone

Preludio
Coro d’introduzione Feste! Pane!
Scena e Terzettino
Scena E cantan su lor tombe!
Terzettino Gioconda, la Cieca e Barnaba Figlia che reggi il tremulo pie’
Recitativo – Coro della Regata e Sommossa – Romanza
Recitativo L’ora non giunse ancor
Coro della Regata e Sommossa Gloria a chi vince!
Romanza della Cieca Voce di donna o d’angelo
Scena e Duetto
Scena Enzo Grimaldo
Duetto Enzo e Barnaba Pensi a Madonna Laura
O grido di quest’anima
Scena, Recitativo e Monologo
Scena e recitativo Maledici? Sta ben…
Monologo Barnaba O monumento!
Finale I – Coro, Forlana e Preghiera
Coro Carneval! Baccanal!
Furlana (I, 9)
Preghiera Angele Dei
Arioso O cor, dono funesto

 

Atto II: Il Rosario

Marinaresca, Recitativo e Barcarola
Marinaresca Ho! He! Fissa il timone!
Recitativo Chi va là?
Barcarola Barnaba Pescator, affonda l’esca
Recitativo, ripresa della Barcarola e Romanza
Recitativo e ripresa della Barcarola Sia gloria ai canti dei naviganti
Romanza Enzo Cielo! e mar!
Scena e Duetto
Scena Ma chi vien
Duetto Laura Enzo
Tempo d’attacco Deh! non turbare con ree paure
Tempo di mezzo Ma dimmi come, angelo mio, mi ravvisasti?
Cantabile Laggiù nelle nebbie remote
Scena e Romanza di Laura
Scena E il tuo nocchiero
Romanza di Laura Stella del marinar!
Duetto
E’ un anatema!
Duetto Gioconda-Laura L’amo come il fulgor del creato
Scena e Duetto-Finale II
Scena Il mio braccio t’afferra!
Duetto-Finale II Gioconda Enzo Laura! Laura, ove sei?
Tu sei tradito!

 

Atto III: La Ca’ d’oro

Scena ed Aria
Scena Sì, morir ella de’
Aria Alvise Là turbini e farnetichi
Scena e Duetto
Scena Qui chiamata m’avete?
Duetto Laura Alvise Morir! è troppo orribile
Scena e Serenata
Scena E già che ai nuovi imeni
Serenata La gaia canzone
O madre mia
Scena, Ingresso dei Cavalieri e Coro
Scena e Ingresso dei Cavalieri Benvenuti, messeri
Coro S’inneggi alla Ca’ d’oro
Recitativo e Danza delle Ore
Recitativo Grazie vi rendo
Danza delle Ore
Sortono le ore dell’Aurora (Moderato)
Le Ore dell’Aurora (Andante poco mosso)
Sortono le Ore del giorno
Danza delle Ore del giorno (Moderato)
Sortono le Ore della sera
Sortono le Ore della notte (Moderato, Andante poco mosso, Allegro vivacissimo
Scena e finale III – Pezzo concertato
Scena Vieni! – Lasciami!
Pezzo concertato D’un vampiro fatale

Atto IV: Il Canal Orfano

Preludio, Scena ed Aria
Preludio
Scena Nessun v’ha visto?
Aria Gioconda Suicidio!
Duettino, Scena e Terzetto
Ecco il velen di Laura
Duettino Gioconda-Enzo Gioconda! – Enzo! sei tu!
Scena Enzo! – Mio Dio!
Terzetto A te questo rosario
Scena e Duetto finale
Scena Ora posso morir
Duetto finale Gioconda Barnaba Ebbrezza! delirio!

 

Incisioni note:

Giannina Arangi-Lombardi, Alessandro Granda, Ebe Stignani, Gaetano Viviani, Corrado Zambelli, Camilla Rota Lorenzo Molajoli Columbia

Maria Callas, Gianni Poggi, Fedora Barbieri, Paolo Silveri, Giulio Neri, Maria Amadini    Antonino Votto       Cetra

Anita Cerquetti, Mario del Monaco, Giulietta Simionato, Ettore Bastianini, Cesare Siepi, Franca Sacchi       Gianandrea Gavazzeni   Decca

Zinka Milanov, Giuseppe Di Stefano, Rosalind Elias, Leonard Warren, Plinio Clabassi, Belén Amparán Fernando Previtali RCA

Maria Callas, Pier Miranda Ferraro, Fiorenza Cossotto, Piero Cappuccilli, Ivo Vinco, Irene Companeez Antonino Votto EMI

Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi, Marilyn Horne, Robert Merrill, Nikola Gjuzelev, Oralia Domínguez Lamberto Gardelli Decca

Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Agnes Baltsa, Sherrill Milnes, Nicolaj Ghiaurov, Alfreda Hodgson Bruno Bartoletti Decca

Éva Marton, Giorgio Casellato Lamberti, Livia Budai, Sherrill Milnes, Samuel Ramey, Anne Gjevang Giuseppe Patané Sony

Violeta Urmana, Plácido Domingo, Luciana D’Intino, Lado Ataneli, Roberto Scandiuzzi, Elisabetta Fiorillo Marcello Viotti EMI

 

Videografia:

Eva Marton, Plácido Domingo, Ludmila Šemciuk, Matteo Manuguerra, Kurt Rydl, Margarita Lilowa Adam Fischer Arthaus

Deborah Voigt, Richard Margison, Elisabetta Fiorillo, Carlo Guelfi, Carlo Colombara, Ewa Podleś Daniele Callegari TDK

Andrea Gruber, Marco Berti, Ildikó Komlósi, Alberto Mastromarino, Carlo Colombara, Elisabetta Fiorillo Donato Renzetti Dynamic

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Grand Opéra.

A Ponchielli, che avrà la cattedra di composizione presso il Conservatorio di Milano (tra i suoi allievi futuri della “Giovine Scuola Italiana”: Giacomo Puccini, e Pietro Mascagni), viene proposto il libretto tratto da “Ange, tyran de Padoue” di Victor Hugo, per il quale Boito lo adatta inserendo il personaggio di Barnaba e fornendo un differente aspetto degli altri.

Ponchielli ammira moltissimo Boito, ma nutre moltissimi dubbi sulla risposta eventualmente sfavorevole da parte del pubblico, dal momento che lo stesso Ponchielli – scrivendo all’amico musicista Achille Formis, il 3 giugno 1875 –  si definisce incontentabile e di non avere più idee, per cui chiede varie volte a Boito di modificare il libretto, mentre ritiene difficile consegnare il lavoro per il periodo di Carnevale, oltre a qualche pezzo da aggiungere come la “Danza delle Ore” che verrà composta a Milano.

Durante le prove, Ponchielli è soddisfatto degli artisti, particolarmente del basso Maini e del tenore spagnolo Julián Gayarré (noto in Italia come Giuliano Gayarre) il cui brano “Cielo e mar!” è bissato.

L’esito è un successo enorme e le chiamate degli artisti al proscenio sono 27.

La partitura – essendo stata consegnata in ritardo – permette la rappresentazione solo per quattro serate per via della chiusura della stagione lirica de “La Scala” e, da maggio, Ponchielli modifica alcune parti.

Attraverso anche questa seconda versione, al Teatro “Rossini” di Venezia, il 18 ottobre 1876,  diretta da Faccio, ottiene un grande successo.

Vengono attuate altre modifiche e, il 12 febbraio 1880, idem a “La Scala”, Ponchielli e la sua opera trionfano per mezzo della quinta e ultima versione.

 

Gioconda: 

Secondo le critiche, “La Gioconda” è considerata il Grand Opéra italianao più rappresentativo, il cui merito è riconosciuto al musicista e al librettista, entrambi  esistenti nel periodo in cui viveva il movimento moderno della “Scapigliatura”, mentre il linguaggio dei personaggi dell’opera è tipico di Boito.

Gioconda è una bella persona dotata di sincerità, di candore, di grande abnegazione che sacrifica il suo amore per Enzo, favorendo l’uomo e la sua rivale: “rivale” che ha salvato sua madre dalla ferocia popolare fatta serpeggiare dalla perfidia di Barnaba.

Svolge il lavoro di cantatrice, uno dei lavori dell’epoca e, con Barnaba e Alvise, è una figura di spicco dal momento che annulla i loro piani avvertendo Enzo e Laura dell’agguato architettato da Barnaba, sostituisce il veleno col narcotico, e si uccide per non cedere allo stesso Barnaba, l’uomo che si illude di averla.

Però, come Enzo e Laura finisce nella “ragna che tesse la sua tela”.

Gioconda, eroina boitiana, è preda della solitudine emotiva provocata dalla vita, ma è Una Signora perché non si lascia sfuggire parole di autocommiserazione verso la povertà della sua infanzia e verso la povertà attuale che coinvolge lei e la madre, per la quale povertà  “Viviam cantando ed io canto a chi vuol le mie liete canzoni”.

Possiede un carattere forte che non le permette di lasciarsi minacciare da Barnaba e di non cedere alla sua rivale (“Ed io l’amo siccome il leone ama il sangue, ed il turbine il vol”).

 

Barnaba: 

Con Gioconda ed  Enzo, appartiene ai tre personaggi-base dell’opera.

Personaggio machiavellico, interessante e fortemente intrigante, è “IL CATTIVO” ASSOLUTO dell’opera: opera che, per la precisione, si dovrebbe intitolare “Barnaba”, visto e considerato il suo ruolo importantissimo.

La cattiveria è sempre esistita: danneggia la psiche o il corpo fisico della persona-bersaglio di attacchi e, in alcuni periodi, è dilagata arrivando ad un alto grado di aggressività attraverso la sua forma di comportamento malvagio, perfido, affinché porti danno o dolore ai nostri simili, attraverso un’azione subdola e ostile.

Oggi, la Psicologia spiegherebbe il sentimento di Barnaba anche come la Sindrome di Procuste, ossia “la calunnia”:  viene diffusa in modo che il suo creatore riesca a dimostrare  il suo modo di vedere l’altra persona, la quale ne riceverà danno”.

In questo caso, parlando di Barnaba: Gioconda, Enzo, Laura provano un qualcosa di importantissimo, che permette loro di stabilire le relazioni e di decidere in merito, ma finiscono con l’essere legati a lui.

Arrigo Boito, il librettista dell’opera, ha già scritto il libretto di “Mefistofele”, l’opera da lui stesso musicata dove il demonio indossa abiti da cavaliere ma, ne “La Gioconda” (il libretto è firmato Tobia Gorrio, anagramma di Arrigo Boito), il Mefisto entra in Barnaba, uomo-demone non soprannaturale, ma con personalità cinica e manipolatrice maligna perversa.

Un applauso ad Arrigo Boito, letterato finissimo che ha saputo creare il personaggio di Barnaba in modo stupendo.

Ponchielli giudica Barnaba una figura “odiosa, antipatica, ma originale”: infatti, Boito anticipa Jago-calunniatore, il personaggio che sa tramare e che  – nella romanza “O monumento” –  ricorda molto il “Credo” di Jago.

“O monumento”: è il monologo rabbioso, furente e diabolico, monologo dove rende nota  l’illogica e incoerente organizzazione del governo di Venezia rivolgendosi al leone marmoreo, ossia il monumento-simbolo di Venezia.

< O monumento!
< Regia e bolgia dogale! Atro portento!
< Gloria di questa e delle età future; ergi fra due torture il porfido cruento.
< Tua base i pozzi, tuo fastigio i piombi, sulla tua fronte il volo dei palombi, i marmi e l’ôr.
< Gioia tu alterni e orror con vece occulta, quivi un popolo esulta, quivi un popolo muor.
< Là il doge, un muto scheletro coll’acìdaro in testa; sovr’esso il Gran Consiglio, la signoria funesta; sovra la signoria, più possente di tutti, un re: la spia.
< O monumento! Apri le tue latèbre, spalanca la tua fauce di tenèbre, s’anco il sangue giungesse a soffocarla!
< Io son l’orecchio e tu la bocca: parla.

Da notare:

“Sovra la signoria, più possente di tutti, un re: la spia”.

Il re-spia: ossia, lo stesso Barnaba; ossia, il “Destino” che decide e organizza per tutti.

Ma, proprio chi lui tenta di beffare, si rende presto conto della sua natura ingannatrice, al contrario di Jago in “Otello” di Verdi che appare individuo onesto e incapace di fare del male.

Barnaba  è intelligente, è un’anima catastrofica ed è una spia spietata e crudele del governo di Venezia per cui sa e controlla tutto attraverso il suo sguardo attento e “sempre, in allarme”, indossando abiti trasandati e portandosi la chitarra quale strumento di cantastorie.

Si mostra seducente e affascinante, oltre a possedere la “funesta faccia da mistero”: un garbato narcisista maligno e perverso che tiene in mano le redini della situazione che riguarda Gioconda, Enzo, Laura, tre esseri costretti a soccombere al suo ricatto che, pur essendo coscienti di avere a che fare con “il Male” e “la Morte”, cadono nella “ragna” che lui intesse.

Enzo non si fida di Barnaba, ma “deve” fidarsi per incontrare Laura, arrivando persino a maledirlo come una specie di “autodifesa protettiva”, mentre Laura nota “un infernal sorriso” unito alla voce sinistra.

Gioconda si rivolge alla “Vergine santa” per esorcizzare il Barnaba-incarnazione del  Demonio e “l’orribile sua faccia”: infatti, a differenza di Jago che sa mascherare bene il suo essere, l’aspetto di Barnaba è indice del suo aspetto guasto, spiritualmente.

Barnaba è abituato ad osservare con attenzione e, per proprio vantaggio, è capace di convincere psicologicamente l’essere umano a realizzare il proprio desiderio.

Barnaba è in grado di descriversi: “E mentre s’erge il ceppo o la cuccagna, fra due colonne tesse la sua ragna Barnaba, il cantastorie; e le sue file sono le corde di questo apparecchio”. – “Con lavorìo sottile e di mano e d’orecchio colgo i tafàni al volo per conto dello stato”.  – “E mai non falla l’udito mio”.
Infatti, Barnaba, sadico ed esaltato mentalmente, “manovra” le situazioni per arrivare ad avere la bellissima Gioconda (“Coglier potessi solo per le mie brame e tosto una certa vaghissima farfalla!” – “Sovr’essa stendere la man grifagna”); cosa che succederà se Gioconda non si ucciderà, “raggirandolo” attraverso il proprio suicidio.

Barnaba, con sadismo, rivela all’orecchio di Gioconda che, il giorno prima, ha affogato sua madre e, accortosi che “non ode più”) è percosso da “un grido soffocato di rabbia”.

Barnaba è solamente  infatuato di Gioconda (la cui personalità emotiva vuole abbattere) e NON sa amare perché è schiavo della cattiveria che lo spinge a fare male solo per il gusto di farlo (male che gli si ritorce contro).

Si rende conto ma non ne capisce il motivo: “Un genio arcano/ verso il mal mi trascina”.

Psicologicamente,  è stato riconosciuto che un individuo può comportarsi come se un altro fosse dentro di lui e agisse al suo posto: Barnaba è un “grande pericolo” e potrebbe anche soffrire di “Disturbo dissociativo dell’identità” e, ai giorni nostri, sarebbe aiutato da un medico psicoterapeuta.

 

Enzo Grimaldo: 

E’ un principe genovese, uomo sincero che fa onore al suo sangue nobile: è incapace di azioni basse ed è legatissimo alla sua coscienza ineccepibile.

Infatti, non possiede cattiveria che porti alla vendetta, al sadismo, a gravi difetti come per Barnaba: Enzo è un puro e un esempio importante è dato dal suo intervento eroico in favore della Cieca, nel primo atto, salvataggio che si risolverà positivamente grazie alla sua amata Laura.

Purtroppo, desiderando risolvere le difficoltà, non capisce e sottovaluta il sacrificio compiuto da Gioconda, specialmente alla fine, prima che Laura si risvegli, momento in cui Gioconda si rifiuta di svelargli il nascondiglio dove giace Laura addormentata, per cui Enzo la minaccia col pugnale, oltre a salutarla sbrigativamente per andarsene con Laura.

Diffida di Barnaba e accusa Alvise Badoero per avere compiuto l’uxoricidio sulla persona della moglie (che, nessuno di loro lo sa, viene salvata da Gioconda per mezzo del narcotico).

 

Laura: 

Donna dolce, fragile, ha paura che, Enzo, il suo unico bene, le venga strappato, in particolare, quando incontra Gioconda, al buio.

Ma, poi, Gioconda la riconosce per mezzo del rosario che sua madre ha donato a Laura con gratitudine e benedicendola.

Barnaba fa da delatore al marito che, come castigo, le infligge sofferenze atroci, arrivando a comandarle di avvelenarsi: TERRIBILE!

Ma, grazie all’altruismo di Gioconda, verrà ricongiunta ad Enzo.

 

Alvise Badoero: 

Alvise Badoero, personaggio-tiranno, uno dei capi dell’inquisizione, vendicativo, è cosciente di potere comandare e decidere anche sulla vita della moglie Laura della quale si vuole vendicare a seguito del di lei “inganno coniugale” per cui è “indispensabile” lavare il “disonore” dell’adulterio e per cui “si darà la morte lei stessa”.

Non è uomo delicato ed è subdolo mostrandosi scherzoso del tradimento di Laura (“Bella così madonna, io non v’ho mai veduta”) che lascia Laura stupita dall’insolito complimento del marito.

Allora, Alvise, interpretando la cosa come una sfida, le urla che deve morire e le mostra la sua bara.

Alvise: arrivato alla cattiveria a causa degli usi, costumi e mentalità della sua epoca e della sua famiglia, è pur sempre “un cattivo” a causa dei subentrati egoismo, mancanza di impegno morale, narcisismo, senso di superiorità, sadismo.

Da cattivo e da imperfetto morale, espone sfacciatamente il catafalco su cui Laura si stenderà per morire, mentre viene eseguita la famosa e scintillante “Danza delle ore” e gli ospiti si rendono conto che hanno a che fare con un tarato mentale.

 

La moglie Laura lo lascierà e scapperà con l’uomo che ama e Alvise rimarrà punito dalla sua stessa arroganza e dalla sua stessa prepotenza: comportamenti psichicamente pericolosi in quanto dovuti a fragilità interiore.

 

La Cieca: 

Chiaramente, figura importante, la si vede nel primo atto, nella scena tumultuosa della “ribellion”, nella quale Enzo e Laura si prodigano per aiutarla contro la plebe scatenata dalla calunnia di Barnaba.

E’ sorretta dalla figlia (“Figlia che reggi il tremulo piè”), ma è importante attraverso il legame psicologico con Gioconda, la figlia che sorregge moralmente e, anche se a volte non si vede in scena, si percepisce l’alito della sua presenza.

 

Vincitori e Vinti: 

Enzo e Laura sono i veri vincitori perché vivranno il loro sogno d’amore.

Fra i perdenti, Gioconda e la madre raggiungono la pace eterna dopo avere perduto la vita: loro,  il rabbioso Barnaba e Alvise-“tiranno” sono i veri perdenti.

UN GRAND-OPÉRA. UN CAPOLAVORO.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

GIANANDREA GAVAZZENI dirige il PRELUDIO ALL’ ATTO I:

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Il soprano LUCILLE UDOVICH e il mezzosoprano LUISA BARTOLETTI cantano il duetto “FIGLIA CHE REGGI IL TREMULO PIE’:

 

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Il mezzosoprano FRANCA SACCHI canta la ROMANZA DELLA CIECA,  “VOCE DI DONNA O D’ANGELO”:

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Il baritono ETTORE BASTIANINI canta il Monologo di Barnaba, “O MONUMENTO!”:

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ANTONINO VOTTO dirige il  CORO CETRA DELL’ORCHESTRA SINFONICA DELLA R.A.I. di TORINO, Forlana e Preghiera FINALE ATTO I:

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Il baritono ETTORE BASTIANINI canta la Barcarola, “ PESCATOR, AFFONDA L’ESCA”:

 

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “CIELO E MAR”:

 

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Il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO e il tenore MARIO DEL MONACO cantano il duetto “LAGGIU’, NELLE NEBBIE REMOTE”:

 

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Il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO canta “STELLA DEL MARINAR”:

 

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Il soprano ANITA CERQUETTI e il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO cantano il duetto  “L’AMO COME IL FULGOR DEL CREATO:

 

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Il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO e il basso CESARE SIEPI cantano “QUI CHIAMATA M’AVETE?”:

 

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ANTONIO PAPPANO dirige il BALLETTO “LA DANZA DELLE ORE”:

 

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MARIO DEL MONACO, GIULIETTA SIMIONATO, ANITA CERQUETTI E CORO cantano “AH, IL COR MI SI RAVVIVA”:

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Il soprano ANITA CERQUETTI canta “SUICIDIO!”:

 

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Il soprano ANITA CERQUETTI e il baritono ETTORE BASTIANINI cantano il duetto finale,  “EBBREZZA! DELIRIO!”:

L’ELISIR D’AMORE di GAETANO DONIZETTI

Opera giocosa in due atti su libretto di Felice Romani tratto da “Le Philtre” di Eugène Scribe

Prima rappresentazione: Teatro della Cannobiana, Milano, 12 maggio 1832.

 

Personaggi: 

Adina, ricca e capricciosa fittavola (soprano )
Nemorino, coltivatore, giovane semplice, innamorato di Adina (tenore)
Belcore, sergente di guarnigione nel villaggio (baritono)
Il dottore Dulcamara, medico ambulante (basso buffo)
Giannetta, villanella (soprano)

Cori e comparse: villani e villanelle, soldati e suonatori del reggimento, un notaio, due servitori, un moro

 

Primi interpreti: 

Adina (soprano) Sabina Heinefetter
Dulcamara (basso) Giuseppe Frezzolini
Belcore (baritono) Henry Bernard Dabadie
Nemorino (tenore) Giovan Battista Genero
Giannetta (soprano) Marietta Sacchi

Direzione:  Alessandro Rolla

 

Trama: 

Epoca: L’azione ha luogo in un villaggio dei paesi baschi, alla fine del XVIII secolo.

Atto I

Mentre i mietitori stanno riposando all’ombra, la loro fittavola Adina è in disparte che legge un libro riguardante la storia di Tristano, Isotta e del filtro che aiuta la principessa ad innamorarsi dell’eroe.

Nemorino è un contadino povero che ama Adina, ma non riesce a dichiararle il proprio amore (“Quanto è bella, quanto è cara”).

Su richiesta dei contadini, Adina legge a voce alta che, innamorato della regina Isotta, Tristano si avvale di un filtro magico che lo aiuta a catturare il suo amore (“Della crudele Isotta”).

Nemorino sogna la concretizzazione di questo elisir soprannaturale mentre, nel paesino, arriva il sergente Belcore per arruolare giovani che prestino il servizio militare.

Belcore corteggia e vuole sposare Adina (“Come Paride vezzoso”) la quale desidera riflettere un pochino, mentre il duetto tra Adina e Nemorino vede il loro scambio di opinioni riguardanti l’amore che, per lei, non esiste (“Chiedi all’aura lusinghiera”).

Il Dottor Dulcamara, truffatore, si spaccia per medico famoso ed esibisce ai paesani i suoi preparati prodigiosi  (“Udite, udite, o rustici”).

Nemorino gli cerca l’elisir che produce l’innamoramento, per cui l’imbroglione gli dà una bottiglia di vino “Bordeaux” per uno zecchino che, dopo un giorno, farà effetto (Dulcamara sarà già lontano da quel villaggio: ambiguo, approfitta dell’ingenuo Nemorino).

Nemorino si ubriaca per cui la reazione lo fa diventare sciolto e spigliato mostrandosi  distaccato verso Adina che, da persona sempre al centro dell’attenzione, rimane piuttosto seccata che lui corteggi altre ragazze per cui, per ripicca, accetta la proposta di matrimonio di Belcore, il sergente che partirà il giorno dopo.

Quindi, il giorno stesso si sposeranno.

Per cui, Nemorino, sapendo che l’elisir farà effetto il giorno dopo, intende persuadere Adina di aspettare il giorno seguente, ma la ragazza non lo ascolta e si allontana assieme a Belcore.

 

Atto II

Durante i preparativi delle nozze Adina-Belcore, costei e Dulcamara ad un tratto, cantano la barcarola a due voci (“Io son ricco e tu sei bella”).

Per colpire l’anima di Nemorino a causa della sua “insensibilità”,  Adina dice al notaio di celebrare il matrimonio la sera, in presenza del contadino.

Nemorino vuole acquistare un altro “elisir” però, essendo rimasto senza soldi,  si arruola tra i soldati di Belcore per essere retribuito (“Ai perigli della guerra”) e, praticamente, viene allontanato dallo stesso sergente.

Arriva Giannetta che diffonde la notizia  che uno zio di Nemorino, deceduto da poco, gli ha lasciato un’eredità (“Nemorino ha ottenuto una grande eredità. E’ possibile?”).

Nemorino, Adina e Dulcamara non sanno nulla: le ragazze del paese intraprendono il  corteggiamento verso Nemorino che, a questo punto, crede che il loro comportamento sia dovuto all’elisir.

Adina prova gelosia e lo stesso Dulcamara resta sbalordito e meravigliato e comincia a credere seriamente che  il suo prodotto sia realmente portentoso.

Adina viene a sapere da Dulcamara della vendita a Nemorino dell’elisir, per cui si rende conto che lui l’ama davvero (“Quanto amore! Ed io spietata”).

Vedendo una lacrima negli occhi di Adina, Nemorino ha la certezza che anche lei lo ama (“Una furtiva lagrima”).

Il contratto di arruolamento di Nemorino viene riacquistato e consegnato a Nemorino che, così, resterà nel paese.

Ma il ragazzo è amareggiato e desidera una dichiarazione d’amore esplicita: dichiarazione che, non arrivando, lo spinge a volersene andare.

Quindi, Adina cede e dichiara di amarlo (“Prendi, per me sei libero”).

Belcore, facendo buon viso a cattivo gioco, si rassegna e dice che troverà qualche altra ragazza da corteggiare in altri paesi, mentre Dulcamara parte tutto allegro e beato per la riuscita vittoriosa del suo elisir (“Ei corregge ogni difetto”).

 

Struttura dell’opera:

Atto I

Preludio e Introduzione Bel conforto al mietitore
Quanto è bella, quanto è cara
Come Paride vezzoso (Coro, Giannetta, Nemorino, Adina, Belcore)
Scena e Duetto Una parola, o Adina… Chiedi all’aura lusinghiera (Nemorino, Adina)
Coro e Cavatina Che vuol dire codesta sonata?… Udite, o rustici (Dulcamara)
Recitativo, scena e Duetto Ardir! Ha forse il cielo… Voglio dire, lo stupendo (Nemorino, Dulcamara)
Recitativo e Finale Primo Caro elisir sei mio!… Esulti pur la barbara…Signor sergente… Adina, credimi… Fra lieti concenti (Nemorino, Adina, Belcore, Giannetta, Coro)

 

Atto II

Coro d’Introduzione e Barcarola a due voci Cantiamo, facciam brindisi (Adina,Dulcamara, Belcore, Giannetta)
Scena e Duetto Oh me infelice… Venti scudi? (Nemorino, Belcore)
Coro Saria possibile? (Giannetta)
Quartetto Dell’elisir mirabile (Nemorino, Giannetta, Coro, Adina, Dulcamara)
Duetto Quanto amore! Ed io spietata (Adina, Dulcamara)
Romanza Una furtiva lagrima (Nemorino)
Recitativo e Aria Prendi, per me sei libero (Adina)
Aria e Finale Secondo Alto, fronte… Ei corregge ogni difetto (Belcore, Adina, Dulcamara, Nemorino, Coro, Giannetta)

 

Brani noti:

Atto I:

Quanto è bella, quanto è cara! cavatina di Nemorino
Benedette queste carte…elisir di si perfetta di si rara qualità! aria di Adina con coro
Come Paride vezzoso cavatina marziale di Belcore
Chiedi all’aura lusinghiera duetto di Adina e Nemorino
Udite, udite, o rustici! cavatina di Dulcamara
Ardir, ha forse il cielo…voglio dire lo stupendo elisir duetto di Nemorino e Dulcamara
Esulti pur la barbara duetto di Adina e Nemorino

 

Atto II:

“Ai perigli della guerra” duetto di Nemorino e Belcore
“Quanto amore! Ed io, spietata” duetto di Adina e Dulcamara
“Una furtiva lagrima” romanza di Nemorino
“Prendi, per me sei libero” aria di Adina

 

Incisioni note:

Nicola Monti, Margherita Carosio, Tito Gobbi, Melchiorre Luise Gabriele Santini           La voce del padrone

Giuseppe Di Stefano, Hilde Güden, Renato Capecchi, Fernando Corena Francesco Molinari Pradelli       Decca

Luigi Alva, Rosanna Carteri, Rolando Panerai, Giuseppe Taddei Tullio Serafin    EMI

Nicolai Gedda, Mirella Freni, Mario Sereni, Renato Capecchi     Francesco Molinari Pradelli       EMI

Carlo Bergonzi, Renata Scotto, Giuseppe Taddei, Carlo Cava    Gianandrea Gavazzeni/Isabella Quarantotti            HardyClassic

Luciano Pavarotti, Joan Sutherland, Dominic Cossa, Spiro Malas          Richard Bonynge          Decca

Plácido Domingo, Ileana Cotrubaș, Ingvar Wixell, Geraint Evans          John Pritchard  Sony

José Carreras, Katia Ricciarelli, Leo Nucci, Domenico Trimarchi Claudio Scimone          Philips Records

Gösta Winbergh, Barbara Bonney, Bernd Weikl,Rolando Panerai          Gabriele Ferro  Deutsche Grammophon

Luciano Pavarotti, Kathleen Battle, Leo Nucci, Enzo Dara         James Levine   Deutsche Grammophon

Roberto Alagna, Mariella Devia, Pietro Spagnoli, Bruno Praticò Marcello Viotti  Erato

Roberto Alagna, Angela Gheorghiu, Roberto Scaltriti, Simone Alaimo  Evelino Pidò     Decca

 

Videografia:

Ferruccio Tagliavini, Alda Noni, Paolo Montarsolo, Arturo La Porta        Alberto Erede              VAI

Carlo Bergonzi, Renata Scotto, Carlo Cava, Giuseppe Taddei    Gianandrea Gavazzeni  Isabella Quarantotti            Hardy

Luciano Pavarotti, Judith Blegen, Sesto Bruscantini, Brent Ellis Nicola Rescigno Nathaniel Merrill           Pioneer Artists

Luciano Pavarotti, Kathleen Battle, Enzo Dara, Juan Pons        James Levine   John Copley     DG

Roberto Alagna, Angela Gheorghiu, SimoneAlaimo, Roberto Scaltriti   Evelino Pidò     Frank Dunlop   Decca

Aquiles Machado, Valeria Esposito, ErwinS chrott, Enrico Marrucci

Anna Netrebko, Ildebrando D’Arcangelo, Leo Nucci   Alfred Eschwé  Otto Schenk     Erato

Raùl Hernandez, Silvia Dalla Benetta, Alex Esposito, Damiano Salerno Alessandro De Marchi   Alessio Pizzech            Dynamic

Peter Auty,  Ekaterina Siurina, Luciano Di Pasquale, Alfredo Daza          Maurizio Benini Annabel Arden Opus Arte

Rolando Villazón, Miah Persson, Ildebrando D’Arcangelo, Roman Trekel           Pablo Heras-Casado            Rolando Villazón           Deutsche Grammophon

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

La famiglia di Donizetti è poverissima per cui Gaetano può frequentare le “lezioni caritatevoli” di Musica che vengono impartite dal Maestro Giovanni Simone Mayr, il quale  ha modo di notare l’attitudine dell’allievo di cui cura la formazione; formazione che lo condurrà nella strada del successo.

Nonostante le prime opere mostrino influenze rossiniane, Donizetti si presenta originale conferendo Romanticismo e Psicologia ai personaggi che lo rendono considerato e stimato fra i musicisti della prima metà dell’Ottocento e precursore di Verdi.

Con la piena maturità artistica, si libera  dal punto di riferimento rossiniano  e crea opere con soggetti umano-psicologici che provocano commozione e divertimento, fra cui  “L’elisir d’amore”, opera teatralmente romantica che contiene comicità, tristezza e amarezza, mentre le personalità psicologiche dei personaggi vengono tracciate con delicatezza e finezza.

Il librettista Felice Romani trae il libretto da “Le Philtre” che Eugène Scribe aveva scritto per il compositore Daniel Auber, l’anno prima.

Donizetti svolge il lavoro in quattordici giorni e Romani solamente in sette, circa  il testo.

Riuscita: grande modello di opera comica dell’ ‘800.

Si tratta di un melodramma carino di tipo allegro che include anche il lato struggente,  specialmente in “Una furtiva lagrima”.

Il successo della “prima” presenta trentadue repliche ininterrotte.

 

Nemorino: 

Ragazzo interiormente “fanciullo” e ingenuo, viene ingannato ed è deriso per la sua innocenza.

E’ un “escluso”, ma soffre realmente, oltre ad essere umile, onesto e con l’anima nobile.

Anima che emoziona attraverso la celeberrima romanza “Una furtiva lagrima”.

 

Adina:

Donna emancipata e moderna per il suo tempo, pur essendo capricciosa e volitiva, per paura di soffrire è riluttante ad una relazione duratura nel tempo, ma è capace di amare profondamente e sinceramente.

 

Dulcamara: 

Personaggio ambiguo, il “Dottore” approfitta di Nemorino vendendogli un inesistente “elisir d’amore” promettendogli che l’effetto lo sortirà il giorno dopo, proprio quando sarà già lontano dal  villaggio e non potrà essere oggetto di “castigo”.

Però, nello stesso tempo, pur essendo un ciarlatano, Dulcamara, inconsapevolmente, aiuta gli indecisi a superare le paure e ad immettersi nella via che porta alla felicità: Nemorino ne è un esempio.

 

Belcore: 

Soldato presuntuoso, cerca di liberarsi allontanando “il rivale” Nemorino che vuole arruolare, ma la cosa non riesce, per cui corteggerà altre ragazze in altri paesi.

Battuto al computer da Lauretta

 

 

Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “QUANTO E’ BELLA, QUANTO E’ CARA”:

 

.

Il baritono TITO GOBBI canta ”COME PARIDE VEZZOSO”:

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Il soprano STEFANIA BONFADELLI e il tenore GIUSEPPE FILIANOTI cantano “CHIEDI ALL’AURA LUSINGHIERA”:

.

Il baritono GIUSEPPE TADDEI canta “UDITE! UDITE, O RUSTICI!”:

.

Duetto Adina-Nemorino, “Esulti pur la barbara”:

 

.

Duetto di Adina e Dulcamara”Quanto amore! Ed io spietata”:

.

Il tenore LUCINO PAVARITTI canta “UNA FURTIVA LAGRIMA”:

.

Il soprano RENTA SCOTTO canta “PRENDI. PRENDI, PER ME SEI LIBERO”:

 

 

 

DON GIOVANNI di WOLFGANG AMADEUS MOZART

Don Giovanni (titolo originale: “Il dissoluto punito, ossia il Don Giovanni, K 527”)  è un’opera in due atti su libretto di Lorenzo da Ponte tratto dai lavori di Tirso de Molina e Giovanni Bertati (“Don Giovanni, ossia Il convitato di pietra”).

Musica di Wolfgang Amadeus Mozart.

Prima rappresentazione: Teatro degli Stati Generali di Praga 29 ottobre 1787.
Prima rappresentazione in Italia: Teatro Valle di Roma, 11 giugno 1811.
Versioni successive: Burgtheater di Vienna, 7 maggio 1788.

 

Personaggi:   

Don Giovanni (baritono o basso)
Il Commendatore (basso profondo)
Donna Anna (soprano)
Don Ottavio (tenore)
Donna Elvira (soprano)
Leporello (basso-baritono o basso)
Masetto (baritono o basso)
Zerlina (soprano)

Contadine e contadini, servi, suonatori e coro di sotterra (coro)

 

Trama:

Epoca: indeterminata, fra il XVI e il XVIII secolo.

Atto I

Don Giovanni, mascherato, entra nella casa di Donna Anna allo scopo di conquistarla, lasciando il suo servo Leporello ad attenderlo.

Leporello si lamenta: “Notte e giorno faticar“.

Donna Anna crede che sia Don Ottavio, il suo fidanzato, ma si accorge della sostituzione di persona, per cui riesce ad allontanare l’uomo; che, in giardino, ritrova il suo servo.

Il Commendatore, padre di Donna Anna, è insospettito, dice alla figlia di chiamare aiuto e sfida a duello il nobile Don Giovanni che, quasi subito, uccide l’anziano uomo.

Leporello e il suo padrone sono costretti a dileguarsi al più presto.

Trovando il padre morto, Donna Anna perde i sensi; Don Ottavio le presta aiuto e s’impegna a vendicare, in ogni modo, la morte del Commendatore.

Don Giovanni cerca nuove conquiste e, mentre parla con Leporello, scorge – in lontananza – una fanciulla sola e le si avvicina accorgendosi, poi, che si tratta di Donna Elvira, una sua conoscenza conquistata ed abbandonata pochi giorni prima.

La donna è innamoratissima e lo cerca, per cui Don Giovanni è fortemente imbarazzato e, aiutato dalla distrazione che Leporello provoca alla donna, si allontana mentre Elvira s’infuria.

A questo punto, Leporello ritiene di raccontarle chi sia Don Giovanni, stendendo il catalogo delle sue conquiste: 640 in Italia, 231 in Germania, 100 in Francia, 91 in Turchia e in Spagna 1003.

Donna Elvira è sconvolta dalla rivelazione ma vuole caparbiamente fare pentire Don Giovanni.

Don Giovanni e Leporello vanno a vedere Zerlina e Masetto che si stanno sposando e che vengono festeggiati da alcuni contadini.

Scatta la molla inconscia che “comanda” a Don Giovanni di insidiare e ingannare la giovane sposina.

Leporello sta corteggiando alcune invitate e, su ordine di Don Giovanni,  viene allontanato da Masetto e dagli altri paesani.

Masetto è contrariato, però riesce a contenersi.

Don Giovanni, rimasto solo con Zerlina, la esorta a seguirlo cortesemente  e le promette di sposarla.

Proprio quando la ragazza è sul punto di cedere all’adescamento di Don Giovanni, arriva improvvisamente Donna Elvira: è  arrabbiatissima, per cui  la avvisa dei propositi del  malintenzionato e la conduce via.

A questo punto, arrivano Donna Anna e Don Ottavio che chiedono aiuto proprio a Don Giovanni  per ritrovare l’omicida sconosciuto del Commendatore.

Donna Elvira nuovamente denuncia di non credere a Don Giovanni che la accusa di essere folle.

Dopo il commiato di Don Giovanni e Donna Elvira, Donna Anna esprime a Don Ottavio che ha riconosciuto dalla voce di Don Giovanni il massacratore del padre, per cui  gli ricorda l’impegno di vendicarne la morte.

Don Ottavio ritiene giusto consolare Donna Anna, prima di arrestare Don Giovanni che, per sedurre Zerlina, ordina a Leporello di preparare una grande festa di matrimonio.

Zerlina chiede perdono a Masetto.

Giunge Don Giovanni che li invita a ballare con gli altri paesani.

Qui, si ritroveranno Donna Anna, Don Ottavio e Donna Elvira mascherati mentre Don Giovanni ordina a Leporello di invitarli, senza sapere i loro proponimenti.

Durante il ballo dei contadini, Leporello intrattiene  Masetto mentre Don Giovanni  danza con Zerlina e la conduce in disparte per possederla forzatamente.

Da fuori scena, si sente gridare Zerlina, per cui gli invitati si precipitano per proteggerla.

Don Giovanni tenta di accusare Leporello di volere usare violenza, ma Donna Elvira, Donna Anna e Don Ottavio, gettano le maschere, lo accusano esplicitamente e, con Masetto, Zerlina e agli altri paesani, cercano di bloccarlo.

Ma Don Giovanni e Leporello sono in grado di darsi alla fuga.

 

Atto II

Di fronte alla casa di Donna Elvira, la mattina dopo.

Troviamo Don Giovanni e Leporello che  parlano piuttosto vivacemente (“Eh, via, Buffone”) e, dopo le accuse ingiuste da parte di Don Giovanni, Leporello vorrebbe allontanarsi da lui che, però,  gli offre del denaro per una nuova impresa: lo scambio di abiti fra entrambi, così Leporello, distraendo Elvira, favorirà Don Giovanni che corteggerà la sua cameriera.

Donna Elvira, si affaccia alla finestra (“Ah, taci ingiusto core”), illudendosi che Don Giovanni-Leporello travestito si sia “redento” verso di lei, per cui si allontanano, mentre Don Giovanni canta la serenata alla cameriera.

Arrivano Masetto, contadini e contadine: sono tutti  armati per uccidere Don Giovanni.

Protetto dal suo travestimento, Don Giovanni riesce a far allontanare tutti, salvo Masetto (“Metà di voi qua vadano”): lo aveva privato delle armi con un sotterfugio e, rimasto solo con lui,  Don Giovanni lo malmena.

Dopodiché,  se ne va.

Zerlina, passando di lì, assiste il marito con il quale decide di catturare Don Giovanni e Leporello (infatti, Masetto crede di essere stato picchiato da lui, mentre Zerlina gli canta “Vedrai carino”).

Intanto, Leporello (sempre, col travestimento di Don Giovanni) non sa più come liberarsi di Donna Elvira che vuole fuggire con il nobile senza attirare l’attenzione, mentre Donna Anna, Don Ottavio, Zerlina e Masetto, servi, contadini e contadine si muovono per ucciderlo.

Fortunatamente, Leporello  riesce a far conoscere la propria identità  (“Sola sola in buio loco”) però, Zerlina lo incolpa di aver malmenato Masetto, Donna Elvira di averla aggirata e Don Ottavio e Donna Anna di averli traditi.

Leporello spiega a tutti di non sapere nulla  e che non ha colpa di tradimento dal momento che gira da un’ora con Donna Elvira.

Dopodiché, scappa (“Ah, pietà signori miei”).

Don Ottavio è sempre più determinato a consegnare Don Giovanni alla giustizia e parte per fare giustizia (“Il mio tesoro”).

Masetto va alla ricerca di Don Giovanni, Zerlina ritrova Leporello per ucciderlo perché non gli crede e, ingannandola, Leporello fugge nuovamente (“Per queste tue manine”).

La ragazza lo insegue assieme a Donna Elvira, ma Masetto rende noto che Leporello è innocente in quanto ha visto Don Giovanni negli abiti del suo servo.

Zerlina e Masetto partono in cerca di Don Giovanni e Donna Elvira si ritrova con amarezza e rabbia, per l’amore che prova ancora per Don Giovanni e, contemporaneamente, il desiderio di vendetta (“In quali eccessi” e “Mi tradì quell’alma ingrata”).

Intorno alle  due di notte.

Don Giovanni, rifugiato nel cimitero, attende Leporello che, una volta arrivato, gli racconta quanto gli è accaduto e che avrebbe fatto meglio a non accettare la sua offerta di soldi.

Don Giovanni ride di gusto ma, all’improvviso, si leva una voce sinistra e intimidatoria: «Di rider finirai pria dell’aurora».

Sbalorditi e sbigottiti, riodono la voce cupa e scura: «Ribaldo, audace, lascia ai morti la pace».

 

È la statua funebre del Commendatore a parlare e, se Leporello trema, Don Giovanni non è intimorito e la deride.

Ordina a Leporello, terrorizzato, di invitarla a cena (“Oh statua gentilissima”): la statua accetta attraverso un  mostruoso “Sì”.

 

Palazzo del Commendatore: di notte.

Don Ottavio chiede a Donna Anna se è sicura di sposarlo.

Donna Anna lo ama moltissimo ma il dolore per la perdita del padre le permetterà di sposarlo solo quando Don Giovanni sarà fermato (“Non mi dir”).

Don Ottavio e i suoi amici puniranno l’uccisore del Commendatore, ma nessuno è a conoscenza dell’invito di Don Giovanni.

Nel palazzo di Don Giovanni, tutto è pronto per la cena e Don Giovanni si siede a mangiare.

Don Giovanni ascolta brani da opere compresa l’aria di Figaro “Non più andrai farfallone amoroso”  da “Le nozze di Figaro” del medesimo Mozart  (“Già la mensa è preparata”).

Improvvisamente, appare Donna Elvira che, implorando ancora una volta che Don Giovanni si penta (“Ultima prova dell’amor mio”), viene cacciata, mentre grida terrorizzata.

Su ordine di Don Giovanni, Leporello va a vedere che cosa stia succedendo fuori, ma grida e torna  terreo e scosso: alla porta è apparsa la statua del Commendatore che viene accolta sfrontatamente  da Don Giovanni.

La statua entra (“Don Giovanni a cenar teco”), mentre Leporello insiste affinché il suo padrone fugga.

A sua volta, “Il convitato di pietra” invita Don Giovanni a cenare da lui: gli porge la mano.

Temerario e imprudente, Don Giovanni accetta e stringe la mano fredda della statua, rifiutando fino all’ultimo di pentirsi.

La furia del Commendatore, genera foschia, fiamme e terremoto e Don Giovanni cerca la fuga dal suo destino, però precipita nelle fiamme dell’inferno.

 

Gli altri personaggi con servi, contadini e contadine sono pronti ad arrestarlo, ma Leporello riferisce l’orribile scena appena avvenuta.

Don Giovanni è appena stato punito, Donna Anna ha il cuore ancora soffocato, Masetto e Zerlina vanno a cena con i loro amici, Donna Elvira si ritira in convento perché non ha più l’unico uomo che ha amato e Leporello va a cercare un nuovo padrone che sia migliore.

 

I personaggi che, dopo aver cantato il concertato finale (“Questo è il fin di chi fa mal”), si allontanano in direzioni diverse, dopodiché il sipario si chiude.

 

Versione cinematografica: 

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Don Giovanni (film 1979).

Oltre che in numerose versioni da teatro, è possibile vedere “Don Giovanni” di Mozart nella versione cinematografica prodotta dal regista Joseph Losey e diretta dal Maestro Lorin Maazel.

Un interessante riferimento all’opera viene fatto nel racconto breve di E.T.A. Hoffmann “Don Juan”, dedicato al suo compositore prediletto, poi adattato in un film di Ricard Carbonell nel suo cortometraggio “Don Giovanni” (2006).

L’ultimo libero adattamento del mito, nel quale viene ricreato l’ambiente di Mozart, è il film “Io, Don Giovanni” di Carlos Saura.

 

Brani celebri: 

Ouverture
Notte e giorno faticar – Leporello in Atto I, Scena I
Madamina, il catalogo è questo – Leporello in Atto I, Scena V
Là ci darem la mano – Don Giovanni e Zerlina in Atto I, Scena IX
Ah, fuggi il traditor – Donna Elvira in Atto I, Scena X
Don Ottavio … Or sai chi l’Onore – Donna Anna nel Atto I, Scena XIII
Dalla sua pace – Don Ottavio nel Atto I, Scena XIV
Fin ch’han dal vino – Don Giovanni in Atto I, Scena XV
Batti, batti, o bel Masetto – Zerlina in Atto I, Scena XVI
Deh, Vieni alla finestra – Don Giovanni in Atto II, Scena III
Vedrai, carino – Zerlina in Atto II, Scena VI
Il mio tesoro – Don Ottavio nel Atto II, Scena X
In quali eccessi … Mi tradì quell’alma ingrata – Donna Elvira in Atto II, Scena XI
Crudele? Troppo mi spiace … Non mi dir – Donna Anna nel Atto II, Scena XIII
Don Giovanni, a cenar teco m’invitasti – Don Giovanni, Leporello e Commendatore nell’Atto II, scena XVII

 

Incisioni discografiche (selezione):

John Brownlee, Salvatore Baccaloni, Ina Souez, Kolomon von Pataky, Luise Helletsgruber, Audrey Mildmay, Roy Henderson, David Franklin Fritz Busch EMI

Tito Gobbi, Erich Kunz, Ljuba Welitsch, Anton Dermota, Elisabeth Schwarzkopf, Irgmard Seefried, Alfred Poell, Josef Greindl   Wilhelm Furtwängler EMI

Giuseppe Valdengo, Sesto Bruscantini, Birgit Nilsson, Anton Dermota, Sena Jurinac, Alda Noni, Walter Berry, Gottlob Frick    Karl Böhm    Golden Melodram

Cesare Siepi, Fernando Corena, Elisabeth Grümmer, Léopold Simoneau, Lisa Della Casa, Rita Streich, Walter Berry, Gottlob Frick    Dimitri Mitropoulos    Sony Classical

Cesare Siepi, Fernando Corena, Suzanne Danco, Anton Dermota, Lisa Della Casa, Hilde Güden, Walter Berry, Kurt Böhme Josef Krips Decca

Eberhard Wächter, Giuseppe Taddei, Joan Sutherland, Luigi Alva, Elisabeth Schwarzkopf, Graziella Sciutti, Piero Cappuccilli, Gottlob Frick Carlo Maria Giulini EMI

Cesare Siepi, Geraint Evans, Leyla Gencer, Richard Lewis, Sena Jurinac, Mirella Freni, Robert Savoie, David Ward Georg Solti Living Stage

Nicolaj Ghiaurov, Walter Berry, Claire Watson, Nicolai Gedda, Christa Ludwig, Mirella Freni, Paolo Montarsolo, Franz Crass Otto Klemperer EMI

Dietrich Fischer-Dieskau, Ezio Flagello, Birgit Nilsson, Peter Schreier, Martina Arroyo, Reri Grist, Alfredo Mariotti, Martti Talvela Karl Böhm Deutsche Grammophon

Gabriel Bacquier, Donald Gramm, Joan Sutherland, Werner Krenn, Pilar Lorengar, Marilyn Horne, Leonardo Monreale, Clifford Grant Richard Bonynge Decca

Nicolai Ghiaurov, Sesto Bruscantini, Gundula Janowitz, Alfredo Kraus, Sena Jurinac, Olivera Miljakovic, Walter Monachesi, Dimiter Pektov Carlo Maria Giulini Arkadia

Ingvar Wixell, Wladimiro Ganzarolli, Martina Arroyo, Stuart Burrows, Kiri Te Kanawa, Mirella Freni, Richard Van Allan, Luigi Roni Colin Davis Philips

Bernd Weikl, Gabriel Bacquier, Margaret Price, Stuart Burrows, Sylvia Sass, Lucia Popp, Alfred Šramek, Kurt Moll Georg Solti Decca

Samuel Ramey, Ferruccio Furlanetto, Anna Tomowa-Sintow, Gösta Winbergh, Agnes Baltsa, Kathleen Battle, Alexander Malta, Paata Burchuladze Herbert von Karajan Deutsche Grammophon

Thomas Hampson, László Polgár, Edita Gruberová, Hans Peter Blochwitz, Roberta Alexander, Barbara Bonney, Anton Scharinger, Robert Holl Nikolaus Harnoncourt Teldec

Håkan Hagegård, Gilles Cachemaille, Arleen Augér, Della Jones, Nico van der Meel, Barbara Bonney, Bryn Terfel, Kristin Sigmundsson Arnold Östman L’Oiseau-Lyre

William Shimell, Samuel Ramey, Cheryl Studer, Frank Lopardo, Carol Vaness, Suzanne Mentzer, Natale De Carolis, Jan-Hendrik Rootering Riccardo Muti Emi

Thomas Allen, Simone Alaimo, Sharon Sweet, Francisco Araiza, Karita Mattila, Marie McLaughlin, Claudio Otelli, Robert Lloyd Neville Marriner Philips

Ferruccio Furlanetto, John Tomlinson, Lella Cuberli, Uwe Heilmann, Waltraud Meier, Joan Rodgers, Michele Pertusi, Matti Salminen Daniel Barenboim Erato

Bo Skovhus, Alessandro Corbelli, Christine Brewer, Jerry Hadley, Felicity Lott, Nuccia Focile, Umberto Chiummo, Umberto Chiummo Charles Mackerras Teldec

Bryn Terfel, Michele Pertusi, Renée Fleming, Herbert Lippert, Ann Murray, Monica Groop, Roberto Scaltriti, Mario Luperi Georg Solti Decca

Simon Keenlyside, Bryn Terfel, Carmela Remigio, Uwe Heilmann, Soile Isokoski, Patrizia Pace, Ildebrando D’Arcangelo, Matti Salminen Claudio Abbado Deutsche Grammophon

Peter Mattei, Gilles Cachemaille, Carmela Remigio, Mark Padmore, Véronique Gens, Lisa Larsson, Till Fechner, Gudjon Oskarsson Daniel Harding Virgin Classics

Johannes Weisser, Lorenzo Regazzo, Olga Pasichnyk, Kenneth Tarver, Aleksandrina Pendačanska, Sunhae Im, Nikolaj Borchev, Alessandro Guerzoni René Jacobs Harmonia Mundi

Ildebrando D’Arcangelo, Luca Pisaroni, Diana Damrau, Rolando Villazón, Joyce Didonato, Mojca Erdmann, Konstantin Wolff, Vitalij Kowaljow Yannick Nézet-Séguin Deutsche Grammophon

Dimitris Tiliakos, Vito Priante, Myrtò Papatanasiou, Kenneth Tarver, Karina Gauvin, Christina Gansch, Guido Loconsolo, Mika Kares Teodor Currentzis Sony Classical

DVD (selezione)

Ruggero Raimondi, José van Dam, Edda Moser, Kenneth Riegel, Kiri Te Kanawa, Teresa Berganza, Malcolm King, John Macurdy Lorin Maazel Joseph Losey CBS

Samuel Ramey, Ferruccio Furlanetto, Anna Tomowa-Sintow, Gösta Winbergh, Julia Varady, Kathleen Battle, Alexander Malta, Paata Burchuladze Herbert von Karajan Michael Hampe Sony Classical

Thomas Allen, Claudio Desderi, Edita Gruberová, Francisco Araiza, Ann Murray, Suzanne Mentzer, Natale De Carolis, Sergej Koptchak Riccardo Muti Giorgio Strehler Opus Arte

Carlos Álvarez, Ildebrando D’Arcangelo, Adrianne Pieczonka, Michael Schade, Anna Caterina Antonacci, Angelika Kirchschlager, Lorenzo Regazzo, Franz-Josef Selig Riccardo Muti Roberto De Simone TDK

Bryn Terfel, Ferruccio Furlanetto, Renée Fleming, Paul Groves, Solveig Kringelborn, Hei-Kyung Hong, John Relyea, Sergej Koptchak James Levine Franco Zeffirelli Deutsche Grammophon

Rodney Gilfry, László Polgár, Isabel Rey, Roberto Saccà, Cecilia Bartoli, Liliana Nikiteanu, Oliver Widmer, Matti Salminen Nikolaus Harnoncourt Jürgen Flimm Arthaus

Thomas Hampson, Ildebrando D’Arcangelo, Christine Schäfer, Piotr Beczała, Melanie Diener, Isabel Bayrakdarian, Luca Pisaroni, Robert Lloyd Daniel Harding Martin Kusej Decca

Simon Keenlyside, Anton Scharinger, Eva Mei, Piotr Beczala, Malin Hartelius, Martina Jankova, Reinhard Mayr, Alfred Muff Franz Welser-Most Sven-Erich Bechtoff EMI Classics

Ildebrando D’Arcangelo, Andrea Concetti, Myrtò Papatanasiou, Marlin Miller, Carmela Remigio, Manuela Bisceglie, William Corrò, Enrico Giuseppe Iori Riccardo Frizza Pier Luigi Pizzi Unitel Classica

Peter Mattei, Bryn Terfel, Anna Netrebko, Giuseppe Filianoti, Barbara Frittoli, Anna Prohaska, Štefan Kocán, Kwangchul Youn Daniel Barenboim Robert Carsen Deutsche Grammophon

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

E’ UN’OPERA FORTEMENTE PSICOLOGICA e ALL’AVANGUARDIA, ESSENDO RAPPRESENTATA NEL 1787.

Commissionata dall’imperatore Giuseppe II, è la seconda delle tre opere buffe che Mozart scrive su libretto di Da Ponte, librettista che attinge ad alcune fonti dell’epoca ed è considerata uno dei capolavori di Mozart, della Musica e della Cultura dell’Occidente.

Consta di due atti ed è classificata come dramma giocoso, ma chiamata da Mozart “opera buffa” e con pezzi seri riferiti a Donna Anna e a Don Ottavio.

E’ importante citare le due versioni di:
< Il Teatro degli Stati di Praga

. L’opera, in scena per la prima volta a Praga il 29 ottobre 1787, ha un esito felice, per cui Mozart è entusiasta: “L’opera è andata in scena con il successo più clamoroso possibile”.

. La sera del 3 novembre, la quarta recita, devolve l’incasso «a beneficio del compositore» e molti insistono perché Mozart si fermi a Praga affinché gli si possa commissionare una nuova opera.

L’impresario Guardasoni scrive a Da Ponte: “Evviva Da Ponte! Evviva Mozart! Tutti gli impresari, tutti i virtuosi devono benedirli! Finché essi vivranno, non si saprà mai cosa sia la miseria teatrale”.

 

. Nel maggio successivo l’opera viene rappresentata a Vienna, al Burgtheater, per il cui pubblico conservatore Mozart opera tagli e modifiche in modo che l’opera termini dopo la caduta di Don Giovanni all’inferno.

 

< Burgtheater di Vienna

. Non è cosa certa ma – sembra – Mozart, sceglie, probabilmente, di concludere l’opera nella tonalità di inizio dell’ouverture.

La disputa tra i sostenitori della partitura praghese e quelli della partitura viennese nasce quasi immediatamente e, anche in tempi moderni, ritroviamo le scelte di entrambe le partiture, disputa risolta dai membri della Neue Mozart-Ausgabe e, comunque, la versione  più spesso usata dai direttori d’orchestra è la praghese.

 

< Rappresentazioni a Praga e a Vienna

. A Praga, 29 ottobre, 1787 (Direttore: Wolfgang Amadeus Mozart)

. A Vienna, 7 maggio 1788 (Direttore: Wolfgang Amadeus Mozart)

Don Giovanni (basso/baritono) Luigi Bassi, Francesco Albertarelli
Il Commendatore (basso profondo) Giuseppe Lolli, Francesco Bussani
Donna Anna (soprano) Teresa Saporiti, Aloysia Weber Lange
Don Ottavio (tenore) Antonio Baglioni, Francesco Morella
Donna Elvira (soprano/mezzosoprano) Catarina Micelli, Katherina Cavalieri
Leporello (basso/basso-baritono) Felice Ponziani, Francesco Benucci
Masetto (basso/baritono) Giuseppe Lolli, Francesco Bussani
Zerlina (soprano/mezzosoprano) Caterina Bondini Saporiti, Luisa Laschi Mombelli

Coro: Contadini, contadine, servi, musicisti, coro di Demoni.

Katherina Cavalieri (Donna Elvira) è stata la prima Konstanze in “Il ratto dal serraglio”, Francesco Benucci (Leporello) il primo Figaro in “Le nozze di Figaro”, e Aloysia Weber-Lange, la cognata di Mozart, ha cantato spesso nelle sue opere liriche.

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Don Giovanni: 

Approfondendo la personalità complessa del “superuomo” Don Giovanni, si denota la molteplicità di aspetti di una mente che ha sempre interessato studiosi della Psicologia e della Critica, oltre ad avere ispirato scrittori e musicisti, in particolare Mozart-Da Ponte che hanno creato una cosa singolare, meravigliosa e – soprattutto – impareggiabile.

Non sembra la tipica persona affetta da “disturbo paranoide di personalità”, secondo il quale  la persona tende, senza alcuna  motivazione concreta, a interpretare le parole e le azioni degli altri come minacciose e consapevoli, umilianti o malevole: infatti, spesso, la persona paranoide è polemica e particolarmente suscettibile alle critiche alle quali  risponde soprattutto con rabbia.

Invece, Don Giovanni è una tipica anima delle persone psicopatiche ed è un personaggio affascinante che “vuole competere” con le tradizioni sociali e i principi morali fondamentali; è un personaggio per il quale ciò che conta è vivere senza pensare al futuro e agisce senza pensare che le sue azioni non avranno  contraccolpi: infatti, è bugiardo, è un traditore, opportunista che si serve delle persone, è anaffettivo perché non ha rispetto per i sentimenti altrui.

Ma, nonostante tutto questo, non si prova odio o antipatia, per lui  (risulta chiaro che si tratta di un’opera con molte sfumature ed equivoci): il suo comportamento negativo  (parlantina, falsità, tradimenti, opportunismo, truffe, mancanza di empatia e di responsabilità) è dettato dall’inconsapevolezza propria di uno psicopatico “lucido”.

Lo psicopatico NON è capace di amare e la sua emotività è alquanto povera.

Può essere concitato, può avere entusiasmo, pianto, ira esagerata, può iniziare argomenti  non meditati sui suoi guai: osservandolo con attenzione ci si rende conto che non si tratta di  sentimento, ma di scioltezza di parola.

Spiegando meglio, il Disturbo Psicopatico (o psicopatia) consta di comportamenti antisociali durevoli che iniziano nell’infanzia; disturbo che si mostra a mezzo di una serie di fattori interpersonali, affettivi e comportamentali:

Loquacità/fascino superficiale: lo psicopatico, conversatore piacevole, è abile a  raccontare storie poco credibili ma convincenti, per farsi elogiare.

Senso grandioso del Sé: possiede un’opinione elevata del proprio valore.

Bisogno di stimoli/propensione alla noia: lo psicopatico si annoia velocemente, per cui cerca di reagire con il comportamento o emotivamente  assumendo condotte rischiose.

Menzogna patologica: ha una considerevole immediatezza e disinvoltura nel mentire.

Manipolatorietà: SA truffare, ingannare o manipolare gli altri, per raggiungere uno scopo personale vantaggioso.

Assenza di rimorso/senso di colpa: il disturbo psicopatico si può manifestare con mancanza di ansia ed angoscia per gli esiti negativi del proprio operato.

Affettività superficiale: spesso, le emozioni sono finte ed istrioniche, superficiali, passeggere, frettolose.

Deficit del controllo comportamentale: la persona psicopatica può diventare irritabile o collerica e, da frustrata, avere maniere aggressive verbali o violente.

Impulsività: questo disturbo può provocare mancanza di riflessione, programmazione e intenzionaltà.

Don Giovanni: iperattivo psicologicamente e fisicamente, “fugge” sempre: in effetti,  “ha sempre molta fretta”, come se non avesse tempo a disposizione, per cui non si ferma troppo nello stesso luogo o con le stesse persone e non racconta di sé a differenza di come fanno gli altri personaggi.

Inoltre, psicologicamente, adotta sempre una maschera diversa a seconda del proprio interlocutore con cui, al momento del rapporto iniziale, si rende conto immediatamente di cosa l’interlocutore stesso si aspetta da lui, per cui si regola di conseguenza e per cui gli viene accordato immediato affidamento unito ad una certa dose di innalzamento, elevazione: cose  che lo collocano al di sopra di ogni sfiducia e paura.

Don Giovanni adotta questo tipo di tattica: ad esempio, a nessuno viene il dubbio che lui abbia ucciso il Commendatore e, infatti, è Donna Anna che riconosce la voce, per cui le prime reazioni di Don Ottavio sono la sorpresa e il rifiuto mentale (la cosa gli sembra incredibile) fino alla metà del secondo atto, quando si convincerà.

Per quanto riguarda Zerlina: nonostante Donna Elvira l’abbia avvertita, concede la sua  fiducia e non si rende conto fino al momento che Don Giovanni cerca di stuprarla.

Don Giovanni è arrogante e, fin dall’inizio dell’opera, psicologicamente,  “si nasconde  sotto mentite spoglie” per il proprio fine: “amicizia” con Donna Anna e Don Ottavio, il continuo scambio d’identità con il suo servo Leporello (segnale emotivo che rappresenta lo scaricare sugli altri i propri torti, segnale che rivela la particolarità del suo rapporto con lui con cui è sempre stato sincero).

La sua “maschera” è il modo che gli permette di controllare gli altri per poter avere “il potere” su di loro: questo, per sapere come reagire ad un’eventuale “minaccia” che rappresentano (forse, il rifiuto, l’abbandono che avrebbe subìto fin da piccolo).

La maschera di don Giovanni è “la parola”, ossia  la sua arma verso gli altri e la sua difesa dagli altri.

Principalmente, Don Giovanni conquista, seduce e si difende attraverso il suo comportamento verbale: il suo parlare intrigante gli permette di essere maestro nella conquista, per ferire, per fingere e, soprattutto, per eclissarsi.

Sfida le potenze celesti e la morale comune per cui, fino all’ultimo, rifiuta di pentirsi, di fronte alla statua del Commendatore (ossia “il giustiziere divino”) e alla inviolabilità della sua morte, evidenziando la sua caparbietà con la sua immaturità e i demoni dell’Inferno dove precipita sono quelli della sua mente.

A questo punto, risulta evidente che Don Giovanni è affetto anche da “cattiveria” il cui fattore D (“dark” = Fattore Oscuro della Personalità) rende noto che “La cattiveria può essere una forma di comportamento o azione crudele o meschina volta a provocare, in modo volontario o involontario, danno o dolore, al prossimo. Comporta la manifestazione più o meno aperta o subdola di ostilità”.

 

Gli aspetti psicologici che caratterizzano il Fattore D sono:

 

Egoismo. 

La prima caratteristica del fattore D è l’egoismo.

La persona egoista è una persona eccessivamente determinata verso i propri interessi (anche a danno degli altri).

Machiavellismo. 

Termine derivante dal famoso autore dell’opera “Il principe”, è tipico delle persone manipolatrici, dalla mentalità strategica e spregiudicata; persone determinate che antepongono sempre i propri interessi.

Assenza di etica e di senso morale. 

Narcisismo.

Allo stesso modo di Narciso, innamorato della sua immagine rispecchiata, il narcisista è determinato verso sé stesso, tanto da non vedere gli altri.

La propria ammirazione eccessiva è completamente rivolta sul proprio benessere.

Superiorità psicologica. 

Un’altra caratteristica interessante è quella della superiorità psicologica, secondo la quale la persona cattiva è convinta di essere migliore, di meritare  trattamenti speciali diversi da quelli riservati agli altri.

La persona giustifica i propri atti sulla base di questa profonda e radicata convinzione.

Psicopatia. 

Caratteristica che presenta un deficit nell’affettività, scarsa empatia, poca sensibilità, tendenza a mentire, impulsività.

Sadismo. 

Tendenza a imporre dolore agli altri esseri viventi attraverso aggressioni di vario genere, da quella psicologica a quella sessuale, traendo piacere da questo comportamento.

Tali azioni generano nella persona sadica una sensazione di piacere e di dominio, persona che non si pone troppi problemi nel causare dolore agli altri.

Interessi sociali e materiali. 

La persona è costantemente alla ricerca di un tornaconto economico e morale (riconoscimento sociale, successo, acquisizione di beni materiali e ricchezze),

Malevolenza (Perfidia). 

Propensione al male e tendenza all’ostilità in atti di diverso tipo  (aggressioni fisiche, abusi, furti, umiliazioni, ecc. …).

Le ricerche hanno messo in evidenza che coloro che riportano elevati punteggi in tali caratteristiche hanno anche un alto valore del Fattore D.

Don Giovanni: sicuramente, ha avuto un cattivo rapporto con la madre o con chi doveva occuparsi di lui, fin da piccolo (zia, nonna, tata), per cui è stato trascurato nell’affetto e nell’attenzione da PERSONE NON IN GRADO DI RASSICURARE, PROTEGGERE.

Don Giovanni è un narcisista maligno manipolatore perverso che nutre un rapporto di amore-odio nei confronti della madre, per cui ODIA LA DONNA, IN GENERE, e LA VUOLE “ABBATTERE” COLPENDO COMPULSIVAMENTE LA SUA PERSONALITA’ ATTRAVERSO LE DONNE CHE CONOSCE.

Certamente, la sua autostima è bassa e si sente sicuro solamente se è convinto di esercitare pienamente il suo potere seduttivo sulle donne.

Infatti, il suo piacere non è costituito dall’oggetto (ossia, l’ennesima donna che ha conquistato), ma il godimento-compensazione del “successo” ottenuto a seguito della seduzione, godimento-compensazione contro la sua depressione di una certa imponenza.

Per cui, NON è in grado di amare tutte le donne che conquista, (per la sua necessità continua di seduzione, è improbabile che rimanga fedele ad una sola partner, a prescindere dal rango delle “sue vittime”); nelle quali donne – inconsciamente – “vuole” abbattere la personalità della madre: le avvicina e le lascia dopo pochissimo = infatti, nel famoso catalogo steso da Leporello (il suo servo), viene espresso “Ma in Ispagna son già 1003” (ossia, le donne spagnole conquistate dalla sua personalità narcisistica e “buttate via” senza soddisfarle troppo).

NON si rende conto che TEME DI RIMANERE SOLO: cosa che si rende concreta da parte di chi “LO ABBANDONA”.

Infatti, le sue relazioni sono brevi, superficiali, senza una vera partecipazione affettiva per cui la sua personalità lo porta alla conquista angosciante.

Tutte le sue “prede” hanno il “dovere” di “sfamare” momentaneamente il bisogno infinito di ammirazione narcisistica, bisogno frustrato quando era piccolo.

Don Giovanni NON si rende conto di TEMERE INCONSCIAMENTE la sua QUASI CERTA OMOSESSUALITA’ INTERIORE proprio a causa del suo narcisismo maligno di manipolatore perverso (sotto l’aspetto psicologico).

Il Complesso di Don Giovanni corrisponde al femminile Complesso di Messalina (vedere “Carmen”) ma, al contrario, Don Giovanni termina l’atto, senza lasciarlo in sospeso.

 

Lorenzo da Ponte è il librettista che HA SAPUTO ESPRIMERE il testo per l’opera di Mozart.

Mozart HA SAPUTO ESPRIMERE attraverso la Musica.

Tirso de Molina e Giovanni Bertati hanno steso la GRANDE BASE su cui poggiare l’ESPRESSIONE DI QUESTO CAPOLAVORO PSICO-MUSICALE.

Dal mio scritto su Mozart:

L’opera “Don Giovanni” è considerata da tutti uno dei massimi capolavori di tutti i tempi, non solo dell’arte musicale, ma anche psicologicamente, essendo caratteristica con le incredibili comicità e tragedia.
Opera in cui il protagonista, Don Giovanni, all’inizio personalità negativa, nell’ultima parte, si eleva assurdamente ad una “dignità eroica” in cui il suo ostinato e coraggioso rifiuto di pentirsi (pur avvicinandosi la dannazione eterna minacciatagli dalla statua soprannaturale semovente del commendatore) rappresenterebbe il simbolo di rivolta laica e illuministica contro il soprannaturale.

 

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Gli altri personaggi dell’opera:  

La distinzione psicologica evidenzia la mentalità di un personaggio e racchiude in sé  il suo stato emotivo, il suo ragionare, i motivi delle sue azioni, la sua condotta, …

Mozart e Da Ponte riescono ad addentrarsi in tutto questo e a rendere esplicita la personalità di Don Giovanni, personaggio nobile degenerato, “abbassandolo” di ceto per investirlo della funzione del basso buffo settecentesco, nonostante un bell’aspetto fisico, un certo ambiente sociale e un certo livello culturale.

“Don Giovanni”, opera seria-buffa/tragedia-commedia, con la statua del Commendatore-deus ex machina dalla predisposizione quasi “soprannaturale” che diffonde correttezza, viene definita da Da Ponte come “dramma giocoso con il conseguente proseguimento del titolo, ovvero “Il dissoluto punito”.

Infatti:

Ricoprono parti serie: Don Ottavio, Donna Anna e il Commendatore.
Ricopre la parte di “mezzo carattere”: Donna Elvira.
Ricoprono le parti comiche: Leporello, Zerlina e Masetto.

 

Leporello:

Leporello (basso ai limiti del buffo) è un personaggio che, quasi sempre, si trova tra lo scherno, l’arroganza, la mancanza di rispetto verso il padrone Don Giovanni al quale, ad ogni modo, deve stare sottomesso per guadagnarsi da vivere.

E’ il primo personaggio che compare sulla scena e canta un’aria da basso comico, un’aria un po’ sillabata, attraverso la quale  rivela sé stesso: è stato lasciato fuori da Don Giovanni che “sta seducendo”.

Rende subito noto che nutre dei sentimenti discordanti verso Don Giovanni: lo odia e, contemporaneamente, lo ammira.

L’ammirazione  prevale tanto da provocargli l’accettazione più o meno cosciente di tante incoerenze che gli vengono obbligate.

Inoltre, il rapporto tra Don Giovanni e Leporello è strettissimo: Don Giovanni, si confida con lui da amico e gli permette grosse libertà; Leporello si lamenta, si irrita parecchio e protesta per lo sfruttamento che riceve, ma non cambia padrone perché intuisce che Don Giovanni possa essere affetto da disagi psichici e non può stare senza di lui su cui appoggiarsi per non crollare.

 

Donna Anna, Don Giovanni, Don Ottavio: 

Dopo il termine dell’aria di Leporello, appaiono Don Giovanni e Donna Anna (è la prima donna ad apparire in scena) donna che, da subito, risulta una personalità passionale e risoluta, sue doti  che vengono dimostrate  dal suo inseguimento dell’uomo che voleva approfittare di lei, uomo che non conosce: infatti, Don Giovanni è appena apparso e già si nasconde; coprendosi il volto, le dice “Chi son io tu non saprai”.

Sempre, nel primo atto, figura lo splendido duetto Donna Anna-Don Ottavio “Fuggi, crudele, fuggi”, che viene confrontato con altri duetti-gioiello dell’opera seria come – ad esempio –  il duetto Cesare-Cleopatra, mentre, da “Don Giovanni”,  sono da segnalare “Non mi dir, bell’idol mio” e “Mi tradì quell’alma ingrata”, dove Mozart usa la coloratura in senso profondamente drammatico.

Don Giovanni fugge passando sul corpo morto del Commendatore, la cui figlia, Donna Anna, afflitta e irata a causa del non avere più una figura paterna che la protegga, è costretta a sposare Don Ottavio, per cui fa giurare al fidanzato di vendicarla.

Don Ottavio promette a Donna Anna  «Un ricorso vo’ far a chi si deve, e in pochi istanti vendicarvi prometto».

Secondo alcuni critici, la serietà di Don Ottavio lo rappresenta come il “fidanzato modello”, ama Donna Anna sinceramente e non la forza a sposarlo, ma si spazientisce al termine  dell’opera dove Donna Anna lo rassicura attraverso il  rondò “Non mi dir bell’idol mio”.

 

Donna Elvira e Zerlina: 

Dopo Donna Anna e Don Ottavio, Don Giovanni e Leporello incontrano, inaspettatamente,   Donna Elvira.

Di Burgos, Donna Elvira – dopo soli tre giorni di matrimonio con Don Giovanni – viene abbandonata  e, ora, lo rincorre.

Testardamente, vuole fare capire a Don Giovanni quanto sia sbagliato il suo comportamento, ma NON SA che una personalità NON può cambiare e può migliorare solo con l’aiuto della Psicologia (a quel tempo, scienza non ancora scoperta).

Però, è un personaggio di grandissima importanza perché possiede energia e vitalità  psicologiche, ideologiche, quasi simili a quelle di don Giovanni e Leporello.

E’ innamorata di Don Giovanni e prova “pietà”, nonostante sia infuriata con lui, lo insulti e lo minacci di morte: la stessa “pietà” che la porta a calarsi nell’ “armatura di difesa” del marito che si comporta scelleratamente e indifferentemente.

Tutto ciò è avvertito istintivamente da Leporello, ma Donna Elvira SA tutto questo e la cosa impaurisce e turba Don Giovanni che la schiva per questo motivo (Don Giovanni HA PAURA della moglie).

Leporello spiega a Donna Elvira – attraverso la celebre “Aria del catalogo” – come il nobile abbia incontrato molte donne.

 

Leporello, assieme a Don Giovanni, arriva ad una festa di matrimonio di contadini.
Zerlina, la sposa, attira subito l’attenzione di Don Giovanni.

Donna Elvira provoca l’insuccesso di Don Giovanni che (attraverso la voce) viene riconosciuto da donna Anna, la quale  si accorda  con Elvira e Ottavio per sorprenderlo sul fatto; non conoscendo il complotto, Don Giovanni, ritenta per mezzo di un’altra festa comprendente anche Zerlina.

Qui, Don Giovanni canta l’ “Aria dello champagne” per mezzo della quale viene evidenziata e ripetuta in modo quasi ossessivo (come se questo fosse il suo unico scopo di vita): “Ah, la mia lista, doman mattina, d’una decina devi aumentar, devi aumentar, devi aumentar…”

Alla festa, quando Don Giovanni circuisce  Zerlina, intervengono Donna Anna, Don Ottavio e Donna Elvira che lo sbugiardano; Don Giovanni tenta invano di incolpare Leporello che si sente compromesso e danneggiato, però la sua ammirazione verso il padrone resta stabile.

 

Zerlina-Masetto:

Zerlina e Masetto appartengono  alle figure contadine, figure che trasmettono al pubblico valori onesti e corretti.

Zerlina cede due volte all’adulazione tentatrice di Don Giovanni, ma sa anche essere furba.

Infatti, si finge ingenua per avere ciò che vuole: prima don Giovanni, poi Masetto quando è convinta che Don Giovanni sia diventato irraggiungibile; poi, nuovamente Don Giovanni quando si ripresenta.

Ad un certo punto, si toglie la mascherina della contadinella ingenua, per cui sarà presso Masetto, uomo con la personalità ferma e decisa, ma uomo ingenuo, geloso e collerico, possessivo verso Zerlina che si sente “soffocata” e per cui si sente attratta da Don Giovanni, conseguenzialmente.

Masetto, comunque, è disposto anche a fare a botte con Don Giovanni/Leporello travestito, visto e considerato che capisce subito che è un impostore che si avvale della propria classe sociale, e per cui non gli si sente inferiore; anzi, moralmente, si ritiene migliore di lui.

 

Il Commendatore: 

Nel primo atto – dopo Leporello, Don Giovanni, e Donna Anna – arriva il Commendatore, ossia il padre di Donna Anna: è un personaggio incisivo perché, quando compare, si verificano svolte decisive degli avvenimenti.

L’uccisione del Commendatore segna l’inizio del poco tempo rimasto a Don Giovanni per vivere, l’inizio dell’inseguimento da parte di Donna Anna e Don Ottavio, l’inizio della corsa contro il tempo di Leporello e Donna Elvira per salvarlo dall’autodistruzione inconscia.

Contrariamente a Don Giovanni, il Commendatore è un padre di famiglia (Don Giovanni non lo è e non  sarebbe mai stato capace di esserlo), rappresenta l’ordine sociale e, forse, “il potere divino” che Don Giovanni combatte.

Nel finale dell’opera, il Commendatore offre a Don Giovanni l’estrema  possibilità di salvezza che il nobile rifiuta altezzosamente: il pentimento.

Don Giovanni RIFIUTA IL PENTIMENTO PER SETTE VOLTE, per cui la statua del  Commendatore  sottolinea: “Ah, tempo più non v’è”.

Nel pavimento, si apre una profonda apertura infuocata e forze orrende e spaventose afferrano Don Giovanni che urla mentre lo trascinano all’Inferno.

 

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Nell’ultima scena, tutti i personaggi commentano: “Questo è il fin di chi fa mal, e dei perfidi la morte alla vita è sempre ugual”: sembra una purificazione emotiva.

Certamente, non si tratta di un’opera buffa: comincia con un’uccisione e termina con la morte del protagonista che, vista la mal parata, “ritiene preferibile” morire LIBERO con l’aureola del martire.

 

Battuto al computer da Lauretta

 

OUVERTURE:

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Il basso FERRUCCIO FURLANETTO canta “NOTTE E GIORNO FATICAR”:

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Il basso FERRUCCIO FURLANETTO canta “MADAMINA IL CATALOGO E’ QUESTO”:

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TERZETTO, “AH TACI INGIUSTO CORE”:

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Il basso DIMITRIS TILIAKOS e il soprano  ARIANNA VENDITTELLI cantano il duetto “LA’, CI DAREM LA MANO”:

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Il tenore JUAN DUEGO FLOREZ canta “DALLA SUA PACE”:

 

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Il soprano LUCIA POPP canta “BATTI BATTI, O BEL MASETTO”:

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“EH, VIA, BUFFONE-AH TACI INGIUSTO CORE-DEH, VIENI ALLA FINESTRA”:

 

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Il soprano LUCIA POPP canta “VEDRAI, CARINO”:

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Il tenore ANTON DERMOTA canta IL MIO TESORO INTANTO:

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Il soprano MARIA CALLAS canta MI TRADI’ QUELL’ALMA INGRATA:

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SCENA FINALE:

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FINALE, “QUESTO E’ IL FIN DI CHI FA MAL”:

 

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