CHI AMA L'ARTE E LA CULTURA GIUNGERA' ALLA META - ODIO IL TRADIMENTO E L'IPOCRISIA - SONO TUTTO E NESSUNO

QUI, SI PARLA - SOLO ED ESCLUSIVAMENTE - DI MUSICA, DI ARTE, DI CULTURA IN GENERALE, DI TURISMO, DI FILOSOFIA, DI PSICOLOGIA, DI "LE GRANDI RELIGIONI", ... NEL RISPETTO DI TUTTO E DI TUTTI

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

CAORLE, VENEZIA, AQUILEIA

1972: la nostra prima vacanza da coniugi, in un albergo. Caorle: siamo
all’Hotel “Principe” e, della pensione completa, beneficiamo.

Negli anni successivi, ricordiamo con gioia e ci ritorniamo.
Albergo: esistono varie modifiche che, attraverso gli anni, notiamo.

Caorle: il suo nome deriva da “Caprulae”, un’antica foresta dove pascolavano
le tantissime capre selvatiche che, nell’antichità, là, esistevano.

Comune situato fra le foci dei fiumi Lemene e Livenza, la sua posizione
la troviamo situata a Nord delle città di Eraclea e Bibione.

Caorle vanta molti alberghi, specialmente, sulla strada del Lungomare.
La Spiaggia spaziosa di Levante è ritenuta la più bella di Caorle, a quanto pare.

Nell’Alto Adriatico, spiagge, Centro Storico, Laguna: sono i tre elementi centrali
di Caorle, meta davvero unica per vacanze di mare, punti-sue “spine dorsali”.

I due arenili (Est e Ovest) portano successo a questa località
veneta che, da tanto, ormai, vive di Turismo: una lavoratrice e volonterosa città.

Nel Centro Storico, il Duomo di Santo Stefano Protomartire è accompagnato
dal campanile cilindrico costruito da Venezia nel 1038, grazie al suo Patriarcato.

La Scogliera Viva è formata da scogli lambiti: è una delle più belle camminate.
Ha massi scolpiti da nomi famosi mondiali ed è nota per le sue passeggiate.

In fondo ad essa, c’è la Chiesetta-Santuario della Madonna dell’Angelo:
sembra che nasca nel IX secolo d.C. e che venga dedicata a San Michele Arcangelo

ad opera degli abitanti di Concordia Sagittaria che sfuggono all’invasione
barbarica. Negli Anni Cinquanta, diventa festa religiosa e con processione.

I fuochi d’artificio: ogni anno, di notte, il litorale adriatico e lo spazio veneziano,
grazie agli spettacoli pirotecnici, con gioia dei presenti, s’illuminano.

Sulla spiaggia di Levante, vediamo i deltaplani a motore; tali aeroplanini:
sono guidati espertamente e sfiorano terra per la delizia di bambini e ragazzini.

La Darsena: è bellissima. Parecchie sono le imbarcazioni che presenziano.
Lì, vicino, alcuni ristoranti, le “bisàte” (anguille) alla veneta le preparano.

Testimonianze della pesca di Laguna sono date dai casoni degli antichi abitatori
che erano casa e rifugio degli agricoltori, dei pescatori e dei cacciatori.

Il tetto, formato da canne e paglia, è spiovente: sorgono in spiazzi paludosi.
Per Pier Paolo Pasolini e Ernest Hemingway sono particolari meravigliosi.

Troviamo parecchi negozi con articoli diversissimi,
tanto che mio marito trova persino i ricercati cacciavite piccolissimi.

Fare Shopping: è cosa rilassante. Acquistiamo oggetti specialmente
in Centro, dove un locale è arredato in stile veneziano del 1700: accogliente.

Porto Santa Margherita. E’ sulla bellissima Spiaggia di Ponente
e la visitiamo varie volte: è più antica della Spiaggia di Levante.

Qui, troviamo persino la Sangrìa, la tipica bevanda spagnola
e il piano marmoreo Dama-Scacchi: classici giochi da tavola.

 

1973: non abbiamo mai visitato la magica Venezia, ma decidiamo
di farlo. Con la “Fiat 500L”, arriviamo a Punta Sabbioni, la depositiamo.

Dopodiché, sul traghetto per Venezia-Riva degli Schiavoni, ci imbarchiamo.
Fra tanta gente, un signore con la maglietta stile “marinaio” incontriamo

e che, gentilmente, ci informa sulle fabbriche del vetro di Murano e come
entrare in una, in particolare, della quale ci fornisce il nome.

Vaporetto. Giriamo la fabbrica e vediamo, interessati, come vengono creati
oggetti stupendi: molto affascinati da essi, alcuni li abbiamo acquistati.

Molto fini, sono i bicchierini di vetro blu decorati in oro zecchino:
li regaliamo ai miei suoceri, quale gentile “pensierino”.

Dal vaporetto, scendiamo al Ponte di Rialto conosciutissimo .
Varie bancarelle dove acquisto un collanina di cristallo purissimo.

E’ ora di pranzo: il ristorante “Le Chat qui rit” (“Il gatto che ride”) è vicino.
Siamo in molti, ma riusciamo a gustare molto bene il nostro “piattino”.

Poi, Piazza, Basilica di San Marco e il Campanile che, sempre così, ha funzionato:
il più alto edificato della città che, in passato, come faro per le navi veniva utilizzato.

La Torre dell’orologio: ha la campana che rintocca e i due pastori
che, affettuosamente, per il loro colore, i veneziani chiamano “i do Mori”.

 

1993: Aquileia, non è molto distante da Caorle e, in un’ora, là, ci arriviamo.
Ha Storia, Foro romano, il Sepolcreto e i Mosaici. Per cui la visitiamo.

Qui, Attila, passa per conquistare l’Italia. Aquileia, è distrutta.
Papa Leone I ferma Attila, salvando Roma e l’Italia tutta.

Queste sono le notizie storiche che ci sono state tramandate,
ma Verdi ha creato un vero capolavoro tra le sue opere musicate.

 

Il Veneto: una gran bella terra con campagne, monti, laghi, fiumi, mare.
Là, sono nata. Nutro nostalgia per la mia terra natale. Là, desidero ritornare.

Laura

 

 

 

CAORLE, VENICE, AQUILEIA

1972: our first vacation as a couple, in a hotel. Caorle: we are
to the Hotel “Principe” and we benefit from full board.

In subsequent years, we remember with joy and return to it.
Hotel: there are various changes that we notice over the years.

Caorle: its name derives from “Caprulae”, an ancient forest where they grazed
the many wild goats that existed there in ancient times.

Municipality located between the mouths of the Lemene and Livenza rivers, its position
we find it located north of the cities of Eraclea and Bibione.

Caorle boasts many hotels, especially on the Lungomare road.
The spacious beach of Levante is considered the most beautiful in Caorle, it seems.

In the Upper Adriatic, beaches, the Historic Centre, the Lagoon: these are the three central elements
of Caorle, a truly unique destination for sea holidays, points-its “backbones”.

The two beaches (East and West) bring success to this venetian locality
who, for a long time now, has lived on Tourism: a hardworking and willing city.

In the Historic Center, the Cathedral of Santo Stefano Protomartire is accompanied
from the cylindrical bell tower built by Venice in 1038, thanks to its Patriarchate.

The Scogliera Viva is formed by lapped rocks: it is one of the most beautiful walks.
It has boulders carved by world famous names and is known for its walks.

At the end of it, there is the small church-sanctuary of the Madonna dell’Angelo:
it seems that it was born in the 9th century AD. and that it is dedicated to San Michele Arcangelo

by the inhabitants of Concordia Sagittaria who escape the barbaric
invasion. In the Fifties, it became a religious festival with a procession.

The fireworks: every year, at night, the Adriatic coast and the Venetian space,
thanks to the fireworks displays, to the joy of those present, they light up.

On the Levante beach, we see motorized hang gliders; such airplanes:
they are expertly guided and skim over the ground to the delight of children and teenagers.

The Darsena: it is beautiful. There are several boats that are present.
There, nearby, some restaurants prepare the “bisàte” (eels) Venetian style.

Testimonies of Laguna fishing are given by the huts of the ancient inhabitants
which were the home and refuge of farmers, fishermen and hunters.

The roof, formed by reeds and straw, is sloping: they arise in marshy clearings.
For Pier Paolo Pasolini and Ernest Hemingway they are wonderful details.

We find several shops with very different items,
so much so that my husband even finds the sought after tiny screwdrivers.

Shopping: it’s relaxing. We buy items specially
in the Centre, where a restaurant is furnished in the Venetian style of the 1700s: welcoming.

Porto Santa Margherita. It is on the beautiful Spiaggia of Ponente

and we visit it several times: it is older than Spiaggia of Levante.

Here, we even find Sangrìa, the typical Spanish drink
and the marble top Checkers-Chess: classic board games.

1973: we have never visited magical Venice, but we decide
to do it. With the “Fiat 500L”, we arrive at Punta Sabbioni, we deposit it.

After that, we embark on the ferry to Venice-Riva degli Schiavoni.
Among so many people, we meet a gentleman with a “sailor” shirt

and who kindly informs us about the Murano glass factories and how
enter one, in particular, of which he gives us the name.

Vaporetto. Let’s tour the factory and see, interested, how they are created
stupendous objects: very fascinated by them, we bought some of them.

The blue glass glasses decorated in pure gold are very fine:
we give them to my in-laws, as a kind “little thought”.

From the vaporetto, we go down to the well-known Rialto Bridge.
Various stalls where I buy a very pure crystal necklace.

It’s lunch time: the restaurant “Le Chat qui rit” (“The laughing cat”) is nearby.
There are many of us, but we manage to enjoy our “saucer” very well.

Then, the square, the Basilica of San Marco and the bell tower which, always like this, worked:
the tallest building in the city which, in the past, was used as a lighthouse for ships.

The Clock Tower: it has a tolling bell and two shepherds
which, due to their color, the Venetians affectionately call “i do Mori”.

 

1993: Aquileia is not far from Caorle and we get there in an hour.
It has History, the Roman Forum, the Sepolcreto and the Mosaics. Which is why we visit it.

Here, Attila passes to conquer Italy. Aquileia is destroyed.
Pope Leo I stops Attila, saving Rome and all of Italy.

These are the historical news that have been handed down to us,
but Verdi has created a true masterpiece among his works set to music.

 

Veneto: a very beautiful land with countryside, mountains, lakes, rivers, sea.
There, I was born. I have nostalgia for my homeland. There, I wish to return.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

LENDINARA
(Festività pasquali 1972)

Desidero trascorrere le feste pasquali dalla sorella di mio padre
e, così, vedere la mia cara nonna Michelina, la loro madre.

Venerdì Santo: in anticipo ed entusiasti, il lavoro lasciamo
e io e mio marito, con gioia, il viaggio pregustiamo.

Arrivati presso la casa di mia zia, lei non c’è: lavora;
sul davanzale della finestrina del garage, trovo le chiavi, ora.

Mio marito si meraviglia del gesto da parte mia,
ma lo tranquillizzo: so come usa mia zia.

Il mio sguardo abbraccia il suo grande orto:
da sempre un grande amore gli porto.

Saliamo in casa e aspettiamo gli zii e Flavio, mio cugino.
Dopo un po’, mia zia entra. Ci abbracciamo e teniamo un discorsino.

Ci aveva preparato le tagliatelle da fare in brodo,
ma io e mio marito amiamo la pasta asciutta “oltremodo”.

La sera, ceniamo tutti assieme nella cucina che un muro separa dal cucinino
e accompagniamo, bevendo il loro buonissimo vino.

Il giorno dopo, giriamo un po’ per Lendinara, accompagnati da mio cugino:
vediamo qualche villa palladiana e arriviamo dalla nonna, nel suo lettino,

in casa di riposo. E’ felice di vedermi, ma mio cugino fa da interprete
perché ricordo benissimo le tante nostre parole venete

ma non la capisco perché è senza denti, povera nonna!
Ma, finalmente, sono qua, davanti a lei, carissima donna.

Lei sa che, tre anni prima, è morta di cancro, mia madre,
ma mi chiede notizie di suo figlio, mio padre.

Le rispondo mentendo perché mio padre è morto l’anno passato,
ma lei non lo deve sapere: il suo cuore è debole e acciaccato.

Il suo figliolo prediletto … Mi chiede se, per mio padre, c’è lavoro:
le rispondo di sì, che viviamo in un periodo d’oro.

Ha dato a mia zia (sua figlia) le due lenzuola che mi ha preparato:
(stoffa pesante e resistente); mi chiede se il tutto me lo ha consegnato.

Non dispone di denaro: ha fatto come meglio ha potuto.
Mi vengono le lacrime: povera nonna! Quanto bene le ho voluto!

Vorrebbe muoversi, ma il personale la costringe a stare a letto.
E’ triste, povera donna; mi ricorda momenti della mia infanzia, con un sorrisetto.

Con tristezza, mi esprime il suo sconforto e la sua sofferenza:
“Hai visto che fine ho fatto?” (In casa sua, aveva indipendenza).

Mi ha sempre voluto bene, mi ha dato dolcezza e indicato la via.
Mia nonna non mi prega, rispetta la vita privata degli altri: anche la mia.

Sono dispiaciuta, mi si stringe il cuore. Sono percorsa da pena.
Usciti, esprimo a mio marito l’idea di portarla a Milano, con noi: è un’idea appena.

Mio marito rifette (ha ragione): se si sentisse male
mentre siamo al lavoro, non avrebbe aiuto. La sua logica è naturale.

Inoltre, mio padre non potrebbe più incontrarla, a Milano: “comunichiamo
con la zia a mezzo telefono” e mia nonna capirebbe che le abbiamo

sempre mentito. Morirebbe. Il mattino dopo, mio marito esce con mio cugino
e io vorrei andare a trovare mia nonna, ma non capirei il suo discorso tenerino.

Non vado da lei e mi chiedo: “Se mancasse? L’ho vista per l’ultima volta?”.
(Sono incerta e triste; mi ha sempre voluto bene e la mia gratitudine è molta).

Il pomeriggio, desidero andare a Pincara, dov’è nata mia madre. Imbocchiamo
il sentiero in discesa e la macchina, sull’aia della zia Antonia, parcheggiamo.

In tale frazione Paolino, abbiamo la sorpresa di vedere che trascorrono
qua la Pasqua il mio nonno materno, figli e figlie che non nascondono,

a loro volta, il nostro ritrovarci in un modo insolito, capitato.
Berto, il figlio della zia Antonia, mi chiede l’età. Io: “Ventisei”. E’ ammirato:

“Sembri sempre una bambina”. Chiacchieriamo un po’ e, poi, andiamo
a Pincara, dove alcuni avventori sono nel bar in cui entriamo.

Alcuni puntano i loro occhi su di me: mi rendo conto che mi hanno riconosciuto
quale concorrente della trasmissione televisiva bongiorniana “Rischiatutto”.

E’ diventato buio: ritornando a Lendinara, chiedo a mio marito
di potere salutare i genitori della mia amica d’infanzia. Subito

acconsente e ci fermiamo in Via Valdentro. Quando sto per suonare,
non vedo bene una figura vicino alla porta d’ingresso: chiedo di salutare

i Signori e, oggi, è la giornata delle sorprese, la persona che si avvicina
al cancello è lei, la mia Gabriella: baci e abbracci. Mi fa entrare in cucina:

oltre ai genitori, c’è Franco, il marito. Parliamo di tante cose: Gabry aspetta
il terzo figlio e ricorda la partecipazione a “Rischiatutto” della sua Lauretta.

Noto che tutti, verso di me, nutrono sempre stima e ammirazione
come quando ero bambina: presso loro, occupo ancora questa posizione.

Siamo felici di esserci ritrovati. Poi, ritorniamo dai miei zii e raccontiamo.
Il giorno dopo è una Pasqua lieta; mia zia, fa la “pinza onta” che accompagniamo

con il vino di una bottiglia che abbiamo comperato appositamente per loro.
Io e mio marito apprezziamo il buonissimo dolce, in coro.

Il giorno seguente, “Lunedì dell’Angelo”, torniamo, ricordando mia nonna
e i giorni lieti trascorsi: provo malinconia per quella santa donna.

Non ho rivisto il Duomo di Santa Sofia e il Santuario della Madonna del Pilastrello:
turismo religioso interessante, costruttivo e, direi molto, molto bello.

Laura

 

 

LENDINARA
(Easter holidays 1972)

I want to spend the Easter holidays with my father’s sister
and, thus, seeing my dear grandmother Michelina, their mother.

Good Friday: early and enthusiastic, we leave work
and my husband and I, with joy, look forward to the journey.

Arrived at my aunt’s house, she is not there: she works;
on the sill of the garage window, I find the keys, now.

My husband marvels at the gesture on my part,
but I reassure him: I know how my aunt uses it.

My gaze embraces his large garden:
I have always had a great love for him.

We go up to the house and wait for my uncles and my cousin Flavio.
After a while, my aunt enters. We hug and have a little chat.

He had prepared noodles for us to make in broth,
but my husband and I love dry pasta “beyond”.

In the evening, we all have dinner together in the kitchen which is separated from the kitchenette by a wall
and we accompany, drinking their delicious wine.

The next day, we wander around Lendinara, accompanied by my cousin:
we see some Palladian villas and we arrive at the grandmother’s, in her cot,

in a retirement home. She’s happy to see me, but my cousin interprets
because I remember very well our many Venetian words

but I don’t understand her because she has no teeth, poor grandmother!
But, finally, I’m here, in front of you, dearest woman.

Do you know that, three years earlier, my mother died of cancer,
but she asks me about his son, my father.

I answer she lying because my father died last year,
but she must not know it: her heart is weak and bruised.

Her favorite son … She asks me if there is work for my father:
I answer yes, we live in a golden age.

She gave my aunt (her daughter) the two sheets she made for me:
(heavy and resistant cloth); she asks me if she handed it all to me.

She has no money: she did as best he could.
Tears come to me: poor grandmother! How much I loved her!

She would like to move, but the staff force she to stay in bed.
It is sad, poor woman; reminds me of moments from my childhood, with a smirk.

With sadness, she expresses his despondency and her suffering:
“Did you see what happened to me?” (In his own house, he had independence).

She always loved me, gave me sweetness and showed me the way.
My grandmother doesn’t beg me, she respects other people’s private lives: mine too.

I’m sorry, my heart aches. I am filled with pain.
Once we leave, I express to my husband the idea of ​​taking her to Milan, with us: it’s just an idea.

My husband reflects (he’s right): if she feels bad
while we are at work, it would not help. His logic is natural.

Furthermore, my father could no longer meet her in Milan: “we communicate
with the aunt on the phone” and my grandmother would understand that we have them

always lied. Would die. The next morning, my husband goes out with my cousin
and I would like to go and see my grandmother, but I wouldn’t understand her sweet speech.

I don’t go to her and ask myself: “What if she’s missing? Did I see her for the last time?”.
(I am uncertain and sad; he has always loved me and my gratitude is great).

In the afternoon, I want to go to Pincara, where my mother was born. We take
the downhill path and the car, in Aunt Antonia’s farmyard, we park.

In this fraction Paolino, we are surprised to see that they spend
here Easter my maternal grandfather, sons and daughters who do not hide,

in turn, our meeting in an unusual way, happened.
Berto, Aunt Antonia’s son, asks me my age. Me: “Twenty-six”. He is admired:

“You always look like a little girl.” We chat a bit and then we go
in Pincara, where some patrons are in the bar we enter.

Some fix their eyes on me: I realize that they have recognized me
as a competitor of the Bongiorni television show “Rischiatutto”.

It has become dark: returning to Lendinara, I ask my husband
to say hello to my childhood friend’s parents. Right away

he agrees and we stop in Via Valdentro. When I’m about to play,
I can’t quite see a figure near the front door: I ask to say hello

the Gentlemen and, today, is the day of surprises, the person who approaches
she is at the gate, my Gabriella: kisses and hugs. She takes me into the kitchen:

in addition to the parents, there is Franco, the husband. We talk about many things: Gabry waits
the third child and remembers the participation in “Rischiatutto” of her Lauretta.

I notice that everyone towards me always has respect and admiration
like when I was a child: with them, I still occupy this position.

We are happy to have met again. Then, we go back to my uncles and tell stories
The next day is a happy Easter; my aunt makes the “pinza onta” that we accompany

with wine from a bottle that we bought especially for them.
My husband and I appreciate the delicious dessert, in chorus.

The following day, “Monday of the Angel”, we return, remembering my grandmother
and the happy days that have passed: I feel melancholy for that holy woman.

I have not seen the Cathedral of Santa Sofia and the Sanctuary of the Madonna del Pilastrello:
interesting, constructive and, I would say very, very beautiful religious tourism.

Laura

 

 

MALE’, CROVIANA, DIMARO, MADONNA DI CAMPIGLIO.

Agosto 1970: sono ospite dei miei suoceri, in Trentino,
a Croviana, frazione di Malè. L’appartamentino

è in una zona più bassa della via principale
che si trova in una zona aperta del fondovalle,

zona vasta, e un po’ depressa sotto il livello stradale.
Ammiro il paesaggio: l’aria pulita, fresca, il castello monumentale

dei Pezzen, famiglia originaria della Valtellina,
con la chiesetta esterna sul bordo della statale trentina.

L’anno seguente, alloggiamo al primo piano di tale castello.
Qui, troviamo una stufa gigante, ma non credo che il modello

sia il medesimo dove un volontario dei Corpi Franchi si è nascosto,
dopo il combattimento del 20 aprile 1848, tenuto sul posto.

Le villette, il cimiterino, le case datate, il ristorantino,
il vicoletto, … Quanti tipi di alberi: abete, larice, pino, …

Chalets e la Chiesa di San Giorgio, a Malè Centro: essa contiene
architettura e opere d’arte e, come bellissimo esempio viene

citata per la cappella barocca dei Pezzen con lo stemma diffuso,
pitture a fresco e l’altare di legno: legno di cui si è fatto un buon uso.

Articoli e prodotti locali vengono venduti: in particolare, la lana
cruda con cui inizio un tappeto che mi occupa per “qualche” settimana.

Visite: non mancano Dimaro e Madonna di Campiglio, il Trenino “vivo”
della Val di Sole. Allevamento di trote: un buon prodotto nutritivo.

Ecco: ricordando qualche vacanza trascorsa a Croviana,
mi ritrovo nostalgica anche dell’acqua del Torrente Noce: acqua sana.

Ciao, Croviana ! Qui, da te, stai tranquilla, ritornerò
e il tuo cielo, le tue montagne, i tuoi luoghi pittoreschi riabbraccerò.

Laura

 

 

 

MALE’, CROVIANA, DIMARO, MADONNA DI CAMPIGLIO.

August 1970: I am a guest of my in-laws in Trentino,
in Croviana, a hamlet of Malè. The flat

it is in a lower area of ​​the main road
located in an open area of ​​the valley floor,

vast area, and somewhat depressed below street level.
I admire the landscape: the clean, fresh air, the monumental castle

of the Pezzen, a family originally from Valtellina,
with the external church on the edge of the Trentino state road.

The following year, we stayed on the first floor of this castle.
Here, we find a giant stove, but I don’t think the model

is the same where a volunteer of the Free Corps is hiding,
after the fight of April 20, 1848, held in place.

The cottages, the cemetery, the dated houses, the restaurant,
the alley, … How many types of trees: fir, larch, pine, …

Chalets and the Church of San Giorgio, in Malè Centro: it contains
architecture and artwork and, how beautiful an example it is

cited for the baroque chapel of the Pezzen with the widespread coat of arms,
fresco paintings and the wooden altar: wood that has been put to good use.

Local items and products are sold: in particular, wool
raw with which I start a carpet that occupies me for “a few” weeks.

Visits: there is no shortage of Dimaro and Madonna di Campiglio, the “living” train
of Val di Sole. Trout farming: a good nutritional product.

Here: remembering some holidays spent in Croviana,
I also find myself nostalgic for the water of the Noce stream: healthy water.

Hello Croviana! Here, with you, don’t worry, I’ll be back
and your sky, your mountains, your picturesque places I will embrace again.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

 

ARENA DI VERONA
(1969, 1975, 1976, 1991)

 

TURANDOT:

19 luglio 1969: mia madre se ne è andata da due mesi. A Verona,
si rappresenta “Turandot”, l’ultimo lavoro di Puccini. E’ un’operona.

Il mio collega Dialma organizza viaggi di turismo culturale:
la fermata del pullman più vicina è a Niguarda, presso l’ospedale.

Mi servo di un taxi per giungere prima al mezzo di trasporto.
Arrivo, ma Dialma sta dimostrando il suo sconforto

a mio padre: Dialma che, dal bar, ha chiamato telefonicamente
per non avermi ancora vista. Sta chiudendo ma, immediatamente,

si accorge di me e lo dice a mio padre a cui, all’improvviso, viene in mente
di andare a Verona dove si terrà una “Turandot imponente”.

Per cui Dialma fa deviare verso il parcheggio del villaggio, dove mio padre
sta già aspettando. (Si tratta dell’opera prediletta dalla mia povera madre).

Il tempo passa fra tragitto, giochi inganna-tempo e la rappresentazione
con Nilsson, Domingo e Tucci, si rivela uno spettacolone.

L’inizio è al lume dei cerini; poi spiccano scene, cantanti, coristi e orchestrali:
grandezza e arte impressionanti; sono verissimi artisti e si rivelano per tali.

La memoria per mia madre è grandemente omaggiata:
Sei in un freddo colombaio, mamma, ma la “nostra” Turandot ti ha riscaldata.

 

LA FORZA DEL DESTINO:

19 luglio 1975: sono passati quattro anni da che mi sono sposata.
Io e mio marito non trascuriamo la buona musica: da noi, è amata.

Riposiamo, dopo avere pranzato al ristorante della nostra amica.
Temperatura calda. Ad un certo punto, ricordo una cosa unica:

riferisco a mio marito che il mio collega va all’Arena di Verona
per “La forza del destino” con Bergonzi, Molnar Talaijc e Bruson, un’operona.

Mio marito: “Ci vuoi andare?”. Rispondo di sì: ma, così. improvvisamente …
Lui: “Preparati. Forza! Ci andiamo subito! Immantinente! Immantinente!”.

Imbocchiamo l’autostrada e, dopo due ore, siamo in zona Arena,
dove troviamo un garage per custodire la nostra auto e avere la mente serena.

Rivedo con affetto la città e incontriamo un “bagarino” che ci dà due biglietti:
Ressa per entrare, ma vale la pena per seguire un’opera dai grandi effetti,

specialmente, “la Vergine degli Angeli” cantata dal soprano e dal coro.
E’ un brano molto trascinante; è dolcissimo e io lo adoro,

tanto angelico Verdi è stato capace di saperlo rendere.
Si tratta di una serata dove non c’è proprio nulla da perdere:

la celebre e stupenda sinfonia inizia l’opera diretta da Molinari Pradelli,
grande Direttore d’orchestra; brano che tocca i sentimenti più belli.

I costumi sono fedeli alla vicenda; i cavalli sul palco; bravura dei cantanti.
L’entusiasmo e gli applausi del pubblico sono davvero abbondanti.

 

AIDA:

Luglio 1976: in Via Dante, a Milano,
all’Agenzia di Viaggi “Duomo”, compriamo

i biglietti per  la rappresentazione di “Aida” che si terrà
all’Arena di Verona verso fine mese: spettacolo che ci vedrà

nella platea del più grande teatro all’aperto, dove
i nostri due posti sono collocati e, da dove,

vediamo e udiamo bene. In attesa dell’inizio dell’opera,
sentiamo una voce maschile che grida: “Viva Verdi!”. E’ quasi sera,

ma una grande emozione io e mio marito proviamo,
rendendoci conto che “noi entusiasti” esistiamo.

Celeberrima opera verdiana, l’interprete del titolo è Maria Chiara
che, da professionista qual è, possiede una voce che rischiara

lo spettacolo. Durante il secondo atto, inizia a piovere, purtroppo,
per cui tutto smette dopo la scena trionfale. Il “tutto” che non è troppo

ma, comunque, accontentiamoci per quanto ci è stato dato di vedere:
grandi scene, splendidi costumi, interpreti e molte comparse. Il cadere

della pioggia ci obbliga a tornare nella camera d’albergo accogliente,
che abbiamo trovato appena arrivati, fortunatamente.

“Aida”: molti chilometri percorsi per ricevere poco. Davvero, peccato!
Ma noi speriamo che, qui, un altro spettacolone, di vedere, ci sia dato.

 

NABUCCO:

Fine luglio 1991: dal nostro campeggio di Casalborsetti, raggiungiamo
l’hotel “Pico”, in Mirandola. Questa volta, una posizione tranquilla la chiediamo.

La gita a Verona viene organizzata dal mio amato Gruppo musicale
per assistere a “Nabucco”, famosa opera verdiana con una storia imperiale

e la schiavitù degli Ebrei. Una storia di potere che coinvolge la morale
umana e religiosa: per cui Nabucco e Abigaille diventano esempio ascensionale.

Sono molto bravi Silvano Carroli-Nabucco e Daniel Oren (il Direttore);
è affascinante il castigo di Dio attraverso l’effetto “fulmine abbattitore”

e, del coro operistico più famoso, “Va’ pensiero”, viene eseguito il bis:
è tale l’entusiasmo che tanti vorrebbero, addirittura, il tris.

Io e mio marito siamo felici della regia e scenografia di Vittorio Rossi,
un “mago” di cui “Aida” e “Il trovatore” sono altri suoi colossi.

E, ora, il pullman ci riporta con tutta “l’allegra brigata”, a Mirandola,
dove alloggeremo ancora all’hotel “Pico” per una notte sola.

Laura

 

 

 

VERONA ARENA
(1969, 1975, 1976, 1991)

 

TURANDOT:

July 19, 1969: my mother has been gone for two months. In Verona,
“Turandot”, Puccini’s last work, is performed. It’s an opera.

My colleague Dialma organizes cultural tourism trips:
the closest bus stop is in Niguarda, near the hospital.

I use a taxi to get to the means of transport earlier.
I arrive, but Dialma is demonstrating her despondency

to my father: Dialma who called by phone from the bar
for not seeing me yet. It is closing but, immediately,
he notices me and tells my father who, suddenly, comes to mind
to go to Verona where an “imposing Turandot” will be held.

So Dialma detours to the village parking lot, where my father
is already waiting. (This is my poor mother’s favorite work).

Time passes between the journey, the trick-time games and the representation
with Nilsson, Domingo and Tucci, it turns out to be a great show.

The beginning is by the light of the matches; then the scenes, singers, choristers and orchestral players stand out:
impressive grandeur and artistry; they are very true artists and they reveal themselves as such.

Memory for my mother is greatly honored:
You are in a cold dovecote, mother, but “our” Turandot has warmed you.

 

THE FORCE OF DESTINY:

July 19, 1975: It’s been four years since I got married.
My husband and I don’t neglect good music: we love it.

We rest after having lunch at our friend’s restaurant.
Hot temperature. At some point, I remember a unique thing:

I tell my husband that my colleague goes to the Verona Arena
for “La forza del destino” with Bergonzi, Molnar Talaijc and Bruson, an opera.

My husband: “Do you want to go?”. I answer yes: but, like this. suddenly …
He: “Get ready. Come on! We’ll go right away! Immantinent! Immantinent!”.

We take the highway and, after two hours, we are in the Arena area,
where we find a garage to store our car and have a clear mind.

I see the city again fondly and we meet a “scalper” who gives us two tickets:
Crowded to enter, but worthwhile to follow a work with great effects,

especially, “the Virgin of the Angels” sung by the soprano and choir.
It’s a very enthralling piece; it’s very sweet and i love it

so angelic Verdi was able to know how to make it.
It is an evening where there is absolutely nothing to lose:

the famous and stupendous symphony begins the work conducted by Molinari Pradelli,
great Conductor; song that touches the most beautiful feelings.

The costumes are faithful to each other; the horses on stage; skill of the singers.
The enthusiasm and applause of the audience are truly abundant.

 

AIDA:

July 1976: in Via Dante, in Milan,
at the “Duomo” Travel Agency, we buy

tickets for the performance of “Aida” to be held
at the Verona Arena towards the end of the month: a show that will see us

in the stalls of the largest open-air theater, where
our two places are placed and, from where,

we see and hear well. Waiting for the start of the work,
we hear a male voice shouting: “Viva Verdi!”. It’s almost evening

but a great emotion my husband and I feel,
realizing that “we enthusiasts” exist.

Famous opera by Verdi, the interpreter of the title is Maria Chiara
who, as a professional, has a voice that illuminates

the show. During the second act, it starts to rain, unfortunately,
whereby everything stops after the triumphal scene. The “everything” that is not too much

but, in any case, let’s be satisfied with what we have been given to see:
great sets, splendid costumes, performers and many extras. The fall

some rain forces us back to the cozy hotel room,
which we found as soon as we arrived, fortunately.

“Aida”: many kilometers traveled to receive little. Really, too bad!
But we hope that, here, another great show, to see, is given to us.

 

NABUCCO:

End of July 1991: from our campsite in Casalborsetti, we reach
the hotel “Pico”, in Mirandola. This time, we ask for a quiet position.

The trip to Verona is organized by my beloved musical group
to attend “Nabucco”, a famous Verdi opera with an imperial history

and Jewish slavery. A story of power that involves morality
human and religious: for which Nabucco and Abigaille become an ascending example.

Silvano Carroli-Nabucco and Daniel Oren (the Director) are very good;
the punishment of God through the “lightning bolt” effect is fascinating

and, of the most famous operatic chorus, “Va’ pensiero”, the encore is performed:
the enthusiasm is such that many would even like the tris.

My husband and I are happy with the direction and scenography of Vittorio Rossi,
a “magician” of which “Aida” and “Il Trovatore” are his other giants.

And, now, the bus takes us back with all the “merry brigade” to Mirandola,
where we will still stay at the “Pico” hotel for one night only.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

LESA
(Estate 1969)

Siamo ospiti nella casa del collega del padre
della fidanzatina di mio fratello. La madre,

il padre e la ragazzina
mi aspettano nella stazioncina.

Mi vengono regalati fiori, colti
nelle vicinanze e rispondo con molti

ringraziamenti per il gentile omaggio.
La casetta si trova a breve raggio:

è un bilocale in zona tranquilla, al primo piano.
Entrata sala-angolo cottura con, anche, un divano

a due piazze, porta-finestra, sedie e tavolo.
Bagno capiente a forma di rettangolo.

Camera da letto con una finestra,
un letto matrimoniale e un divano-letto, a destra.

Conosciamo il vicino scherzoso
che si atteggia a gigolo’ spiritoso.

15 agosto 1969: visitiamo i Giardini Botanici
(ormai, siamo tutti amici)

del Parco Pallavicino di Stresa.
Per cui ci serviamo del battello e partiamo da Lesa.

Grande cura del verde e dei fiori
bellissimi che hanno una varietà di colori.

Nel 1855, viene eretta la villa di stile neoclassico
che si erge sulla collina: uno stile ormai storico.

Nel suo parco trovano posto splendide razze animali
e, dal 2017, nelle Borromee, parco e bestiole sono “addizionali”.

Gli amici e mio fratello tornano a Milano
e io rimango sola e felice nella casetta al primo piano.

Percorro un sentiero per recarmi alla spiaggia.
Si tratta di una stradina che costeggia

ville e casette, sul lago, nel quale si specchiano
il cielo azzurrissimo, le colline, le barche che passano, …

Lesa: cittadina turistica bellissima
dove trascorro giorni di gioia dolcissima.

Laura

 

 

 

LESA
(Summer 1969)

We are guests in the father’s colleague’s house
of my brother’s girlfriend. The mother,

the father and the little girl
they are waiting for me in the station.

Flowers are given to me, picked
nearby and I answer with many

thanks for the kind gift.
The house is located within a short radius:

it is a two-room apartment in a quiet area, on the first floor.
Entrance hall-kitchenette with, also, a sofa

double, French door, chairs and table.
Spacious bathroom in the shape of a rectangle.

Bedroom with a window,
a double bed and a sofa bed, to the right.

We know the playful neighbor
who poses as a witty gigolo.

August 15, 1969: we visit the Botanical Gardens
(by now, we are all friends)

of the Pallavicino Park in Stresa.
So we use the boat and leave from Lesa.

Great care of greenery and beautiful flowers
that have a variety of colors.

In 1855, the neoclassical style villa was built
which stands on the hill: a now historic style.

In its park there are splendid animal breeds
and, since 2017, in the Borromean area, park and beasts are “additional”.

Friends and my brother return to Milan
and I remain alone and happy in the little house on the first floor.

I walk along a path to go to the beach.
It is a small road that runs alongside

villas and houses, on the lake, in which they are reflected
the blue sky, the hills, the passing boats, …

Lesa: beautiful tourist town
where I spend days of the sweetest joy.

Laura

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MONTEGRINO VALTRAVAGLIA (Varese)

Estate 1968: vacanze in montagna, a Montegrino,
dove i nostri vicini possiedono un appartamentino.

I due coniugi salgono là e, con la loro auto, mi accompagnano.
Con noi, portano anche i loro gatti: ne approfittano.

Una stanza con la stufa, il tavolino e l’angolo-cucinino,
il letto matrimoniale ed un singolo lettino

Un solo locale con la toilette appena fuori la casetta,
dopo la porta del vicino che vive in una stanzetta.

(Persona che beve: certamente a causa di reattività traumatica,
lo ritrovo, appena sposata, in Piazza, nel ristorantino di un’amica).

Con i proprietari, assieme, dormiamo e mangiamo:
Il giorno dopo, tornano a Milano, ma io e i gattini stiamo

là, assieme. Ho il permesso di mangiare l’insalata
del loro orto che accompagno alle bistecche: sono organizzata.

Riso e carne: i gattini li mangiano molto volentieri
e scacciano la lucertola entrata, mostrandosi veri guerrieri.

Si vedono i tanti tetti delle case: è da vera “bohème”, la veduta.
Sono vicina al campanile: sento i rintocchi da quando sono venuta.

I proprietari ritornano durante l’altro fine settimana:
posseggono anche una stanza, sopra: è affittata.

Vado in Svizzera per la prima volta: con loro, compriamo la cioccolata.
Mi tolgo la voglia di mangiare il “fondente”: sono soddisfatta!

A Montegrino, c’è la balera all’aperto. Qui, conosco una ragazza, casualmente,
baby-sitter del bambino di una commessa de “La Rinascente”.

Dopo due mesi, la ritrovo: da casa, ci spostiamo, in auto, con Gino,
con Adele e Norman, e ci rechiamo a Montegrino.

Grandi saluti e presentazioni presso la balera,
dove trovo altre due amicizie milanesi, quella sera.

 

Montegrino: “bohèmien” e pittoresco paesino non lontano da Luino,
ti prometto che tornerò nuovamente lì, per il mio salutino.

Laura

 

 

MONTEGRINO VALTRAVAGLIA (Varese)

Summer 1968: holidays in the mountains, in Montegrino,
where our neighbors own a small apartment.

The two spouses go up there and, with their car, accompany me.
They also bring their cats with us: they take advantage of it.

A room with a stove, a table and a kitchenette,
the double bed and a single cot

Only one room with a toilet just outside the house,
after the door of the neighbor who lives in a small room.

(Person who drinks: certainly due to traumatic reactivity,
I find him, newly married, in the square, in a friend’s restaurant).

We sleep and eat together with the owners:
The next day, they go back to Milan, but the kittens and I stay

there, together. I’m allowed to eat the salad
from their garden that I accompany with steaks: I’m organised.

Rice and meat: kittens eat them very willingly
and drive away the entered lizard, showing themselves to be real warriors.

You can see the many roofs of the houses: the view is truly bohemian.
I’m close to the bell tower: I’ve been hearing the chimes since I came.

The owners return on the other weekend:
they also own a room upstairs: it is rented out.

I’m going to Switzerland for the first time: we buy chocolate with them.
I get rid of the desire to eat the “dark”: I’m satisfied!

In Montegrino, there is an open-air dance hall. Here, I meet a girl, by chance
babysitter of the child of a saleswoman from “La Rinascente”.

After two months, I find her again: we move from home, by car, with Gino
with Adele and Norman, and we go to Montegrino.

Big greetings and introductions at the balera,
where I find two other Milanese friends that evening.

 

Montegrino: “bohemian” and picturesque village not far from Luino,
I promise you that I will go back there again, for my little hello.

Laura

 

 

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MALESCO
(1967 e 1980)

Si trova in un terrazzo, in Val Vigezzo,
fra i torrenti Loana e Melezzo.

La Val Vigezzo, è la “Valle dei Pittori”,
per i suoi paesaggi e i suoi colori,

dove sono nati tanti artisti ritrattisti
che presenziano con vari paesaggisti.

Il mio nonno vuole ospite mia madre,
e lei apprezza il regalo di suo padre:

si tratta della vacanza di una settimana
nella cittadina abitata già dall’epoca romana.

Mia madre, emozionata, mostra il suo entusiasmo,
tanto da rasentare quasi lo “spasmo”.

La gioia è anche per la casa e vuole che io ci entri
subentrando, dopo l’uscita dei parenti.

Arrivo in treno fino a Domodossola
(è la prima volta che trascorro le vacanze sola).

Qui, mi servo del mezzo “vigiezzino”,
ossia, del piccolo e simpatico trenino

che collega Locarno a Domodossola,
importante centro del Verbano-Cusio-Ossola.

Via “Al Teatro” è il vicoletto
dove io vivo un breve periodo, nel localetto.

Dopo qualche giorno, i miei genitori capitano
qua: sono felice della sorpresa che mi provocano.

Racconto che prendo il sole vicino alla cascata
e che spero di tornare a casa abbronzata.

In questa Valle, a Druogno, era sorta una colonia
per bambini, aiuto salutare e antimonotonia.

Al vicino Santuario di Re, si fa pellegrinaggio
con lodi e senza eremitaggio.

Mi riprometto che, a Malesco, tornerò una volta sposata:
infatti, dopo alcuni anni, siamo là, dove c’è anche “la mia cascata”.

Laura

 

 

MALESCO
(1967 and 1980)

It is located on a terrace in Val Vigezzo,
between the Loana and Melezzo torrents.

Val Vigezzo is the “Valley of Painters
for its landscapes and colors,

where so many portrait artists were born
attending with various landscapers.

My grandfather wants my mother as a guest,
and she appreciates her father’s gift:

it’s about a week’s vacation
in the town already inhabited since Roman times.

My mother, excited, shows her enthusiasm,
almost bordering on the “spasm”

Joy is also for the house and wants me to enter it
taking over, after the departure of the relatives.

Arrival by train to Domodossola
(it’s the first time I spend the holidays alone).

Here, I use the “vigiezzino” medium,
that is, of the small and nice little train

which connects Locarno to Domodossola,
important center of Verbano-Cusio-Ossola.

Via “Al Teatro” is the alleyway
where I live for a short time, in the local.

After a few days, my parents captain
here: I’m happy with the surprise they cause me.

I tell that I sunbathe near the waterfall
and that I hope to go home tanned.

In this valley, in Druogno, a colony had arisen
for children, healthy help and anti-monotony.

A pilgrimage is made to the nearby Sanctuary of Re
with honors and without hermitage.

I promise myself that I will return to Malesco once I get married:
in fact, after a few years, we are there, where there is also “my waterfall”.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

GIRETTO A COMO
(15 agosto 1963)

Pomeriggio di Ferragosto 1963. Noi chiacchieriamo sempre un po’, dopo pranzato.
Adesso, mio padre dice che sarebbe bello andare a Como: nostro giudizio accordato.

Il pomeriggio soleggiato invoglia ad uscire di casa: l’entusiasmo ci prende.
Quindi i miei genitori decidono, ci prepariamo e i mezzi di trasporto si prende.

Stazione Garibaldi. Il treno è fermo: io ho il vestito-tubino giallo-senape aderente
e, non riuscendo a salire, mia madre mi spinge in su con le sue braccia, allegramente.

Usciti dalla Stazione Como-San Giovanni, passeggiamo in zona Lungolago. La sera,
tutta la famigliola è al ristorante per le “tagliatelle alla bolognese”. Un’atmosfera

serena! Ceniamo in giardino assieme a parecchie persone che, come noi, festeggiano
il Ferragosto. Scambiamo idee su Como: città viva con il Tempio Voltiano,

il lago che, assiema acqua e montagne e conferisce bellezza e fascino alla zona.
Case e costruzioni varie, il monumento futurista in una piazza. Il tutto appassiona.

Ritorno in treno: sono seduta vicino a mia madre che si addormenta; lei crolla
sempre profondamente e il movimento del treno le fa toccare, spesso, la spalla

del signore vicino. Anche a mio padre la cosa imbarazza e mi dice, severo,
a bassa voce, di fare in modo che mia madre non disturbi: mio padre non è austero

ma non so come agire perché mia madre non si sveglia, quando cade nel sonno.
Siamo arrivati alla Stazione Garibaldi e la sveglio delicatamente perché non crei danno

morale, involontariamente. – Dopodiché, ci serviamo di un taxi perché il sevizio
di circolazione dei mezzi pubblici ha già terminato il proprio esercizio.

Ricorderò sempre questa bella domenica inusuale, in una bella condizione
e uniti “fuori casa”. Il giorno dopo, al lavoro, racconto la nostra passata “situazione”.


Estate 1969 e anni seguenti:

l mio fidanzato mi conduce qualche volta a Como e, dopo il matrimonio, intensifica:
Città facile da raggiungere per chi possiede l’auto: davvero, non è una fatica.

Laura

 

 

TOUR TO COMO

(August 15, 1963)

Afternoon on August 15th 1963. We always chat a bit after lunch.
Now, my father says it would be nice to go to Como: our judgment granted.

The sunny afternoon invites you to leave the house: enthusiasm takes us.
So my parents decide, we get ready and the means of transport are taken.

Garibaldi station. The train is stopped: I have the tight-fitting mustard-yellow sheath dress
and, unable to get up, my mother cheerfully pushes me up with her arms.

Leaving the Como-San Giovanni station, we walk in the Lungolago area. The evening,
the whole family is at the restaurant for the “tagliatelle alla bolognese”n serene

atmosphere ! We have dinner in the garden together with several people who, like us, celebrate
the mid-August. We exchange ideas about Como: a lively city with the Tempio Voltiano,

the lake which combines water and mountains and gives beauty and charm to the area.
Various houses and buildings, the Futurist monument in a square. All of it fascinates.

Back by train: I’m sitting next to my mother who is falling asleep; she collapses
always deeply and the movement of the train often makes her touch her shoulder

of the gentleman nearby. Even my father is embarrassed by this and he tells me, sternly,
in a low voice, to make sure that my mother does not disturb: my father is not austere

but I don’t know how to act because my mother doesn’t wake up when she falls asleep.
We arrived at Garibaldi Station and I wake it gently so as not to cause damage

moral, involuntarily. – After that, we use a taxi because the service
circulation of public transport has already ended its exercise.

I will always remember this beautiful unusual Sunday, in beautiful condition
and united “away from home”. The next day at work, I talk about our past “situation”.


Summer 1969 and following years:

My fiancé sometimes takes me to Como and, after the wedding, intensifies:
City easy to reach for those who own a car: really, it’s not a chore.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …


LANZO D’INTELVI

Maggio 1963: mio padre insiste perché mia madre
compia una gita con me e mio fratello.

Mia madre dimostra di avere paura: sola, senza mio padre.
Non è mai successo prima, per cui si sente in un “tranello”.

Mio padre insiste: “Non andate mai via. – Fate una gita!
Approfittate per vedere cose sconosciute e nuove!

Almeno, per una volta, uscite dalla solita vita!
Qui, di solito, nessuno mai si muove!”.

Percepisco un motivo, ma non so quale:
non capisco il suo comportamento.

Forse, mia madre ha qualche sospetto: quale?
Io, anni dopo, potrò capire se è “abbagliamento”?.

Non ho ancora 17 anni e mio fratello ne ha 12, dopotutto!
Siamo giovani: è assodato che noi sogniamo

ad occhi aperti. Non possiamo, quindi, conoscere tutto.
Le nostre esperienze, a poco a poco, ce le facciamo.

Ci portiamo la colazione: ciò che manca lo compreremo.
Dal nostro Quartiere, il viaggio in pullman è ben organizzato.

Mia madre si sente sperduta e noi figli la sosterremo.
(Strano: un carattere che, indipendente, è sempre sembrato …).

Con il telescopio panoramico sull’ampio balcone
della Valle scorgiamo, in lontananza, il paesaggio montano,

case, acque del Lago Maggiore, sulla posizione
italo-svizzera il panorama spettacolare del Lago di Lugano.

Il responsabile del gruppo, informa su cosa vedere.
C’è molto , ma sembra che la vista aperta,

si fermi sul Belvedere della Sighignola: di tale Belvedere
il panorama è “una continua scoperta”.

Il “Balcone d’Italia”: nel vecchio Lombardo-Veneto.
Il Museo intelvese dei fossili: interessante.

Santuario della Madonna di Loreto.
Sulla sponda italiana del Lago di Lugano blu-brillante,

sta Villa Fogazzaro: qui, è affacciata
e “un piccolo mondo antico di oggi” viene considerata .

Tardo pomeriggio: la nostra “masnada” è rientrata,
mio padre ci aspettava e la giornata gli è stata raccontata.

Laura

 

 

LANZO D’INTELVI

May 1963: My father insists that my mother
take a trip with me and my brother.

My mother proves she is afraid: alone, without my father.
It’s never happened before, so he feels like he’s in a “trap”.

My father insists: “Never go away. – Take a trip!
Take the opportunity to see unknown and new things!

At least, for once, get out of your usual life!
Here, usually, nobody ever moves!”.

I sense a reason, but I don’t know which one:
I don’t understand his behavior.

Perhaps, my mother has some suspicions: which one?
Years later, will I be able to understand if it is “glare”?.

I’m not 17 yet and my brother is 12 after all!
We are young: it is established that we dream

with open eyes. Therefore, we cannot know everything.
Our experiences, little by little, we make them.

We bring breakfast: what is missing we will buy.
From our District, the bus trip is well organised.

My mother feels lost and we children will support her.
(Strange: a character who, independent, has always seemed …).

With the panoramic telescope on the large balcony
of the valley we see, in the distance, the mountain landscape,

houses, waters of Lago di Maggiore, on the location
between Italy and Switzerland the spectacular panorama of Lake Lugano.

The manager of the group informs about what to see.
There is a lot, but it seems that the open view,

stop at the Belvedere della Sighignola: of this Belvedere
the panorama is “a continuous discovery”.

The “Balcony of Italy”: in the old Lombardo-Veneto.
The Intelvese Fossil Museum: interesting.

Sanctuary of the Madonna of Loreto.
On the Italian shore of the brilliant blue Lago di Lugano,

stands Villa Fogazzaro: here, it overlooks
and “a small ancient world today” is considered .

Late afternoon: our “masnada” has returned,
my father was waiting for us and the day was told to him.

Laura

TURISTICAMENTE, LA REALTA’ NELLA POESIA: nell’Italia di altri tempi, nella Libia di Gheddafi, nella Tunisia di Bourghiba, nel Marocco di Re Hassan II, nella Russia di Eltsin, nella Grecia dopo i Colonnelli, …

 

SACRO MONTE DI VARESE

(Marzo 1962)

 

Io, i miei genitori e mio fratello compiamo una gita:

finalmente, evadiamo un po’ dalla solita vita.

 

Il bambino frequenta la scuola, io e i nostri genitori lavoriamo,

per cui, davvero occupatissimi, ci ritroviamo.

 

Mio padre ha già visto Sacro Monte e il suo Viale

delle 14 Cappelle, complesso con uniformità monumentale.

 

e desidera che ci porti a conseguire una buona conoscenza

di questo luogo sacro che ci dà accoglienza.

 

Situato nel Parco “Campo dei Fiori”, è Santuario, rispettabile

meta di pellegrinaggio con clima aereo apprezzabile.

 

Le Cappelle sono dedicate ai Misteri del Rosario:

praticamente, è la quindicesima Cappella, tale Santuario.

 

Sacro Monte appartiene ai nove Sacri Monti prevalenti

delle Alpi, Patrimonio dell’Umanità: monti attraenti.

 

Artisti hanno lavorato qui: Guttuso, Legnani, Morazzone, …

Il borgo, il monastero, i due musei: tranquillità e istruzione.

 

Nata nel 1909, la funicolare viene ripristinata pochi anni fa,

ma abbraccia la veduta del suo panorama che, a tutti, dà.

 

PARCO CAMPO DEI FIORI-SACROMONTE

(Estate 1972)

 

Questa volta, i turisti siamo io e mio marito

a cui mostro questo bellissimo sito.

 

All’ultimo minuto, ci porta là la nostra decisione:

là dove vediamo le Tre Croci sul Monte, la cui adozione

 

viene pensata come riconoscimento e ricordo

delle Forze Armate e dei Caduti senza Croce, nel Mondo.

 

Un piccolo ristorante: nessun cliente e temperatura fresca.

E’ intitolato alla proprietaria, una signora tedesca,

 

Poi, ci troviamo presso l’Osservatorio Astronomico Schiaparelli.

Mio marito viaggia sempre con la cinepresa: trarrà documentari belli.

 

Purtroppo, il tempo a nostra disposizione è tiranno,

ma le nostre conoscenze molte cose nuove sanno.

 

Laura 



 

 

SACRED MOUNT OF VARESE

(March 1962)    

 

Me, my parents and my brother go on a trip:

finally, let’s escape a bit from the usual life.

 

The child goes to school, my parents and I work,

so, very busy, we meet again.

 

My father has already seen Sacro Monte and its Viale

of the 14 Chapels, complex with monumental uniformity.

 

and he wants it to lead us to good knowledge

of this sacred place that welcomes us.

Located in the “Campo dei Fiori” park, it is a respectable shrine

pilgrimage destination with appreciable air climate.

 

The Chapels are dedicated to the Mysteries of the Rosary:

practically, it is the fifteenth Chapel, this Sanctuary.

 

Sacro Monte belongs to the nine prevalent Sacri Monti

of the Alps, a World Heritage Site: attractive mountains.

 

Artists have worked here: Guttuso, Legnani, Morazzone, …

The village, the monastery, the two museums: tranquility and education.

 

Born in 1909, the funicular was restored a few years ago,

but embrace the view of its panorama which, to all, it gives.

 

FIELD OF FLOWERS-SACROMONTE PARK

(Summer 1972)    

 

This time, the tourists are my husband and I

to whom I show this beautiful site.

 

At the last minute, our decision takes us there:

there where we see the Three Crosses on the Mount, whose adoption

 

it is thought of as acknowledgment and remembrance

of the Armed Forces and of the Fallen without a Cross, in the World.

 

A small restaurant: no customers and cool temperature.

It is named after the owner, a German lady,

 

Then, we find ourselves at the Schiaparelli Astronomical Observatory.

My husband always travels with the camera: he will make beautiful documentaries.

 

Unfortunately, the time available to us is running out,

but our acquaintances know many new things.

 

Laura

TURANDOT di GIACOMO PUCCINI

Opera in 3 atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni (tratto da “Le Mille e un Giorno” di Carlo Gozzi)

Musica di Giacomo Puccini (finale completato da Franco Alfano)

Epoca di composizione: luglio 1920 – ottobre 1924

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano, 25 aprile 1926

Versioni successive: un nuovo finale dell’opera è stato composto da Luciano Berio (2001)

 

Personaggi:   

Turandot, principessa (soprano drammatico)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore drammatico)
Liù, giovane schiava, guida di Timur (soprano lirico)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)

Guardie imperiali – Servi del boia – Ragazzi – Sacerdoti – Mandarini – Dignitari – Gli otto sapienti – Ancelle di Turandot – Soldati – Portabandiera – Ombre dei morti – Folla

 

Interpreti della prima rappresentazione: 

Turandot (soprano) Rosa Raisa
L’Imperatore Altoum (tenore) Francesco Dominici
Timur (basso) Carlo Walter
Calaf (tenore) Miguel Fleta
Liù (soprano) Maria Zamboni
Ping , Gran Cancelliere (baritono) Giacomo Rimini
Pang, Gran Provveditore (tenore) Emilio Venturini
Pong, Gran Cuciniere (tenore) Giuseppe Nessi
Un Mandarino (baritono) Aristide Baracchi

Direttore: Arturo Toscanini

 

Trama: 

Periodo storico: Al tempo delle favole.

Atto I

Un mandarino rende noto alla popolazione l’editto di Turandot che viene emanato quotidianamente, secondo il quale lei sposerà chi “di sangue regio” indovinerà i tre  quesiti alquanto difficili che lei stessa sottopone; chi non ruscirà a risolverli, subirà il taglio della testa al sorgere della luna.

Sotto le  mura della città proibita di Pechino, si ritrovano tre personaggi: sono identificati come Il Principe Ignoto, Timur (Il Re, suo padre) e Liù (la schiava – serva del vecchio re cieco, il cui figlio le aveva sorriso molto tempo prima, sostenendola a sopportare l’esilio per entrambi).

A causa della confusione, Timur cade a terra, Liù chiede aiuto (“Il mio vecchio è caduto”), per cui Calaf interviene, riconoscendo il padre e abbracciandolo commosso.

La folla delira perché vuole una nuova vittima del decreto di Turandot e si esalta maggiormente all’arrivo del boia, inneggiando alla Luna che è identificata quale simbolo mortale che personifica la purezza e la freddezza della Principessa Turandot e i fanciulli cantano una melodia che si ripete nello svolgimento dell’opera (“Là, sui monti dell’Est”), melodia che riguarda l’argomento del Mò-Lì-Hua, ossia il Fiore di Gelsomino: si tratta di una canzoncina cinese che viene intonata anche come ninna-nanna.

Tale folla, però, non è solo aguzzina e diventa anche pietosa, per cui chiede di salvare il giovane condannato che sta passando: Il Principe di Persia.

Il Principe Ignoto desidera fortemente vedere la crudele Turandot che biasima  ma, appena la principessa appare brevemente per avvalorare la condanna, rimane conquistato dalla sua bellezza, come impazzito, per cui è spinto ad affrontare la prova dei tre indovinelli: “O divina bellezza, o meraviglia!“ e per cui vuole suonare il gong per sfidare e conquistare Turandot, rischiando la vita.

A nulla valgono le preghiere sarcastiche e le minacce buffe di tre maschere: i tre dignitari di corte Ping, Pong e Pang, lo trattano sarcasticamente per dissuaderlo, ma Calaf “non sente”.

Liù teme per Calaf (“Signore, ascolta”) e gli si rivolge perché non attui il suo folle proposito, ma non riesce a dissuaderlo: lei non vuole perdere il sorriso che l’ha incantata.

Lui la esorta:  “Non piangere, Liù”. Lo esprime in modo fermo, lucido e, soprattutto, dolce; le raccomanda il padre e si incammina incontro a quanto il Destino ha scritto per lui.

 

Atto II

È notte.

Le tre maschere Ping, Pong e Pang riflettono in modo realistico che, con la loro carica di ministri del regno, sono obbligate a presenziare alle esecuzioni dei martiri di Turandot, ma opterebbero volentieri per la vita tranquilla nelle loro proprietà fuori Pechino, per cui si augurano che un vero amore ponga fine alla sete di sangue della principessa.

Mentre si prepara la cerimonia degli enigmi, l’Imperatore Altoum implora Il Principe Ignoto di rinunciare, ma la cosa è vana.

Quindi, davanti alla reggia, appare Turandot che, nella sua grande scena, dichiara a Calaf il suo comportamento: moltissimi anni prima (“or son mill’anni e mille”), dopo la caduta del regno, la sua ava Lou-Ling era stata rapita e uccisa da un principe straniero per cui, ora, vuole vendicarla del suo candore disonorato, a mezzo della sfida con i principi stranieri che “devono” risolvere i suoi enigmi, per cui la morte è  l’espiazione sanguinaria.

Calaf li risolve correttamente: Turandot, incredula e disperata, implora il padre di difenderla verso lo straniero, ma l’imperatore e il coro le ricordano il giuramento che, sdegnosa, apostrofa il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.

Calaf possiede la grandezza dell’eroe e consente a Turandot di non rispettare il voto per mezzo dell’unica possibilità di indovinare il suo nome prima dell’alba: se tale cosa avverrà, egli morirà come se l’esito della sua vittoria gli fosse sfavorevole.

La sfida viene accettata, mentre si diffonde l’inno imperiale.

Atto III

È notte e aleggia il mistero.

Le guardie cercano minuziosamente nei giardini in cerca di informazioni e  gli araldi consegnano il nuovo ordine della principessa che impone che “Questa notte, nessuno dorma, in Pechino, pena la morte; il nome dell’ignoto sia segnalato prima del mattino!”.
Calaf è sicuro di vincere e canta la famosa aria “Nessun dorma”.

Ping, Pong e Pang, gli comandano di arrendersi alla sfida, che si accontenti di avere vinto  gli enigmi e parta per non tornare mai più, ma egli rifiuta offerte di denaro, donne e gloria. Calaf ha vinto, ma vuole vincere anche sull’orgoglio e sull’odio interiore di Turandot. Vuole vincere il suo gelo interiore a causa di un crimine vecchissimo. E’ sicuro di vincere.

Mentre aspetta l’alba, Calaf comincia a ritrovarsi in una specie di angoscia perché Liù e Timur che, poche ore prima, erano stati notati assieme a lui, vengono condotti in presenza di Turandot e dei  tre ministri.

Liù, decisamente, afferma di essere l’unica a conoscere  il nome del principe Ignoto e, pur venendo torturata, non cede, per cui – di fronte a tanta stabilità morale – Turandot le chiede come possa sopportare una prova atroce.

Liù risponde soavemente: “Principessa, l’Amore”.

Nonostante la sua glacialità, Turandot rimane turbata, ma si controlla e ordina ai tre ministri di scoprire il nome dell’Ignoto: costi quel che costi.

Liù, sa che non riuscirà a sopportare ancora per molto e, di sorpresa, strappa un pugnale ad una guardia e si uccide.

Timur, cieco, non comprende l’accaduto e, quando Ping gli rivela la verità, abbraccia Liù, il cui corpo viene condotto via seguito dalla folla in preghiera.

Turandot e Calaf restano soli e il principe è alterato verso la principessa, per avere causato troppo male provocato dalla sua rabbia: Turandot, un essere privo di sentimenti (“Principessa di Morte”), ma Calaf si fa riprendere dall’amore di cui non sa liberarsi.

E’ respinto da Turandot che, poi, ammette che la prima volta che lo ha visto lo ha temuto, ma che ormai è schiava della passione, che li porta ad un bacio caloroso.

Ma, essendo orgogliosa, implora Calaf di non umiliarla. Calaf le rivela il suo nome  e la sua vita è nelle mani di lei: Calaf, figlio di Timur.

Il giorno dopo, una folla immensa è radunata davanti al palazzo imperiale e si odono gli squilli delle trombe.

Turandot dichiara a tutti il nome dello straniero: ” Il suo nome è Amore”.

Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.

 

Brani celebri:      

Atto I

Gira la cote! (coro del popolo e degli aiutanti del boia)

Perché tarda la luna? Invocazione alla luna (coro)  Là sui monti dell’est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua).
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liù!, romanza di Calaf  Concertato finale

 

Atto II

Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena degli enigmi

Atto III

Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore, segreto e inconfessato – Tu che di gel sei cinta, aria (in due parti) e morte di Liù
Liù, Liù sorgi…Liù bontà, Liù dolcezza, aria di Timur


Discografia e Incisioni note:

Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli, Luciano Neroni, Afro Poli  Franco Ghione Warner Fonit

Inge Borkh, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena       Alberto Erede   Decca Records

Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola Zaccaria, Mario Borriello           Tullio Serafin            EMI Classics

Birgit Nilsson, Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni         Erich Leinsdorf RCA Victor

Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Guido Mazzini    Francesco Molinari Pradelli            EMI Classics

Joan Sutherland, Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta     Decca Records

Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul Plishka, Vicente Sardinero         Alain Lombard EMI Classics

Katia Ricciarelli, Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik     Herbert von Karajan Deutsche Grammophon

Eva Marton, Margaret Price, Ben Heppner, Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone   Roberto Abbado            RCA Victor

 

Registrazioni dal vivo:  

Birgit Nilsson, Anna Moffo, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti Leopold Stokowsky Metropolitan New York

Birgit Nilsson, Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria    Francesco Molinari Pradelli       Wiener Staatsoper

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Roberto Scandiuzzi           Daniel Oren      Teatro Margherita

Giovanna Casolla, Katia Ricciarelli, Lando Bartolini, Sergio Fontana     Rico Saccani     Avenche, Arena – CASCAVELLE CD

Giovanna Casolla, Masako Deguci, Lando Bartolini, Francisco Heredia, Javier Mas, Vicenc Esteve            Alexander Rahbari        Malaga, 2001 – NAXOS CD

Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina           Keri Lynn Wilson          Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini

Maria Guleghina, Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey         Andris Nelsons Metropolitan Opera House

 

DVD: 

Eva Marton, Katia Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart  Lorin Maazel     TDK

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco  Maurizio Arena NVC Arts

Eva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka       James Levine   Deutsche Grammophon

Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej Larin, Carlo Colombara        Zubin Mehta     Warner Classics

Giovanna Casolla, Sandra Pacetti, Nicola Martinucci, Simon Yang         Carlo Palleschi  EMI

Maria Guleghina, Salvatore Licitra, Tamar Iveri, Luiz-Ottavio Faria        Giuliano Carella            Bel-Air Classiques

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:
 

L’Opera, intesa come Buona Musica, non può cambiare, perché è sacrosanta, straordinaria, eterna; però, come tutto, ha subito cambiamenti attraverso il tempo.

I grandi compositori che vi si sono avvicendati si chiamano Mozart, Beethoven, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini, Donizetti, Ciaikovskij, …

L’Italiano è stato la lingua dei libretti dell’Opera Lirica (nata in Italia) anche dei compositori stranieri che, in seguito, traducevano nella propria lingua (soprattutto, Mozart).

Però, tale “potere di supremazia” si è ridotto, per cui i libretti vengono scritti in varie lingue.

Puccini vuole migliorare e raggiungere un rinnovamento incisivo autorevole e rispettato, per cui così scrive: < Rinnovarsi o morire? L’armonia di oggi e l’orchestra non sono le stesse … io mi riprometto, … se trovo il soggetto di far sempre meglio nella via che ho preso, sicuro di non rimanere nella retroguardia >.

Quindi, Turandot, soggetto fiabesco (cosa Insolita per lui)   E’   la sfida di Puccini verso sé stesso: decide che sarà la sua opera più rappresentativa e originale, con pagine vive e ricche di ispirazione.

Puccini, uno dei più grandi operisti, da persona unica e riflessiva, affronta ogni suo lavoro emotivamente con un’applicazione, un interesse, un attaccamento e una cura come li hanno pochi: anzi, Puccini è un compositore ineguagliabile.

L’opera “un po’ allegorica” TURANDOT è una fiaba ma, contemporaneamente, contiene un dramma reale perché presenziano le uccisioni dei principi che non sanno risolvere i tre enigmi (fra cui, il Principe di Persia) e il suicidio di Liù.

Infatti, fin dall’inizio dell’opera, nonostante le melodie esotiche e solenni ci introducano nella magica “epoca delle favole”, si percepiscono la potenza, la crudeltà, l’arcano, portando alla tristezza della tragedia.

 

Nel I atto dell’opera Turandot di Puccini, la popolazione inneggia alla Luna che, da sempre, ha affascinato tutti attraverso il cielo, la Scienza e la Poesia: la luna ci ha sempre offerto fenomeni fantastici come la Luna Bianca, la Luna Rossa, la Luna Blu, la Luna Grande, l’eclissi.

E, sempre in Turandot, la storia d’amore inizia solo al termine dell’opera, ma è doveroso ricordare che, chi propone a Puccini di trarre un’opera da una fiaba, è il giornalista e scrittore teatrale veneziano Renato Simoni che punta alla capacità del lavoro di dimostrare la < inverosimile umanità del fiabesco >, lavoro per cui lo stesso Puccini è entusiasta e riesce a mettere in evidenza la grande tragicità di Turandot.

Pur essendo un’opera-fiaba “allegorica”, trasmette l’esempio fermo della competizione attraverso il dualismo maschile-femminile, giorno-notte, vita-morte, …

Turandot e Calaf significano la “guerra” fra la donna e l’uomo, arrivando al “compromesso” dell’Amore.

Oltre ad essere “l’opera del Mistero” e delle contraddizioni.

Affascinante, senza dubbio, mentre provoca interrogativi e riflessioni in chi la segue mentalmente: gli enigmi e lo scoprire il nome del Principe Ignoto, l’adozione da parte di Turandot dei segni bianco e nero (positivo e negativo), Turandot e la sua personalità, l’Amore, il finale dell’opera; tutti misteri da chiarire.

“Qui termina la rappresentazione perchè a questo punto il Maestro è morto”.

E’ il 25 aprile 1926.

Chi pronuncia queste parole è Arturo Toscanini che appoggia la bacchetta e interrompe  lo svolgimento della prima rappresentazione di “Turandot” di Puccini perché il Maestro l’ha  composta completamente fino alla morte di Liù, la fanciulla che, portata a spalle fra le quinte, personifica uno dei personaggi-simbolo femminili  pucciniani.

Il finale di Alfano presenzia nelle rappresentazioni delle sere seguenti, ma la direzione è di Ettore Panizza perché  Toscanini non dirigerà mai più l’opera.

Puccini compone il coro funebre per Liù e, secondo qualcuno, raggiunge “il massimo splendore della sua musica”, ma non continua perché, secondo lui, l’opera è ultimata.

Però, dopo la morte del compositore, in effetti, Turandot ha due finali: Alfano I e Alfano II.

Il secondo, in realtà, dovrebbe imputarsi a Toscanini, visti i suoi robusti interventi nelle parti da eseguire per terminare i passi dell’opera: questo breve finale si dirige velocemente verso il lieto fine che conclude l’opera; finale che abbiamo sempre ascoltato.

Nel 2001, si ha un nuovo finale di Turandot per merito di Luciano Berio (1925 – 2003) che  ha cercato di scovare il più possibile lo spirito e le intenzioni originarie di Puccini dai suoi appunti, per cui, nel suo finale, il suo stile viene evidenziato.

Non è da dimenticare la versione del 1988 (mai eseguita) della studiosa statunitense Janet Maguire.

Per alcuni studiosi, l’opera resta incompiuta per l’impossibilità psicologica di Puccini di spiegarsi la trasformazione finale della fredda e sanguinaria Turandot in una donna capace di nutrire amore: il “bolide luminoso” di Puccini doveva trasformare la principessa “da dea assetata di sangue a donna innamorata e umana”.

Turandot, UN CAPOLAVORO ARTISTICO E MUSICALE per cui  Puccini ha capito molto bene “La passione amorosa di Turandot che, per tanto tempo, ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio”.

E’ EVIDENTE CHE PUCCINI HA VOLUTO COMPIERE UN MIRACOLO PSICOLOGICO DI GRANDE VALORE.

FORSE, HA PRECORSO UN PO’ LA FANTASCIENZA.

 

Calaf: 

L’alba dissolve le tenebre: questo esempio rappresenta Calaf.

Contrariamente alle altre sue opere, Puccini, qui, rende fortissimo il personaggio maschile attraverso il trionfo dell’Amore, il trionfo della Vita.

Calaf è il simbolo dell’Amore sotto vari aspetti, soprattutto dell’Amore verso il Prossimo: addirittura, da vincitore e con signorilità, non vuole che Turandot sia obbligata a concedersi e le rivela il suo nome, rischiando di perdere la vita.

Calaf vuole vincere l’orgoglio e l’odio della sadica principessa, vuole vincere il suo freddo scudo di autodifesa e continua anche dopo che Turandot, malvagiamente, lo nota “sbiancato dalla paura” e  prosegue, volendo provocare nella principessa il senso dell’amore e della vita sulle cose cattive.

Non è tanto la ragione logica che lo guida, ma i suoi impulsi ed emozioni equilibrati, unitamente al sacrificio di Liù: “L’Amore è un valore intenso e un sapere”.

Mentre aspetta l’alba, Calaf  vede trascinati, presso la principessa, suo padre Timur e Liù.

Liù è coraggiosa e non volendo fare soffrire Timur, dichiara di essere la sola a conoscere il nome del Principe Ignoto e, nonostante la tortura, rimane ferma sul suo comportamento, suscitando la curiosità di Turandot che le chiede come possa superare tale prova tremenda e priva di speranza.

Nasce, quindi, il paragone fra le personalità di Liù e Turandot che genera una specie di sfida fra la schiava remissiva e Turandot, non disposta a cedere e con un carattere insolito per un personaggio pucciniano: infatti, Puccini vuole “nuovi” personaggi per la sua musica “nuova”.

Calaf viene circondato dalla folla, con in testa, i tre Ministri Ping-Pong-Pang che lo vogliono persuadere di lasciare perdere tutto e di salvarsi assieme a Timur e a Liù.

Però, Calaf è un eroe nato e rifiuta tutto ciò che gli viene offerto, implorando l’alba per trionfare sulla freddezza di Turandot.

 

Liù: 

Risulta evidente che Puccini, mago del canto intenso interiore, è attratto dai personaggi femminili giovani che rinunciano alla vita lasciandosi andare o suicidandosi per amore, destando nello spettatore commozione (in Psicologia, sicuramente, freddamente, sarebbero definiti paranoici o delusi depressi).

Liù, pur essendo innamorata “lucida” fino alla follia, attraverso la romanza “Tu che di gel sei cinta da tanta fiamma avvinta, l’amerai anche tu”,  è consapevole che morirà perché la principessa si arrenderà al principe ignoto.

Oltre all’amore sentimentale, Liù NON vuole vedere il suo principe amare un’altra e si uccide col pugnale sottratto velocemente ad una guardia, provocando stupore, commozione e pietà.

Liù, piccola grande donna costruita sull’esempio sacrificale di Ciò-Ciò-San, è solo una piccola schiava, sottomessa e semplice, ma è coerente, dignitosa, decisa; rappresenta l’Amore purissimo: infatti, generosamente, muore affinché il suo principe possa essere felice amando un’altra.

Non si trova sulla stessa altezza di Turandot ma, prima di uccidersi, si rivolge a Turandot come se fosse tale e, per pochi attimi, la sua personalità si trova effettivamente sullo stesso livello di quello della principessa: infatti, la distanza sociale e di temperamento sono come annullate.

Anzi, più precisamente, per pochi istanti la personalità di Liù domina addirittura quella di Turandot, in quanto  il suo interiore è proprio di una persona che SA amare il Prossimo, a differenza di Turandot.

Che Liù dia prova suprema, sacrificando la propria vita in presenza di Turandot, è lampante e lo dimostra riconoscendo che la forza del suo amore le viene attraverso “Tanto amore segreto, e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore…”.

Questo lascia la principessa smarrita perché non capisce come una umile schiava possa amare “l’uomo, il nemico del genere femminile”, fino a perdere la vita per lui (dopo la decisione presa già da tempo da Liù di esprimere che lei sola conosce il nome del Principe Ignoto).

Non capisce visto che Liù non ha più speranza dal momento che Calaf ama Turandot: Turandot che dimentica che suo padre E’ UN UOMO e sua madre l’ha partorita GRAZIE AL SEME DI UN UOMO.

Infatti, Liù, fanciulla dolce, umile, con abnegazione, essere umano ed eroina romantica, cede alla disperazione perché non vuole vedere la vittoria di Turandot e non sopporta di vedere il “suo” Principe fra le braccia di un’altra, per cui – nonostante lo voglia felice – preferisce morire: “Io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora… per non… per non vederlo piu!”.

La sua morte contribuisce notevolmente al “disgelo” di Turandot: Il suo amore verso tutto e tutti rinasce in Turandot, come una reincarnazione.

Ci si affeziona al personaggio di Liu’ perché LIU’ È IL SIMBOLO DELL’AMORE e DELLA BONTÀ.

 

Turandot: 

La luna rappresenta Turandot, la bellissima, arida, crudele e distruttriva Principessa: candida, idealmente distante, con la sensazione di freddezza.

E’ talmente bella che riesce ad illuminare tutto e tutti, pur rappresentando la Morte, l’Egoismo, il Narcisismo, la Superiorità  e la Pazzia.

Turandot UCCIDE per reazione ad un forte TRAUMA: nella sua grande aria, Turandot rende noto che ha ideato i tre quesiti per i prìncipi che vorrebbero sposarla.

Il motivo è una conseguenza a quanto successo “or son mill’anni e mille” ad una sua ava, Lo-u-Ling, una principessa sovrana preda del Re dei Tartari e da lui violentata e uccisa.

Il momento particolare è ripetuto ed evidenziato sulla sua morte per volere di un uomo, “simbolo del male” e, in particolare, sul grido dell’ava dove rivive il momento tragico.

Per cui, la frustrata Turandot, esprimendo la sua inflessibilità, vendica quella morte e ammonisce il Principe Ignoto che, se non risolve i tre enigmi, morirà: “Gli enigmi sono tre, la morte è una!“.

Ma il Principe Ignoto, idem inflessibile, risponde “Gli enigmi sono tre, uno è la vita!“.

Qui, interiormente, volendo imporsi l’una sull’altro, il conflitto e la competizione dei due risultano forti.

Il Principe Ignoto risolve esattamente gli enigmi, Turandot è vinta e “annaspa”, invocando l’aiuto di suo padre, l’Imperatore, per non essere data ad uno straniero.

Le viene risposto che deve rispettare il giuramento: Turandot, adirata e arrogante, si scaglia contro il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.

Il Principe Ignoto possiede una grande generosità d’animo che gli consiglia di rifiutare un’eventuale situazione, per cui sfida Turandot ad indovinare il suo nome prima dell’alba: in caso positivo per Turandot, egli morirà come se fosse stato sconfitto.

Turandot accetta e l’Imperatore è oggetto di plauso dalla folla.

Compulsività di Turandot?

Apro una parentesi per citare che si sono verificati casi, nella nostra società moderna, dove alcune persone se la prendono con chi non c’entra, ma solamente perché appartengono ad una categoria di esseri viventi: ad esempio, anni fa, una donna aveva fatto sesso con un uomo, in una stanza d’albergo, dopodiché – prima di andarsene e prima che l’uomo si svegliasse – ha scritto a mezzo di rossetto, sullo specchio: “Sono malata di AIDS”.

Questo è stato un modo reattivo (sicuramente, compulsivo e seriale) di vendicarsi di un uomo che l’aveva fatta soffrire: chissà con quanti altri se l’è presa!

Turandot è incuriosita dalla tenacia con cui Liù, socialmente inferiore a lei, sostiene la sfida di Calaf e, per la prima volta, tocca l’argomento Amore percependo che esiste un sentimento più forte della sua rabbia in corpo attraverso la risposta struggente della schiava che possiede un amore purissimo e sacrificale.

Subito dopo la morte di Liù, durante il lamento funebre, Calaf, in preda al furore, quasi aggredisce Turandot e la costringe a vedere il sangue sparso da Liù, la costringe a scendere “sulla Terra” dal suo “tragico cielo” in cui si è “autoriparata”.

Lei si sente spiazzata dal comportamento di Calaf, per cui gli fa presente la sua superiorità: “Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura”.

Ma il principe, subito, passa al bacio, “profanandola” e provocando la caduta della sua ritrosia che annulla  per sempre la parte avversa di Turandot: “Che è mai di me? Perduta!”.

Psicologicamente, “la nuova Turandot” nasce dalla liberazione dal suo odio e dal suo gelo emotivo attraverso la reazione positiva ai suoi sentimenti negativi e dalla morte di Liù che le parla e si uccide.

Calaf riesce nel suo scopo unendo – psicologicamente – il comando alla sua gentilezza d’animo quando “lo scudo di autodifesa” di Turandot si allenta, constatando che “Il gelo tuo è menzogna!” perché è pronta alla conversione della nuova personalità-nuova nascita, per cui Calaf canta “Mio fiore mattutino …”.

Psichicamente, Turandot è nata essere normale, ma un forte trauma l’ha trasformata in un mostro umano perché è complessa, è devastante, per cui rappresenta il Nulla.

E’ un personaggio con la mente scura, ermetica per cui, da psicologicamente fragile e sbilanciata, per lei, l’amore è violenza e terrore, verso il quale prova rigetto e rifiuto interiori.

Ma, attraverso il bacio di Calaf, il ghiaccio di Turandot viene sciolto: Calaf le rivela il proprio nome nel culmine intenso del momento, consegnando la sua vita a lei.

Turandot rivela all’imperatore e alla folla che il nome dello straniero è Amore, sortendo l’effetto di una grande felicità.

 

TURANDOT E’ UN PERSONAGGIO INTERESSANTE CHE INTRIGA MOLTO.

 

Timur:

Vecchio re spodestato, senza più patria, costretto ad errare.

Affezionato a Liù, ossia “i suoi occhi”, rimane addoloratissimo quando muore: “Apri gli occhi, Colomba”.

Vivrà con Calaf, nella reggia, ma i suoi giorni saranno alquanto tristi senza la sua Colomba.

Battuto al computer da Lauretta

 

CORO DEL POPOLO E DEGLI AIUTANTI DEL BOIA, “GIRA LA COTE!”:

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ZUBIN MEHTA dirige il CORO “PERCHE’ TARDA LA LUNA?”:

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CORO “LA’, SUI MONTI DELL’EST” (melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua):

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “SIGNORE ASCOLTA”:

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Il tenore FRANCO CORELLI canta “NON PIANGERE, LIU’”:

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Guido Mazzini (Ping) Franco Ricciardi (Pang) Piero de Palma (Pong) cantano il TERZETTO DEI MANDARINI, “HO UNA CASA NELL’HONAN”:

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SECONDA PARTE DEL SECONDO ATTO con LA GRANDE ARIA DI TURANDOT (“IN QUESTA REGGIA”):

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “NESSUN DORMA”:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “TANTO AMORE SEGRETO E INCONFESSATO … TU CHE DI GEL SEI CINTA”:

 

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SCENA FINALE:

IL TRITTICO PUCCINIANO: GIANNI SCHICCHI

 

Gianni Schicchi è un’opera comica in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano (avvocato-giornalista-drammaturgo-regista-librettista) basato su un episodio del Canto XXX dell’Inferno della “Divina Commedia” di Dante.

E’ la terza opera appartenente al “Trittico”.

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan” di New York, 14 dicembre 1918.

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma: 11 gennaio 1919.

 

Personaggi:

Gianni Schicchi, 50 anni (baritono)
Lauretta, sua figlia, 21 anni (soprano)
Zita detta “La Vecchia”, cugina di Buoso, 60 anni (contralto)
Rinuccio, nipote di Zita, 24 anni (tenore)
Gherardo, nipote di Buoso, 40 anni (tenore)
Nella, sua moglie, 34 anni (soprano)
Gherardino, loro figlio, 7 anni (soprano)
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile (basso)
Simone, cugino di Buoso, 70 anni (basso)
Marco, suo figlio, 45 anni (baritono)
La Ciesca, moglie di Marco, 38 anni (mezzosoprano)
Maestro Spinelloccio, medico (basso)
Messer Amantio Di Nicolao, notaro (baritono)
Pinellino, calzolaio (basso)
Guccio, tintore (basso)


Personaggi e interpreti principali della prima rappresentazione, a New York: 

Gianni Schicchi (baritono) Giuseppe De Luca
Rinuccio (tenore) Giulio Crimi
Lauretta (soprano) Florence Easton
Gherardo (tenore) Angelo Badà
Zita (mezzosoprano) Kathleen Howard

 

Segnalazione della collocazione nel repertorio: 

Nel Trittico, nonostante Puccini decida che le tre opere vengano sempre rappresentate assieme e mai con  altre, da subito, Gianni Schicchi miete il maggiore successo, specialmente venendo rappresentata con opere come “Una tragedia fiorentina” di Alexander von Zemlinsky o “Alfred, Alfred” di Franco Donatoni.

 

Trama: 

Epoca storica: 1299.

Buoso Donati, è deceduto e, nella sua vita di mercante, ha accumulato ricchezze.

I suoi parenti NON vogliono perdere tale capitale: infatti, Buoso lascia suo erede il vicino Convento di frati di Santa Reparata, ignorando i parenti che chiamano Gianni Schicchi, fornito di arguzia e intuizione, affinché li salvi, nella circostanza.

La famiglia Donati, famiglia aristocratica fiorentina, si è sempre mostrata altezzosa verso di lui, uomo della <gente nova> (ossia, “un arricchito”) per cui, subito Schicchi rifiuta di dare il suo aiuto.

Sua figlia Lauretta, è innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati e, nella romanza «O mio babbino caro», lo prega di ripensarci e di trovare una soluzione.

Nessuno sa che Buoso è deceduto, per cui Gianni Schicchi fa trasportare la salma nella camera confinante, dopodiché lui si infilerà nel letto, imiterà la voce di Buoso e detterà il falso testamento al notaio che giungerà, là.

Per “regolarità”, Schicchi fa presente ai parenti di Donati che rispetterà le aspirazioni di ognuno però ricorda l’inflessibilità della legge, che condanna all’esilio e al taglio della mano <chi fa sostituzione di persona in testamenti e lasciti, compresi i suoi complici >:

«Addio Firenze, addio cielo divino
io ti saluto con questo moncherino
e vo randagio come un Ghibellino»

Schicchi lascia al notaio gli ultimi propositi e, una volta dichiarato di lasciare i beni più preziosi (ossia, “la migliore mula di Toscana, l’ambita casa di Firenze e i mulini di Signa” al suo “caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi”), i parenti protestano urlando rabbiosamente.

Per cui Schicchi li zittisce canticchiando il “motivo dell’esilio”, agitando la mano a mo’ di moncherino e li caccia dalla casa, ormai sua.

Sul terrazzino, Lauretta e Rinuccio si abbracciano e ammirano lo scenario, ricordando l’inizio del loro amore.

Gianni Schicchi sorridendo gradisce con attenzione la loro felicità, soddisfatto dalla sua stessa sottigliezza.

 

Incisioni più note con: 

José van Dam, Angela Gheorghiu, Roberto Alagna
Juan Pons, Cecilia Gasdia, Jurij Marusin
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Andrea Giovanni
Leo Nucci, Nino Machaidze, Vittorio Grigolo

 

Brani famosi: 

Firenze è come un albero fiorito (Rinuccio)
O mio babbino caro (Lauretta)
Ah! che zucconi! (Gianni Schicchi)
Addio, Firenze, addio cielo divino … (Gianni Schicchi)
Lauretta mia, saremo sempre qui (duetto finale Rinuccio-Lauretta)
Ditemi voi, signori, se i soldi di Buoso potevano finire meglio di così … (Gianni Schicchi, finale).

 

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Unica opera comica di Puccini – con melodie molto orecchiabili – è anche quella che desta maggiore simpatia, nel “Trittico”.

Il capitale di Buoso Donati è destinato al Convento dei Frati di Santa Reparata che, unicamente per informazione – odiernamente – si festeggia l’8 di ottobre.

Però, i parenti NON intendono perdere tale capitale e, da bravi rapaci, si muovono per trovare una soluzione che li accontenti assieme al loro disprezzo verso il merito della vita e il dramma luttuoso della morte.

Il nipote Rinuccio, interessato ad avere la sua parte per potere sposare Lauretta Schicchi, convince tutti i presenti dell’aiuto che lo stesso Gianni Schicchi può dar loro, esprimendo un inno a Firenze, Culla dell’Arte, e alle zone circostanti che sono vere bellezze della Natura: “Avete torto! … Firenze è come un albero fiorito …”.

Gianni Schicchi rifiuta; Lauretta e Rinuccio sono delusi e disperati per non potersi sposare al Calendimaggio.

Ma la donna, in genere, è capace di essere scaltra, per cui – psicologicamente – Lauretta attua il “ricatto morale” al padre: “O mio babbino caro …”.

Idem, psicologicamente, a questo punto, Schicchi accetta di risolvere il problema; risoluzione che diventerà una vera beffa rivolta agli eredi del Donati.

Per cui, Schicchi è condannato da Dante nella bolgia dei falsari per “falsificazione di persona”, ossia per aver imbrogliato gli altri prendendo il posto di Buoso Donati, il Vecchio.

Infatti, quest’opera è tratta dal canto XXX dell’Inferno dove si racconta del protagonista, inserito da Dante nella bolgia dei falsari:

“E l’Aretin che rimase, tremando/ mi disse: ”< Quel folletto è Gianni Schicchi/ e va rabbioso altrui così conciando … Questa a peccar con esso così venne,/falsificando sé in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne,/per guadagnar la donna de la torma,/falsificare in sé Buoso Donati,/testando e dando al testamento norma

(E Griffolino d’Arezzo, unico rimasto, tutto tremante, mi disse: “Quello spirito furioso è Gianni Schicchi, e va in giro così arrabbiato conciando in tal modo gli altri”…ella arrivò a commettere atti peccaminosi con lui, camuffandosi in un’altra donna, come fece anche l’altro, Gianni Schicchi, che se ne fugge da quella parte, che osò, per riuscire ad ottenere la più bella cavalla della mandria, fingere di essere Buoso Donati, dettando le norme al notaio e rendendo così legale il testamento”) >.

Molto bello il finale di Gianni Schicchi, dove il protagonista respira di sollievo perché “la masnada” se ne è andata, finalmente, mentre Rinuccio e Lauretta rivedono “la Firenze d’oro” e “la Fiesole bella” seguiti dallo sguardo di Schicchi lieto della loro felicità a cui ha contribuito notevolmente, per cui evidenzia di essere stato “cacciato” all’Inferno: “E così sia”.

… e continua nella sua riflessione-constatazione: “Ma con licenza del gran padre Dante, se stasera vi siete divertiti, concedetemi voi l’attenuante”.

Già: per Puccini, la terza cosa importante era proprio quella di fare ridere il pubblico.

Battuto al computer da Lauretta

 

VIDEO DELL’OPERA COMPLETA (edizione anno 1983) diretta da BRUNO BARTOLETTI presso il MAGGIO MUSICALE FIORENTINO.

Cantano:

Gianni Schicchi: Rolando Panerai
Lauretta: Cecilia Gasdia
Zita: Anna Di Stasio
Rinuccio: Alberto Cupido
Betto di Signa: Leonardo Monreale
Simone: Italo Tajo
Amantio di Nicolao:  Franco Calabrese

IL TRITTICO PUCCINIANO: SUOR ANGELICA

 

Opera in 1 atto su Libretto di Giovacchino Forzano, musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma, 11 gennaio 1919, diretta da Gino Marinuzzi, con Gilda Dalla Rizza alla presenza del compositore che ha aggiunto l’aria “Senza mamma” che, in seguito, diverrà famosa.

 

Personaggi: 

Suor Angelica (soprano)
La zia principessa (contralto)
La badessa (mezzosoprano)
La suora zelatrice (mezzosoprano)
La maestra delle novizie (mezzosoprano)
Suor Genovieffa (soprano)
Suor Osmina (soprano)
Suor Dolcina (soprano)
La suora infermiera (mezzosoprano)
Le cercatrici (soprani, coro)
Le novizie (soprani, coro)
Le converse (soprano e mezzosoprano, coro)
Coro interno di donne, ragazzi e uomini

Seconda opera appartenente al “Trittico”, le interpreti della prima rappresentazione sono Geraldine Farrar, Flora Perini e Minnie Egener.

E’ composta solo da personaggi femminili, mentre le voci maschili si odono solo alla fine, nel coro di angeli che portano suor Angelica in Cielo.

Fra le tre opere che compongono il Trittico, è la preferita da Puccini.

Il 1º maggio 1917, a mezzo di lettera, Puccini scrive a Pietro Panichelli (un frate domenicano, suo amico) che – dopo averlo aiutato per le capacità religiose dei suoni di “Tosca” – lo potrebbe aiutare anche qui: «Scrivo un’opera claustrale o monacale. Mi occorrono dunque diverse parole latine ad hoc. La mia scienza non arriva fino… al cielo vostro».

Puccini è molto legato alla sorella Iginia, la quale è Madre Superiora nel Convento delle Monache Agostiniane della frazione di Vicopelago di Lucca.

Lì, Puccini esegue l’opera al pianoforte facendola ascoltare a lei e alle monache, che provano una viva commozione.

Per scrivere quest’opera, Puccini si avvale dell’aiuto della sorella che lo porta a conoscenza di come si svolge la vita nel convento; conoscenza che riporta fedelmente in questo suo lavoro tutto femminile.

 

Trama: 

Monastero presso Siena: fine del 1600.

Suor Angelica conduce la vita monastica da sette anni: la sua famiglia aristocratica gliel’ha imposta a causa dell’avere commesso un “peccato d’amore”.

Il bambino – appena nato – le viene strappato forzatamente e muore dopo cinque anni, ma Angelica non lo sa ancora.

La zia principessa, persona molto fredda e lontana, arriva in parlatorio per comunicare ad Angelica che NON l’ha raggiunta allo scopo di “perdonarla”, ma per pretendere la rinuncia della sua parte patrimoniale per darla in dote alla sorella minore Anna Viola che si sposerà abbastanza presto.

Angelica ricorda la sua vita passata e, con l’occasione, si rivolge alla zia chiedendo notizie del suo bambino in modo persistente.

Anaffettivamente, la zia le annuncia che, da oltre due anni, il piccolo è morto, a causa di una malattia seria.

Angelica tracolla a terra, mentre la vecchia zia, ipocritamente, rende nota una preghiera silenziosa, e si allontana dopo poco che ha ottenuto la firma di rinuncia, mentre, nella suora disperata, si consolida il conseguenziale desiderio acuto e folle di raggiungere il suo bambino, per essere con lui, per sempre, nella morte.

Per cui, durante la notte, Suor Angelica, esperta in erboristeria, si reca nell’orto del monastero dove raccoglie le erbe per preparare una bevanda letale.

Ne beve pochi sorsi, dopodiché è assalita dal terrore perché si rende conto di essere in peccato mortale, per cui si rivolge alla Vergine affinché le mostri un segno di grazia.

Il miracolo avviene: appare la Madonna che incoraggia il bambino ad andare fra le braccia stese della povera mamma in fin di vita che emette l’ultimo respiro.

 

Brani celebri: 

Ave Maria (coro)
Il principe Gualtiero vostro padre … Nel silenzio di quei raccoglimenti (duetto tra la Zia Principessa e Suor Angelica)
Senza mamma (romanza di Suor Angelica)
Ah, son dannata! (finale)

 

Incisioni più note con: 

Victoria de Los Ángeles, Renata Tebaldi, Katia Ricciarelli, Renata Scotto, Joan Sutherland, Lucia Popp, Mirella Freni, Amarilli Nizza, Barbara Frittoli.

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Dei tre atti unici del “Trittico”, Puccini ama “Suor Angelica” più degli altri due perché riguarda il particolare tipo di Amore della protagonista, ossia il grande sentimento di rinuncia e di sacrificio.

La caratteristica di Suor Angelica è di essere differente dalle altre protagoniste pucciniane che amano colpevolmente, altruisticamente o illusoriamente, ma riescono a gestire la propria vita.

Però lei E’ COSTRETTA a NON amare perché NON le è permesso, dal momento che è segregata in convento dove espia la “COLPA” commessa alcuni anni prima Per Avere Amato Veramente.

Purtroppo, secondo le regole dell’epoca, la donna era trattata come un oggetto e punita, NON tenendo conto del suo valore di DONNA sotto tanti aspetti: rischiare la propria vita per crearne un’altra, prendere su di sé il fardello della famiglia, …

Il dolore di Suor Angelica è il dolore di una giovane madre che ha perso il suo bambino da ben due anni e non sa niente perché la zia Principessa “comanda”, “dispone”.

Infatti, la zia Principessa non è empatica e ha il grande desiderio di “risolvere la rinuncia ai beni” da parte di Angelica in favore della sorella Anna Viola: usanze del tempo, d’accordo, ma che definiscono UNA GRAVE OFFESA ALLA DIGNITA’ PERSONALE di Angelica e, chiaramente – di riflesso – della DONNA, in genere.

Oggi, si può sporgere denuncia per avere la tutela da parte della Legge, per fortuna.

Tornando ad Angelica: CHI la tiene in vita è la sua personalità materna con il relativo istinto-amore, fino allo scattare della “molla” che – a causa di quanto le viene rivelato dalla zia Principessa – la fa riflettere sulla fine del suo bambino e le fa scatenare la decisione di raggiungerlo, in Paradiso.

Infatti, poco prima di morire, la straziata Angelica ha l’esaltazione mistica secondo la quale si esprime così:

. La grazia è discesa, dal cielo – già tutta già tutta m’accende – Risplende! Risplende! Risplende!

. . . . .

. Addio, buone sorelle, addio, addio! – Io vi lascio per sempre. – M’ha chiamata mio figlio!

. . . . .

. Addio, chiesetta! In te quanto ho pregato! – Buona accoglievi preghiere e pianti. – È discesa la grazia benedetta! – Muoio per lui e in ciel lo rivedrò!

 

Angelica NON E’ UNA PERDENTE perché vivrà sempre col suo bambino.

Opera davvero delicata, possiede l’intermezzo che, assieme a quello di Manon Lescaut, si trova fra i più belli composti da Giacomo Puccini.

Battuto al computer da Lauretta

Il soprano JOAN SUTHERLAND canta “AVE MARIA e CORO”:

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Il soprano RENATA TEBALDI e il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO cantano il duetto “IL PRINCIPE GUALTIERO, VOSTRO PADRE … NEL SILENZIO DI QUEI RACCOGLIMENTI”:

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HERBERT VON KARAJAN dirige l’INTERMEZZO:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “SENZA MAMMA”:

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Il soprano MIRELLA FRENI e coro cantano “AH! SON DANNATA” e FINALE:

 

IL TRITTICO PUCCINIANO: IL TABARRO

 

Opera in 1 atto su libretto di Giuseppe Adami (tratto da “La houppelande” di Didier Gold), musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi” di Roma, 11 gennaio 1919

 

Personaggi: 

Michele, padrone del barcone, 50 anni (baritono)
Luigi, scaricatore, 20 anni (tenore)
Il “Tinca”, scaricatore, 35 anni (tenore)
Il “Talpa”, scaricatore, 55 anni (basso)
Giorgetta, moglie di Michele, 25 anni (soprano)
La Frugola, moglie del “Talpa”, 50 anni (mezzosoprano)
Un venditore di canzonette (tenore)
Due amanti (soprano, tenore)
Scaricatori, Midinettes (coro)

Prima opera appartenente al “Trittico”, gli interpreti della prima rappresentazione sono il tenore Giulio Crimi nel ruolo di Luigi, Claudia Muzio come Giorgetta, Luigi Montesanto come Michele ed Angelo Badà come Tinca.

«Tutto è conteso, tutto ci è rapito.
La giornata è già buia alla mattina!
Hai ben ragione: meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena»
(Luigi)

 

Trama: 

Epoca: 1910 circa, nei bassifondi di Parigi.

Il tema che apre l’opera è associato alla Senna.
Lo scenario vede scaricatori e popolane che vivono in riva al fiume.

L’opera è verista, e la musica è seriamente drammatica, con assenza di melodie orecchiabili.

E’ la più scura delle opere di Puccini e, psicologicamente, si basa sulla dimensione temporale che interessa il fiume che scorre, il passare del tempo, le immagini del tramonto e l’autunno.

Presso la riva della Senna, è ormeggiato il vecchio barcone di Michele, il marito di Giorgetta, donna più giovane di lui di venticinque anni.

Michele intuisce che il suo legame matrimoniale sta traballando e sospetta che la moglie, attraverso il suo comportamento sempre più inquieto e scostante, lo inganni con un altro uomo.

Michele ha ragione: Giorgetta corrisponde le attenzioni di Luigi, uno scaricatore giovane di vent’anni che la raggiunge, però, ogni sera ad opera del segnale di un fiammifero acceso, nell’oscurità.

Giorgetta dice: “Io capisco una musica sola: quella che fa danzare”, ed è la stessa musica che apre il suo appassionato duetto d’amore con Luigi.

A poco a poco, Michele si disillude, ma non si arrende e stimola la moglie per ridestarle l’antica passione.  Le ricorda il loro bimbo vissuto troppo poco, quando si amavano: erano felici quando Giorgetta e il bambino cercavano rifugio nel suo tabarro.

Michele prova a stringerla fra le braccia, ma Giorgetta – adducendo una scusa – si ritrae e torna nella sua stanza, aspettando che il marito si assopisca: quindi, lei incontrerà Luigi.

Ma Michele NON scende nella stanza del barcone, preso a domandarsi chi possa essere il suo rivale, preda del desiderio della vendetta e si accende la pipa.

Credendo che il segnale luminoso sia del fiammifero di Giorgetta, Luigi sale silenziosamente nel barcone, credendo di trovarci Giorgetta, ma Michele gli è sopra, l’immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo afferra per la gola, lo obbliga a confessare il suo sentimento e lo strangola.
Dopodiché, avvolge il corpo nel tabarro.

Giorgetta torna in coperta a causa di un presentimento, ma Michele – che aveva agito trasportato dall’ira – apre il tabarro lasciando cadere il corpo esanime di Luigi.

 

Brani famosi: 

Hai ben ragione! meglio non pensare (“tirata” di Luigi)
È ben altro il mio sogno (romanza di Giorgetta)
Nulla! Silenzio! (romanza di Michele, nella prima versione: Scorri, fiume eterno)

 

Incisioni più note con: 

Tito Gobbi, Margaret Mas, Giacinto Prandelli.
Robert Merrill, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco.
Sherrill Milnes, Leontyne Price, Plácido Domingo.
Ingvar Wixell, Renata Scotto, Plácido Domingo.
Juan Pons, Mirella Freni, Giuseppe Giacomini.
Piero Cappuccilli, Sylvia Sass, Nicola Martinucci.
Juan Pons, Stephanie Friede, José Cura.
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Rubens Pelizzari.

 

 

 


LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Probabilmente, Puccini ama la Francia, in particolare, Parigi: “La bohème”, “Il Tabarro”; “Manon Lescaut”, “La Rondine” (fuori Parigi), mentre il porto dal quale Manon salpa è Le Havre, nella parte Nord di tale Stato).

Per Puccini, l’ambiente è il vero protagonista; il suo interesse è la situazione psicologica che il fiume crea sui personaggi: “Quello che mi interessa è che la signora Senna mi diventi la vera protagonista del dramma“.

Il Tabarro: è un’opera attuale, non molto orecchiabile, tenebrosa, con cose negative che succedono nella vita, ha una vicenda violenta che può essere presente anche ai giorni nostri, nonostante la “fortuna” economica (“boom”) della seconda metà del 1900 che ha dominato la società umana.

Opera “scura”: sicuramente, la più scura musicata da Puccini, al contrario di Butterfly, Turandot, La bohème, ….

Disperazione, carenza finanziaria, miseria e stanchezza morale: quest’opera potrebbe sembrare una specie di denuncia al potere autoritario per mezzo di un’eventuale immagine della corrente politica della Sinistra vista da parecchi; infatti, la vita di tutti questi uomini è tormentata.

Si tratta di povera gente frustrata, triste che può essere capace di buoni sentimenti, ma che è insoddisfatta, per cui si aggrappa alla “consolazione” alcolica per “dimenticare”, per avere una specie di “gratificazione morale”, ossia uscire dalla solita vita piena di guai, preoccupazioni.
Situazioni, specialmente, provocate, a loro volta, da situazioni infelici e da individui psicopatici narcisisti o affetti da disturbo paranoide di personalità, …

Osservano regole legali obsolete, mentre vige la vittoria del più forte, senza tenere conto delle ragioni dei più deboli, a differenza della nostra epoca, in cui, ai problemi morali, si ovvia attraverso la terribile droga perché si è approfittato troppo dei Diritti.

Il Tabarro: un’opera a cui Puccini ha prestato molta attenzione, possedendo una certa sensibilità verso la sofferenza umana.

Sensibilità, la sua, che è quasi di tipo femminile: presente verso tutti, la si nota anche in altre opere come Manon-Des Grieux, La bohème, (tutti: IV atto, in particolare), Tosca (Tosca-Cavaradossi), Madama Butterfly (Cio-Cio-San), Suor Angelica (Angelica), Turandot (Liu’), La fanciulla del West (Minnie), La Rondine (Magda e Ruggero).

All’inizio dell’opera, si odono le voci degli scaricatori che lavorano e che, poi, riceveranno il vino offerto da Giorgetta.

A quel tempo, i Sindacati non avevano ancora sviluppato la loro forza attraverso l’adesione della Classe Lavoratrice e il brindisi degli scaricatori evidenzia lo stato emotivo non allegro dei personaggi.

Per Il Tinca, infatti: “in questo vino affogo i tristi pensieri”. – Ossia, per lui, il vino, “è l’ultima spiaggia”.

Un organetto stonato accompagna gli scaricatori che ballano: loro “si divertono così”, da povera gente.

 

Michele: 

Il barcone di Michele è quello tipico francese come ce ne sono stati tanti: vecchio modello, ma caratteristico.

Michele dovrebbe essere l’unico che “sta bene,” economicamente, ma è tormentato a causa della morte del figlioletto e del sospetto tradimento della moglie, oltre dall’ambiente generale non sereno.
(Chiaramente, non si rende conto che la differenza d’età fra lui e Giorgetta può incrinare i buoni rapporti: oggi, sarebbe criticato come “pseudo-pedofilo”).

L’epilogo di quest’opera è l’omicidio-dramma della gelosia generato dal tradimento di Giorgetta verso il marito: l’assassino-Michele ha la vita peggiorata e si ritroverà solo ad affrontare i suoi guai giudiziari.

 

Giorgetta: 

Giorgetta: sposata a Michele, un uomo che potrebbe essere suo padre, si ritrova fra le braccia di Luigi, un uomo più giovane di lei di cinque anni, e presso il quale cerca soddisfazione sessuale.

Luigi, dipendente da lei, forse, soffre di dipendenza mammista-mammona (oppure sessuale), mettendo in pratica, inconsciamente, il “complesso di Edipo”.

Riguardo al futuro con Giorgetta: il loro è solo puro fantasticare, senza sicurezza.

Con la Frugola, Giorgetta canta richiamando alla mente qualcosa che allontana dalla concretezza, mentre la Frugola sostiene che l’attesa della morte porta serenità (“e aspettar così la morte, c’è rimedio ad ogni male”): è una sua filosofia personale.

Giorgetta ricorda il periodo bello ed importante della sua vita trascorso nel quartiere di Belleville: Puccini entusiasma in modo armonioso sentimentale, caloroso, travolgente attraverso la melodia più bella di tutta l’opera perché questo ricordo dà sicurezza alla donna, in quanto rifugio mentale spensierato, contrariamente all’ossessione dovuta alla paura di venire scoperti, lei e Luigi.

Poco dopo, si ritrova con Luigi, ossia con “l’evasione-via di fuga” senza sentimento celeste interiore e ricorda la canzone della Frugola: “La liberazione che arriverà”.

 

Luigi: 

Mentre il Tinca brinda, Luigi esprime brevemente che il dolore e l’inferno che vivono tutti i giorni sulla Terra, brevissima serenità nessuna salvezza: “Hai ben ragione”, ossia il suo inno alla disperazione, “…per noi la vita non ha più valore ed ogni gioia si converte in pena…l’ora dell’amore va rubata…va rubata tra spasimi e paure…tutto è conteso tutto ci è rapito…la giornata è già buia alla mattina”.

Tali parole sono significative.

La risposta gli arriva dal Tinca che lo incoraggia a bere.

 

Il Tinca: 

Nella scena del brindisi vediamo che Il Tinca “risolve” col vino e suggerisce a Luigi di bere per ovviare alla tristezza e all’insoddisfazione.

 

La Frugola: 

La Frugola è la moglie del Tinca, secondo la quale, “tutto ha la misura di un momento” ma, per lei, donna dall’umore triste, tutto è monotono: rivede la Senna, lo scarico e – chiaramente – le torna la depressione.

La Frugola che mostra il suo pettine e i suoi oggetti in modo frenetico e delirante, che parla del suo gatto e le cose che raccatta, parlando di morte come “la liberazione che arriverà” (sorta di filosofia): il suo modo di pensare è dovuto all’educazione ricevuta nell’ambiente in cui è vissuta, ossia la famiglia e il fuori famiglia …

Opera verista tarda, da parte di un Puccini diverso dalle sue solite melodie orecchiabili, che intriga e affascina per via del suo dramma di violenza e morte: una storia cruda.

IL TABARRO è un’opera-capolavoro di umanità e Psicologia, ambientato nella società umana del 1910, ma sempre fortemente attuale: oggi, sono cambiate alcune cose, ma la Storia si ripete attraverso gli eventi.

E’ naturale provare sensibilità e solidarietà verso i personaggi-povera gente.

La musica, sin dall’inizio, è teatrale ed esprime l’anima dei personaggi dell’opera: si deduce chiaramente che il non più romantico-ma realista Puccini sfrutta la Psicanalisi che si afferma nel periodo di composizione de “Il Tabarro”; cosa che influisce sul teatro lirico e sull’interiorità dei personaggi, evidenziando le sensazioni, gli stati d’animo che rasentano “il nevrotico” e “lo psicotico, l’alienato”, specialmente dopo qualcosa di inguaribile che viene creato nel modo di vivere durante il Primo Conflitto Mondiale.

E’ importante notare che, sotto l’aspetto psicologico, in quest’opera in un solo atto, si nota lo sconvolgente e straziato ritratto dell’uomo odierno ed evoluto, con le sue paure e le sue psicosi che causano alterazioni nella percezione o nell’interpretazione della realtà: cose che lo fanno sentire prigioniero di un nemico invisibile.

Puccini, qui, precorre i tempi.

Puccini: un uomo sottile e molto profondo che SA TRASMETTERE.

Battuto al computer da Lauretta

Il tenore JONAS KAUFMANN canta HAI BEN RAGIONE!” MEGLIO NON PENSARE”:  https://youtu.be/YWPUBD4wH9A

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Il soprano MIRELLA FRENI e il tenore GIUSEPPE GIACOMINI cantano “È BEN ALTRO IL MIO SOGNO”:  https://youtu.be/qzIde7YR7Ho

 

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Il baritono PIERO CAPPUCCILI canta la romanza di Michele “NULLA! SILENZIO!” (nella prima versione, era “Scorri, fiume eterno”) :

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: LA TRAVIATA

 

Opera in tre atti e quattro quadri su libretto di Francesco Maria Piave tratto da “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, che lo stesso autore ha tratto dal suo precedente omonimo romanzo.

Prima rappresentazione: Teatro “La Fenice” di Venezia, 6 marzo 1853

Esito: insuccesso.

 

Personaggi:

Violetta Valéry (soprano)
Flora Bervoix, sua amica (mezzosoprano)
Annina, serva di Violetta (soprano)
Alfredo Germont (tenore)
Giorgio Germont, suo padre (baritono)
Gastone, Visconte di Létorières (tenore)
Il barone Douphol (baritono)
Il marchese d’Obigny (basso)
Il dottor Grenvil (basso)
Giuseppe, servo di Violetta (tenore)
Un domestico di Flora (basso)
Un commissionario (basso)

Servi e signori amici di Violetta e Flora, piccadori e mattadori, zingare, servi di Violetta e Flora, maschere

 

Trama: 

Atto I

La casa di Violetta Valèry, in Parigi, è elegante: nella sala di ricevimento, attende gli invitati fra cui Flora Bervoix e il Visconte Gastone de Letorières, il quale le presenta Alfredo Germont che la stima e che, durante la sua malattia di fresca data, aveva chiesto molte volte notizie circa la sua salute.

Per cui, vista la gentilezza di Alfredo, Violetta è risentita verso il Barone Douphol, suo protettore, che non ha avuto simile attenzione verso di lei, risentimento che provoca l’irritazione del  Barone stesso.

Gastone lancia la proposta di un brindisi in onore del Barone, avendone un rifiuto come risposta.

L’idea l’assorbe Violetta, Alfredo l’accetta: a tale brindisi, si aggiungono gli altri invitati  (“Libiamo ne’ lieti calici”).

Violetta conduce una vita allegra per reagire alla salute malferma e invita gli ospiti nella sala accanto; si sente male e si guarda nello specchio che riflette la bianchezza del suo volto, mentre si accorge di Alfredo, rimasto ad attenderla e che le confessa di amarla.

Violetta, incuriosita, gli chiede da quanto tempo e Alfredo risponde che l’ama da un anno (“Un dì, felice eterea”).

Violetta non è abituata all’amore vero e gli propone un rapporto d’amiciza, gli porge un fiore che Alfredo, felice,  le riporterà il giorno dopo.

Gli ospiti se ne vanno e Violetta è meravigliata per avere subito un sussulto interiore dal comportamento umano di Alfredo e, perplessa, è determinata a continuare a vivere come una cortigiana (“Sempre libera”).

Atto II – Quadro I

Da tre mesi, Alfredo e Violetta sono inseparabili, nella casa di villeggiatura della famiglia Germont.

Alfredo è felice (“De’ miei bollenti spiriti”) e inesperto dei problemi che la vita può presentare e, dopo il ritorno di Annina da Parigi (la domestica di Violetta), costei gli risponde che è stata in città per vendere i beni della padrona, allo scopo di sopperire alle loro spese.

Alfredo si sente in colpa e ritiene di dover pagare tali spese attraverso la sua famiglia (“Oh mio rimorso! Oh infame!”), per cui parte per Parigi.

Giuseppe, il cameriere di Violetta, le consegna  una lettera da parte di Flora che la  invita alla festa che terrà la sera stessa, dopodiché le annuncia la visita di un signore.

Non è  il suo avvocato, ma Giorgio Germont, il padre di Alfredo, dal quale riceve l’accusa di voler privare Alfredo delle proprie ricchezze.

Violetta gli esibisce i documenti che comprovano la vendita dei suoi averi per mantenere amante e spese di casa; Germont capisce che la ragazza è onesta e, pur rendendosi conto della sincerità del sentimento di Violetta per Alfredo, le chiede il “sacrificio” di lasciare Alfredo per salvare i suoi figli dalla mentalità conformista, in particolare, della figlia (“Pura siccome un angelo”).

Violetta NON potrà MAI sposare Alfredo e riconosce che Germont ha ragione dicendole che               quando il tempo sarà passato, Alfredo si stancherà di lei (“Un dì, quando le veneri”), per cui, stremata, promette di lasciare suo figlio.

A questo punto, Violetta scrive al barone Douphol e ad Alfredo per portare a conoscenza della decisione presa.

Violetta si allontana da Alfredo facendosi giurare amore da lui (“Amami Alfredo”).

Poi,  fugge.

Ricevuto la lettera di Violetta “Alfredo, al giungervi di questo foglio…” , capisce che Violetta lo ha lasciato.

Notando l’invito di Flora, capisce che Violetta è alla festa, per cui, adirato, vi si reca anche lui, nonostante il padre lo preghi di non farlo (“Di Provenza il mar, il suol”).
Quadro II

Alla festa, sanno della divisione fra Violetta e Alfredo.

Alfredo rivede Violetta accompagnata dal Barone Douphol, mantiene un contegno indifferente e vince costantemente.

Giocando, insulta indirettamente Violetta, il Barone si irrita fortemente e lo sfida ad una partita a carte perdendo, mentre Alfredo vince una somma forte.

Violetta prega Alfredo di andarsene subito perché il Barone potrebbe sfidarlo a duello, ma Alfredo se ne andrà alla condizione che lei lo segua.

Violetta gli risponde che ha giurato al Barone di non rivedere più Alfredo e di amare lo stesso Barone.

Violetta, disperata, vede che Alfredo dichiara che Violetta ha sacrificato tutto per lui e che, ora, sono testimoni che lui la ripaga.

Violetta sviene, arriva il padre che lo rimprovera, il Barone sfida a duello Alfredo.

 

Atto III

La camera da letto di Violetta.

Il preludio riprende le note dei violini del preludio al primo atto.

Violetta rilegge la lettera ricevuta da Giorgio Germont per mezzo della quale la informa dell’arrivo imminente di Alfredo.

Violetta piange di felicità, ma è cosciente che è troppo tardi (“Addio, del passato bei sogni ridenti”) e teme che il suo amato arrivi tardi per poterla trovare ancora in vita.

Infatti, il Dottor Grenvil porta a conoscenza Annina che Violetta è in fin di vita (“La tisi non le accorda che poche ore”).

Inoltre, nelle strade, si festeggia il Carnevale: un fatto allegro contrastante con il dramma di Violetta.

Arriva Alfredo che le promette di portarla in un luogo affinché si ristabilisca (“Parigi, o cara”), mentre Giorgio Germont, esprime il suo rimorso e dichiara di considerarla una propria figlia.

Violetta sospira: “Troppo tardi”; lascia ad Alfredo una miniatura col proprio ritratto, suo ricordo anche se incontrerà un’altra.

Per un momento Violetta sembra riacquistare la vita, ma subito cade morta.

 

Brani noti: 

Atto I

Preludio
Libiamo ne’ lieti calici – Violetta, Alfredo e coro
Un dì felice, eterea – Alfredo e Violetta
È strano! È strano… Sempre libera degg’io – Violetta

Atto II

De’ miei bollenti spiriti – Alfredo
Pura siccome un angelo – Germont e Violetta
Che fai? / Nulla / Scrivevi?… Amami Alfredo – Alfredo e Violetta
Di Provenza il mar, il suol, – Germont
Di Madride noi siamo i mattadori- Coro
Mi chiamaste? Che bramate? – Alfredo e Violetta
Qui testimon vi chiamo
Finale

Atto III

Teneste la promessa – Violetta
Addio, del passato bei sogni ridenti – Violetta
Parigi, o cara – Alfredo e Violetta
Gran Dio! Morir sì giovane – Violetta

 

Incisioni note:

Mercedes Capsir, Lionel Cecil, Carlo Galeffi Lorenzo Molajoli Columbia
Anna Rosza, Alessandro Ziliani, Luigi Borgonovo Carlo Sabajno La voce del padrone
Adriana Guerrini, Luigi Infantino, Paolo Silveri Vincenzo Bellezza Columbia
Licia Albanese, Jan Peerce, Robert Merrill Arturo Toscanini RCA
Maria Callas, Francesco Albanese, Ugo Savarese Gabriele Santini Cetra
Renata Tebaldi, Gianni Poggi, Aldo Protti Francesco Molinari-Pradelli Decca
Antonietta Stella, Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi Tullio Serafin Columbia
Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Ettore Bastianini Carlo Maria Giulini EMI
Rosanna Carteri, Cesare Valletti, Leonard Warren Pierre Monteux RCA
Maria Callas, Alfredo Kraus, Mario Sereni Franco Ghione EMI
Victoria de los Ángeles, Carlo Del Monte, Mario Sereni Tullio Serafin His Master’s Voice
Anna Moffo, Richard Tucker, Robert Merrill Fernando Previtali RCA
Joan Sutherland, Carlo Bergonzi, Robert Merrill John Pritchard Decca
Renata Scotto, Gianni Raimondi, Ettore Bastianini Antonino Votto Deutsche Grammophon
Montserrat Caballé, Carlo Bergonzi, Sherrill Milnes Georges Prêtre RCA
Pilar Lorengar, Giacomo Aragall, Dietrich Fischer-Dieskau Lorin Maazel Decca
Beverly Sills, Nicolai Gedda, Rolando Panerai Aldo Ceccato EMI
Ileana Cotrubaș, Plácido Domingo, Sherrill Milnes Carlos Kleiber Deutsche Grammophon
Joan Sutherland, Luciano Pavarotti, Matteo Manuguerra Richard Bonynge Decca
Renata Scotto, Alfredo Kraus, Renato Bruson Riccardo Muti EMI
Cheryl Studer, Luciano Pavarotti, Juan Pons James Levine Deutsche Grammophon
Kiri Te Kanawa, Alfredo Kraus, Dmitrij Hvorostovskij Zubin Mehta Philips
Edita Gruberová, Neil Shicoff, Giorgio Zancanaro Carlo Rizzi Teldec
Cecilia Gasdia, Peter Dvorsky, Giorgio Zancanaro Carlos Kleiber Maggio Live
Anna Netrebko, Rolando Villazón, Thomas Hampson Carlo Rizzi Deutsche Grammophon

 

Trasposizioni televisive e cinematografiche – tra i diversi titoli che ripropongono l’opera ricordiamo:   

Margherita Gauthier (1936) diretto da George Cukor

La traviata (1968) diretto da Mario Lanfranchi, con Anna Moffo, Franco Bonisolli, Gino Bechi ed il coro e l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Giuseppe Patanè

La traviata (1983) diretto da Franco Zeffirelli – James Levine/Teresa Stratas/Plácido Domingo/Cornell MacNeil/Axelle Gall/Paolo Barbacini/The Metropolitan Opera Orchestra and Chorus, Deutsche Grammophon DVD – Grammy Award for Best Opera Recording 1984

La traviata – Georg Solti/Angela Gheorghiu/Frank Lopardo/Leo Nucci, 1994 Decca

La traviata a Paris (2000) direttore Zubin Mehta – Eteri Gvazava/José Cura/Rolando Panerai

La traviata (Salisburgo 2005) – Carlo Rizzi/Anna Netrebko/Rolando Villazón/WPO, regia Willy Decker, Deutsche Grammophon

La traviata – James Conlon/Renée Fleming/Rolando Villazón, 2006 Decca

Violetta (2011) regia di Antonio Frazzi

 

Tra i film ispirati all’opera ricordiamo: 

Mi permette, babbo! (1956) diretto da Mario Bonnard
Croce e delizia (1995) diretto da Luciano De Crescenzo
Moulin Rouge! (2001) diretto da Baz Luhrmann

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:

TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario, presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena, e di Violetta, tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

 

Infatti, “La Traviata” è un dramma fortemente psicologico che consta di personaggi complessi e descrive emotivamente i particolari della società umana del tempo.

“La Traviata” viene composta, in parte, sul lago di Como, a Cadenabbia, nella villa degli editori Ricordi.

L’opera si ispira al romanzo “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio che, a quanto pare, a sua volta, si  ispira alla grande passione giovanile avuta con Alphonsine Plessis (Marie Duplessis), prostituta d’alto bordo, deceduta a 23 anni per tisi.

Qualcuno la definisce “consolatrice intellettuale” di celebri artisti come Alfred De Musset, Franz Liszt e lo stesso Alexandre Dumas.

La prima rappresentazione de “La Traviata” non consegue successo: la causa probabile è da imputare ad interpreti carenti (qui, fra l’altro, i cantanti devono essere dotati di grandi capacità di attori) e al soggetto ritenuto scandaloso per l’epoca ma, l’anno successivo, al Teatro “San Benedetto” di Venezia, consegue il successo per merito della versione rielaborata, avendo altri interpreti (come Maria Spezia Aldighieri) e la direzione di Verdi.

L’opera riscuote un esito favorevolissimo.

Opera rivoluzionaria e scabrosa, è voluta fortemente da Verdi – “un moderno” – che ha nuovi interessi verso la forma del melodramma indirizzato alla mentalità del suo tempo, considerando pregiudizi e perbenismi di una società umana che Verdi stesso vive a causa del suo rapporto con Giuseppina Strepponi (donna sposata e separata dal marito).

Così, Verdi scrive al librettista de “La Traviata”:

< Ti prego dunque di adoperarti affinché questo soggetto sia il più possibile originale e accattivante nei confronti di un pubblico sempre teso a cercare in argomenti inusuali un confine alla propria moralità»

(Giuseppe Verdi nella lettera a Francesco Maria Piave sulla trama della Traviata).

Violetta è una cortigiana di lusso ma, essendo l’opera ispirata alla vita di Alphonsine Plessis (Marie Duplessis) e venendo a conoscenza del suo stato di persona orfana e sola al mondo, spinta dalla necessità di provvedere alla sua vita, il valido motivo è riferito alla sfortuna di un povero essere, per cui è opportuno citare che Shakespeare DIFENDE la donna in generale a mezzo dell’inchino che si deve tributare ad una DONNA, chiunque essa sia.

Verdi è colpito dalle emozioni e dalle sventure di questa giovanissima eroina-cortigiana e ne rimane toccato.

Verdi comincia ad esprimere il suo interiore attraverso il preludio con musica lontana dallo stile sonante e tonante dei precedenti melodrammi storici e in costume.

E’ importantissimo citare che è stato chiesto a Rossini che cosa pensa de “La Traviata” e che lo stesso ha risposto: “UN GRANDE VALZER”.

In tutto il primo atto, segue la dimostrazione festosa del trovarsi in mezzo al trascorrere della vita dove si notano i trilli e la gaiezza al contrario della tristezza, presente nell’ultimo.

Qui, si denota il carattere frivolo di Violetta che, pur presentandosi poetico, si mostra leggero e incosciente della possibilità che possano succedere cose sfavorevoli

Infatti, si brinda al vino, all’amore e alle gioie passeggere; sono solamente tutti amici di bisboccia.

Ma un malore di Violetta disturba l’allegria per cui, sentendosi “… sola, abbandonata in questo popoloso deserto che appellano Parigi …” – resta colpita dalla premura sincera del ‘puro’ Alfredo a cui non importa che Violetta sia una cortigiana: il ‘puro’ Alfredo che ogni giorno si informava sulla sua salute e che lei, durante il brindisi, scopre “poeta”, capace di rinunciare all’amicizia per qualcosa di più vero:

< Di quell’amor, quell’amor ch’è palpito dell’universo, dell’universo intero, misterioso, misterioso altero, croce, croce e delizia, croce e delizia, delizia al cor.

Il secondo atto, diviso in due quadri, vede vari eventi incisivi.

Il primo quadro, è ambientato nella  casa di campagna dei Germont in cui Violetta e Alfredo si sono trasferiti e in cui Germont padre incontra Violetta che porta la ragazza a lasciare Alfredo: si noti l’esplosivo “Amami Alfredo”.

Il secondo quadro si svolge a Parigi, e mostra un’altra festa in maschera in casa di Flora, durante la quale Alfredo offende pubblicamente Violetta perché la donna – seppur distrutta – gli conferma che ama il Barone Douphol, recitando la parte “della mantenuta”, per cui Alfredo le butta una borsa contenente denaro.

Il terzo atto vive durante il Carnevale; per Violetta ritorna la nostalgia dell’amore  impossibile perché Alfredo ritorna dopo che il padre, pentito, gli rivela il sacrificio della donna che è consumata dalla tisi.

Verdi ha musicato tanti padri-baritono: Nabucco, Miller, Rigoletto, Simon Boccanegra, Amonasro, …

Giorgio Germont è uno di questi, la sua presenza è breve, la sua aria vuole essere consolatrice per il figlio (“Di Provenza il mar, il suol”), ma è un personaggio incisivo la cui natura umana si esprime alla fine, rendendosi conto del male commesso (“Ah mal cauto vegliardo”) correndo da Violetta per accettarla come sposa di suo figlio.

Massimo Mila (critico musicale e musicologo), concludendo la morte di Violetta: “Un ritratto indelebile è stato impresso nella nostra memoria in una delle più grandi realizzazioni del teatro musicale, quasi morisse un eroe beethoveniano o un Sigfrido”.

In quest’opera, IL VINCENTE E’ L’AMORE.

 

Violetta:

Una donna giovane che riesce a vivere perché qualcuno provvede a lei.

Una donna che “VUOLE” vivere perché, fino a quando non ha trovato questo “QUALCUNO”,  ha avuto una vita povera.

Si “attacca” alla vita perché ha paura del passato, dove ha incontrato traumi: passato che l’aspetta sempre al varco per ritornare a darle sofferenza.

Conoscendo Alfredo, finalmente, prova la gioia di essere ricambiata nell’amore sentimentale, “si illude” di sposarlo, ma Papà Germont invita la ragazza a troncare la relazione a causa del conformismo e del perbenismo che circolano nella mentalità ristretta della società borghese del tempo.

Questo atto denota l’egoismo e il cinismo di Giorgio Germont che NON si rende conto che spezza la vita di Violetta che ama davvero suo figlio e che spera di potere avere una certa tranquillità emotiva e non ricadere nella vita già condotta.

La donna è disperata e si rende conto che non c’è via di scampo, per lei, ma accetta quanto “le impone” Giorgio Germont che, comunque, prova un po’ di empatia, capisce che Violetta NON è una delle solite cortigiane calcolatrici, rimanendone toccato: Violetta salverà l’immagine di Alfredo e, di conseguenza, l’immagine della sorella “pura siccome un angelo” e della famiglia Germont, arrivando ad annullarsi attraverso “Qual figlia m’abbracciate, forte così sarò”.

Violetta ritornerà dal suo antico protettore, ma si ritroverà sola, fino al momento che Alfredo tornerà dopo che il padre, pentito, gli ha spiegato il motivo del comportamento della ragazza che, però, lascierà questa Terra.

 

Alfredo:  

“Un dì, felice, eterea, mi balenaste innante”: Alfredo, inconsciamente, aveva visto in Violetta ciò che nessun altro è riuscito a cogliere, a percepire: ossia la bellezza di un’anima che soffre senza piangere.
Per cui, trovandosi a vivere in campagna con Violetta, Alfredo, inesperto e ingenuo della vita, pur essendo stato diseredato dal padre, esprime la sua felicità, come se vivesse un bellissimo sogno (“dell’universo immemore io vivo quasi in ciel”); sogno che sarà distrutto dall’arrivo del padre.
Violetta lo lascierà, ma il suo spirito “vivrà” sempre in tale campagna: “Sarò là, tra quei fior presso a te, sempre”, a differenza della vita parigina dove “è una cortigiana”.

Alfredo non si rende conto di quanto Violetta gli comunica verbalmente, ma la lettera di Violetta che gli giungerà gli chiarisce che torna dal Barone Douphol.

Giorgio Germont consola il figlio ricordandogli la Provenza dov’è nato, anche se la cosa sembra inutile.

 

Giorgio Germont:

Come la società del suo tempo, è schiavo, mentalmente, della REALTA’ DELLE REGOLE SOCIALI.

Trovando Violetta sola, da essere spietato, approfitta della sua sensibilità che, inconsciamente, “cerca” la protezione del proprio padre anche nello stesso Giorgio Germont.

Il quale, Giorgio Germont, la fa sentire “sporca” e “colpevole” dopo che lei ha toccato con mano l’Amore: “Bella voi siete … e giovane”.

Pur avendo saputo che Violetta sta vendendo i suoi averi per potere mantenere lei e Alfredo, e pur rendendosi conto che lei non ha interessi verso il denaro, Germont si domanda il motivo del suo passato, però i problemi di famiglia gli suggeriscono che, per non rovinare la reputazione dei suoi figli, “è giusto” attuare “il sacrifizio” della rinuncia dal “marchio d’infamia”

Violetta è distrutta, ma Germont, psicologicamente viscido: “Siate di mia famiglia l’angiol consolatore”.

Ma Germont non è proprio proprio viscido come può sembrare e “si riscatta” perché, nella II parte del II atto, difende Violetta offesa da Alfredo, mentre nel IV atto, si pente della sua azione raccontando tutto ad Alfredo – e accompagnandolo – affinché possa abbracciare la sua amata prima che muoia.

 

UN’OPERA-CAPOLAVORO DI REALTA’ UMANA E DI ALTA PSICOLOGIA.


Battuto al computer da Lauretta 

 

 

ARTURO TOSCANINI dirige il PRELUDIO ALL’ATTO I:

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Il tenore FRANCO BONISOLLI, il soprano ANNA MOFFO e il coro cantano “LIBIAMO NE’ LIETI CALICI”:

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Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “UN DI’, FELICE, ETEREA”:

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Il soprano ANNA MOFFO canta “È STRANO! È STRANO … SEMPRE LIBERA DEGG’IO”:

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Il tenore FRANCO BONISOLLI canta “DE’ MIEI BOLLENTI SPIRITI”:

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Il soprano KATIA RICCIARELLI e il baritono RENATO BRUSON cantano “MADAMIGELLA VALERY? … PURA SICCOME UN ANGELO”:

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU e il tenore LUCA CANONICI cantano “AMAMI, ALFREDO!”:

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Il baritono RENATO BRUSON canta “DI PROVENZA IL MAR, IL SUOL”:

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Il coro canta la danza “DI MADRIDE NOI SIAMO I MATTADORI”:

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Danza e coro “NOI SIAMO ZINGARELLE”:

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Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “DI SPREZZO DEGNO … ALFREDO, ALFREDO, DI QUESTO CORE”:

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ARTURO TOSCANINI dirige il PRELUDIO ALL’ATTO III:

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Il soprano PILAR LORENGAR canta “TENESTE LA PROMESSA … ADDIO DEL PASSATO”:

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Il tenore PLACIDO DOMINGO e il soprano TERESA STRATAS cantano “PARIGI, O CARA”:

.

Il soprano ANGELA GHEORGHIOU canta “AH! GRAN DIO! MORIR SI’ GIOVANE”:

 

 

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: IL TROVATORE

 

Opera in 4 parti di Salvadore Cammarano (con revisione di Leone Emanuele Bardare)
da: “El Trobador” di Antonio García Gutiérrez

Prima rappresentazione: Teatro “Apollo” di Roma, 19 gennaio 1853

 

Personaggi:

Il conte di Luna, giovane gentiluomo aragonese (baritono)
Leonora, dama di compagnia della principessa d’Aragona (soprano)
Azucena, zingara della Biscaglia (mezzosoprano o contralto)
Manrico, il trovatore, ufficiale del conte Urgel e presunto figlio di Azucena (tenore)
Ferrando, capitano degli armati del conte di Luna (basso)
Ines, ancella di Leonora (soprano)
Ruiz, soldato al seguito di Manrico, messaggero (tenore)
Un vecchio zingaro (basso)
Un messo (tenore)

Compagne di Leonora e religiose, familiari del conte, uomini d’arme, zingari e zingare (coro)

 

Interpreti della prima fortunatissima rappresentazione: 

Il Conte di Luna (baritono) Giovanni Guicciardi
Leonora (soprano) Rosina Penco
Azucena (mezzosoprano)  Emilia Goggi
Manrico (tenore) Carlo Baucardé
Ferrando (basso) Arcangelo Balderi
Ines (soprano) Francesca Quadri
Ruiz (tenore) Giuseppe Bazzoli
Vecchio zingaro  (basso) Raffaele Marconi
Messo (tenore) Luigi Fani

Scene: Luigi Bazzani, Alessandro Prampolini, Antonio Fornari

Direttore di scena: Giuseppe Cencetti

Maestro del coro: Pietro Dolfi

Maestro al cembalo: Giuseppe Verdi (per tre recite), poi Eugenio Terziani

Primo violino e direttore d’orchestra: Emilio Angelini

 

Trama:

Periodo storico: In Biscaglia e in Aragona, all’inizio del XV secolo.

Parte I – Il duello.

Di notte, nel castello dell’Aljafería di Saragozza.

Leonora, dama di corte della regina, è amata dal Conte di Luna, che non è corrisposto.

Questi, però, vigila presso la sua porta, ogni notte, sperando di vederla.

Intanto, Ferrando, il capitano delle sue guardie, racconta a servi e soldati la storia del fratellino del Conte rapito anni prima da una zingara per rivalersi dell’uccisione della madre da parte  del vecchio Conte.
Costei  (“Abbietta zingara”), poi, getta il bambino nello stesso rogo eretto per la madre, il cui fantasma tormenta il castello.
I soldati infervorati vogliono intensamente la morte della zingara.

Leonora, confida alla sua ancella Inés, di essere innamorata di un Trovatore sconosciuto che, ogni notte, sotto le sue finestre, accompagnato dal suo liuto, le canta una serenata (“Tacea la notte placida”): si sono conosciuti durante un torneo, ma il Trovatore poi aveva dovuto fuggire, in quanto seguace del conte di Urgel, nemico del conte di Luna.

Il conte di Luna, saputa la cosa, sente la voce del Trovatore che canta a Leonora:

< Deserto sulla terra,
col rio destino in guerra,
è sola speme un cor
al trovator! >

Leonora scende e, a causa dell’oscurità, abbraccia il Conte di Luna, anziché il Trovatore che li trova così e crede di essere stato tradito.
Però, la donna gli afferma solennemente il suo amore, provocando l’ira del Conte che  costringe Manrico al duello e a rivelare il suo nome; Manrico, inoltre, è Ufficiale del Conte di Urgel, Leonora sviene.

Parte II – La gitana.

“Vedi le fosche notturne spoglie”: questo coro segna l’inizio del II atto dell’opera e rappresenta l’accampamento alla base di una montagna con gli zingari che lo cantano lavorando, ballando e, anche, brindando.

C’è allegria.

Ad un certo punto, Azucena si desta dall’incubo periodico che la perseguita e durante il quale rivive il trauma riguardante sua madre fatta morire sul rogo dal vecchio Conte di Luna, accusata di stregoneria: “Stride la vampa”.

Prima di morire, la madre di Azucena l’aveva implorata di vendicarla (“Mi vendica …”), per cui  la stessa Azucena si era impadronita del bambino in fasce del vecchio Conte per bruciarlo, ma la visione della madre morta le aveva causato l’errore di scambio fra il proprio figlioletto e il piccolo di Luna.

Manrico è preso dal dubbio di non essere il figlio vero della zingara – che ritratta tutto – evidenziando che gli è apparso nell’incubo appena avuto: sottolinea che lei, Manrico, lo ha sempre difeso e soccorso, esemplificando il ritorno, da ferito, a seguito del duello col Conte di Luna-figlio.

Circa il duello, Manrico le espone che stava per uccidere il giovane Conte, ma è stato bloccato da una voce celeste (“Mal reggendo all’aspro assalto”), però la madre lo stimola dunque a vendicare sua madre in un nuovo duello e ad ucciderlo, questa volta.

Il Conte, usando la cattiveria, ha sparso la voce che Manrico è morto per potere conquistare Leonora  che, non amandolo, è determinata a consacrarsi a vita relligiosa.

Saputa la cosa, il conte e i suoi soldati invadono la cerimonia per sottrarla a tale celebrazione.

A questo punto, arriva Manrico con i soldati del Conte di Urgel che assalgono e attaccano il castello del Conte di Luna.

Manrico ne approfitta per portare Leonora fuori pericolo.

Parte III – Il figlio della zingara.

Un accampamento nei pressi di Castellor.

I soldati del Conte di Luna sono accampati non lontano dal loro castello, aspettando l’occasione per attaccarlo e riconquistarlo, dal momento che è stato espugnato dal Conte di Urgel e dai suoi.

Azucena ha visioni di morte riguardanti Manrico, per cui si aggira di nascosto nell’accampamento del Conte di Luna, ma viene catturata da Ferrando che la conduce dal Conte come spia.

Nonostante gli anni trascorsi, Ferrando riconosce Azucena come la rapitrice e assassina del piccolo di Luna, mentre lei conferma e confessa di essere la madre di Manrico.

A questo punto, il Conte è raggiante perché la morte della gitana gli darà la vendetta per il fratello ucciso e la vendetta perché Manrico è amato da Leonora.

Manrico e Leonora stanno per sposarsi in segreto all’interno del castello, giurandosi  amore immortale.

Proprio poco prima della cerimonia, Ruiz dà la notizia  della cattura di Azucena che, presto, dovrà salire il rogo come strega: Manrico, di conseguenza, corre a liberare la madre (“Di quella pira”).

Parte IV – Il supplizio.

Manrico fallisce l’azione e viene imprigionato nel castello di Aljafería, per cui, con Azucena, saranno uccisi all’alba.

Manrico è prigioniero nella torre dove Ruiz sta conducendo Leonora (“Timor di me?… D’amor sull’ali rosee”) che, poi, incontra e supplica il Conte di Luna di liberare Manrico, mentre  lei, in cambio, è disposta a sposarlo  (“Mira, d’acerbe lagrime”).

Veramente, il suo piano è di avvelenerarsi, prima di entrare nella torre; piano che attua bevendo il veleno dal suo anello.

Manrico e Azucena attendono la loro esecuzione in una cella e Manrico cerca di calmare la madre.

Azucena  già traumatizzata dal supplizio subito da sua madre, è tormentata ed angosciata  perché ha lo stesso destino (“Ai nostri monti ritorneremo”).

Alla fine, la donna si addormenta sfinita.

Leonora comunica a Manrico che è libero e insiste affinché si allontani al più presto, ma lui  rifiuta di farlo perché gli risulta evidente che lei lo abbia tradito per ottenere tale soluzione.

Agonizzante, gli conferma la sua fedeltà (“Prima che d’altri vivere”).

Il Conte, di nascosto, ascolta il dialogo fra Leonora e Manrico e si rende conto che lei lo ha  ingannato.

Leonora muore fra le braccia di Manrico.

Per cui, il Conte fa giustiziare il Trovatore e, quando Azucena recupera i sensi, egli le mostra il corpo di  Manrico.

La  donna è disperata, ma riesce a gridargli:  “Egl’era tuo fratello!” e a rivolgersi alla madre morta: “Sei vendicata, o madre!”, mentre il Conte è sconvolto per avere fatto uccidere il fratello: “E vivo ancor!”.

 

Brani famosi: 

Di due figli vivea padre beato, aria di Ferrando (Atto I)
Tacea la notte placida, aria di Leonora (Atto I)
Vedi! le fosche notturne spoglie, coro dei gitani (Atto II)
Stride la vampa, canzone di Azucena (Atto II)
Condotta ell’era in ceppi aria di Azucena (Atto II)
Il balen del suo sorriso, aria del Conte di Luna (Atto II)
Ah sì, ben mio, coll’essere, cantabile dell’aria di Manrico (Atto III)
Di quella pira, cabaletta dell’aria di Manrico (Atto III)
D’amor sull’ali rosee, aria di Leonora (atto IV)
Miserere d’una alma già vicina, tempo di mezzo dell’aria di Leonora (atto IV)

 

Incisioni discografiche:  

Bianca Scacciati, Francesco Merli, Enrico Molinari, Giuseppina Zinetti, Corrado Zambelli Lorenzo Molajoli Columbia

Maria Carena, Aureliano Pertile, Apollo Granforte, Irene Minghini Cattaneo, Bruno Carmassi Carlo Sabajno La voce del padrone

Caterina Mancini, Giacomo Lauri Volpi, Carlo Tagliabue, Miriam Pirazzini, Alfredo Colella Fernando Previtali Cetra

Zinka Milanov, Jussi Björling, Leonard Warren, Fedora Barbieri, Nicola Moscona Renato Cellini RCA

Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Rolando Panerai, Fedora Barbieri, Nicola Zaccaria Herbert von Karajan EMI

Renata Tebaldi, Mario del Monaco, Ugo Savarese, Giulietta Simionato, Giorgio Tozzi Alberto Erede Decca

Leontyne Price, Richard Tucker, Leonard Warren, Rosalind Elias, Giorgio Tozzi Arturo Basile RCA

Mirella Parutto, Franco Corelli, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Agostino Ferrin Oliviero De Fabritiis Walhall

Antonietta Stella, Carlo Bergonzi, Ettore Bastianini, Fiorenza Cossotto, Ivo Vinco   Serafin Deutsche Grammophon

Leontyne Price, Franco Corelli, Ettore Bastianini, Giulietta Simionato, Nicola Zaccaria Herbert von Karajan Deutsche Grammophon

Gabriella Tucci, Franco Corelli, Robert Merrill, Giulietta Simionato, Ferruccio Mazzoli Thomas Schippers EMI

Leontyne Price, Plácido Domingo, Sherrill Milnes, Fiorenza Cossotto, Bonaldo Giaiotti Zubin Mehta RCA

Joan Sutherland, Luciano Pavarotti, Ingvar Wixell, Marilyn Horne, Nicolaj Ghiaurov Richard Bonynge Decca

Leontyne Price, Franco Bonisolli, Piero Cappuccilli, Elena Obrazcova, Ruggero Raimondi Herbert von Karajan EMI

Katia Ricciarelli, José Carreras, Jurij Mazurok, Stefania Toczyska, Robert Lloyd Colin Davis Decca

Rosalind Plowright, Plácido Domingo, Giorgio Zancanaro, Brigitte Fassbaender, Evgenij Nesterenko Carlo Maria Giulini Deutsche Grammophon

Antonella Banaudi, Luciano Pavarotti, Leo Nucci, Shirley Verrett, Francesco Ellero d’Artegna Zubin Mehta Decca

Aprile Millo, Plácido Domingo, Vladimir Černov, Dolora Zajick, James Morris James Levine Sony

Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Thomas Hampson, Larissa Djadkova, Ildebrando  D’Arcangelo Fabrizio Callai EMI

Andrea Bocelli, Verónica Villarroel, Elena Zaremba, Carlo Guelfi, Carlo Colombara Steven Mercurio Decca

 

DVD & BLU-RAY: 

Mario Del Monaco, Leyla Gencer, Ettore Bastianini, Fedora Barbieri, Plinio Clabassi Fernando Previtali Hardy Classics

Plácido Domingo, Rajna Kabaivanska, Piero Cappuccilli, Fiorenza Cossotto, José van Dam Herbert von Karajan TDK

Franco Bonisolli, Rosalind Plowright, Giorgio Zancanaro, Fiorenza Cossotto, Paolo Washington Reynald Giovaninetti Warner Music Vision

Luciano Pavarotti, Éva Marton, Sherrill Milnes, Dolora Zajick, Jeffrey Wells James Levine Deutsche Grammophon

Marcelo Álvarez, Sondra Radvanovsky, Dmitrij Chvorostovskij, Dolora Zajick, Stefan Koćan Marco Armiliato Deutsche Grammophon

 

Cinema:

1914 Il trovatore Charles Simon,  Stati Uniti d’America

1922 Il trovatore Edwin J. Collins,  Regno Unito

1949 Il trovatore Carmine Gallone,  Italia

1972 Le trouvère Pierre Jourdan,  Francia

Nel film “Senso” (1954) di Luchino Visconti, durante una rappresentazione dell’opera a “La Fenice” di Venezia, alcuni spettatori lanciano immagini di esultanza all’Italia.

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:


TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena e di Violetta, tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

“Il Trovatore”: è lo stesso Verdi che commissiona a Salvatore Cammarano la riduzione librettistica dal dramma di Gutiérrez.

Nel 1852, Cammarano muore improvvisamente, appena terminato il libretto, per cui Verdi, per avere alcuni ritocchi, chiede l’aiuto del suo collaboratore, Leone Emanuele Bardare.

La prima rappresentazione ottiene un grande successo: come scrive Julian Budden, < Con nessun’altra delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico».  >.

Il trovatore è un’opera scura, buia che trasmette una certa dose di sfiducia.

Inizia di notte nel palazzo dell’Aljaferia, a Saragozza, mentre Ferrando racconta una squallida storia di ignoranza e di barbarie successa in precedenza.

Storia che parla di sciagura accaduta fra gli Zingari e il Conte di Luna-padre, di macchinazione, di rappresaglia e di lutti.

In quest’opera, Verdi conserva l’ambiente notturno, ma ha la capacità di dare molti dualismi vari: zingari-soldati, scena drammatica Azucena-Conte di Luna, tranquillità-rumore delle armi nel convento, amore figlio-madre e sacrificio nel IV atto.

Nell’opera, l’azione passa da un punto all’altro della Spagna, ma gli avvenimenti dell’opera si svolgono prevalentemente col buio o all’interno delle costruzioni: per la precisione, il II atto inizia all’alba, nell’accampamento degli zingari, dove i fuochi della notte si fondono con le prime luci del nuovo giorno.

Da evidenziare l’importanza psicologica e fisica del fuoco che, in quest’opera, è presente come “ardore” e come “rogo”: di roghi, ne esistono due e, per la precisione, il primo riguarda la tortura e la morte della madre di Azucena che canta a Manrico “Stride la vampa”, aria intensamente triste, drammatica e coinvolgente.

Manrico chiede ad Azucena di narrare la storia “funesta”; attraverso la toccante “Condotta ell’era in ceppi”, la zingara racconta un vero dramma fisico e psicologico.

Il secondo rogo riguarda la stessa Azucena per cui, Manrico, prima di correre a salvarla, canta “Di quella pira”.

Nel IV atto, come ne “La Forza del Destino”, agisce IL DESTINO, specialmente nella IV parte, dove – in questo caso – la gelosia di Manrico fa slittare il tempo e il Conte di Luna si rende conto di essere stato “aggirato” da Leonora che muore per avere assunto il veleno.

Manrico si rende conto della devozione di tale donna: “E’ mio quest’angelo e io l’osava maledir”.

E’ UN’OPERA DRAMMATICISSIMA i cui personaggi principali sono perdenti:

. Il Conte di Luna: perde la donna amata, il fratello appena ritrovato e la pace interiore (“E vivo ancor!”).

. Eleonora e Manrico perdono la vita, ma sono uniti dalla Morte.

. Azucena perde la vita, ma ha vendicato la madre.

 

Azucena:  

Azucena, donna misteriosa, è un’anima bella e, nel III atto, dopo essere stata portata in presenza del Conte, gli risponde: “D’una zingara è costume mover senza disegno il passo vagabondo, ed è suo tetto il ciel; sua patria il Mondo”.

Azucena è una figlia e una madre molto sensibile che ha ricevuto IL MALE da gente che, oggi, verrebbe definita “razzista”; gente che le ha provocato un trauma fortissimo a seguito delle torture e dell’uccisione di sua madre e, nel IV atto, la si vede percorsa da angoscia  perché avrà la stessa fine, povera donna!

Ma, prima  di essere “giustiziata”, vendica la madre attraverso “Egl’era tuo fratello!”.

Una segnalazione:

L’Inquisizione Cattolica (attualmente, vigente sotto il nome di “SANT’OFFIZIO”) è stata creata da Paolo III con la bolla papale “Licet ab initio” del 1542 per mantenere e difendere l’integrità della Fede contro la riforma protestante e, a questo scopo, nel 1559, è stato creato l’INDICE DEI LIBRI PROIBITI.

Prima dell’INQUISIZIONE MEDIEVALE (dal 1179 o 1184 alla metà del 1400) istituita da Federico II nel 1231 (Costituzione Inconsutilem), la cui responsabilità era del Papa che nominava direttamente gli inquisitori, il ROGO esisteva già da moltissimo: un esempio è in “NORMA” di Bellini (al tempo dell’Antica Roma) e il rogo era “purificatore”.

Però,  l’ISTITUZIONE CON IL ROGO E LE TORTURE vera e propria è stata dovuta a motivi come: eresie (vedere l’esempio del caso “Galilei”) e, appunto, la “Caccia alle Streghe”.

 


Manrico:

Manrico è il Trovatore che canta ballate, è creduto da tutti il figlio della gitana Azucena che ama davvero come madre.

Tale affetto si nota anche nel IV atto, dove il desiderio di rivedere le loro montagne è grande: Azucena si illude e Manrico sostiene tale pensiero per tranquillizzare una donna sopraffatta da tante cose negative, ma NON folle.

Azucena e Manrico: si tratta di un grandissimo esempio di amore materno e amore filiale.

Praticamente, Manrico è un eroe “fuorilegge”, con la violenza del soldato, ma è una persona onesta e, politicamente, è seguace del Conte di Urgel, nemico dei di Luna.

Ama Leonora di un amore pulito, ma il Destino gli impedisce di sposarla.

La sua entrata, nel I atto, è a mezzo di un canto che sarà seguito dal duello con il Conte di Luna.

Manrico è ferito e viene curato da Azucena alla quale racconta che, durante tale duello con il Conte, ha udito la voce “proveniente dal Cielo” che gli diceva  “Non ferir”: da questi fatti, si prevede l’anticipo del nuovo scontro che si concretizzerà.

Manrico è destinato a rispettare l’azione di “correre”:

. Nel II atto, corre per salvare Leonora dal rapimento organizzato dal Conte di Luna.

. Nel III atto, corre per salvare la madre che cade prigioniera del Conte di Luna e dei suoi armati.

. Infatti, comanda a Ruiz: “Ruiz… va… torna… vola…” e, poi, canta  “Di quella pira”.

(Qualcuno, anni fa, aveva definito Manrico “mammone” perché corre a salvare la madre: dopotutto, LA RAGIONE E’ GRAVE!).

 


Leonora: 

Il Destino vuole che Leonora, dama della Regina, sia amata contemporaneamente da Manrico e dal giovane Conte di Luna: nel I atto, canta l’aria piena di ricordi (“Tacea la notte placida”).

Lei è la causa inconsapevole della rivalità fra i due uomini. Uomini che, alla fine, poco prima di morire, Azucena rivelerà essere fratelli: infatti, Manrico era il piccolo Garcia, il fratellino del Conte.

Questa “regal signora”, è donna gentile, dolce e fedele sino alla fine.

E’ determinata ed è l’icona femminile dell’opera che sogna l’amore di Manrico, un uomo che fa parte della società umana fuori dal suo mondo, ma che è appartenente ad una dinastia importante.
Sogna di unirsi a lui ma, quando sta per farlo, interviene il Destino che, con le sue contrarietà, la costringe a pagare  tale amore attraverso la morte.

 

 

Il Conte di Luna: 

Abbastanza realista, vive con i piedi per terra ed esprime, in particolare, il suo pensiero attraverso l’aria “Il balen del suo sorriso”.

Non è proprio “il cattivo”, anche se, in lui, è sempre vivo il senso di vendetta ma, alla fine, perde la pace, dopo avere saputo che l’uomo che aveva combattuto e fatto uccidere era suo fratello.

 

 

Ferrando: 

Capo dei soldati, non trascura occasione per raccontare la storia orrida della presunta  morte di Garcia, il bambino minore del  vecchio Conte di Luna.

Psicologicamente, Ferrando aggiunge una propria dose di calunnia, cosa spiegabile  attraverso usi e mentalità dell’epoca e, oggi, a mezzo della “Sindrome di Procuste”, conosciuta dalla Psicologia.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

Il basso CARLO COLOMBARA canta “DI DUE FIGLI VIVEA PADRE BEATO”:

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “TACEA LA NOTTE PLACIDA”:  https://youtu.be/tt7ZpFgxHus

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Il CORO canta “CHI DEL GITANO I GIORNI ABBELLA”:

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Il mezzosoprano DOLORA ZAJICK canta “STRIDE LA VAMPA”:

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Il mezzosoprano FIORENZA COSSOTTO canta “CONDOTTA ELL’ERA IN CEPPI”:

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Il baritono ETTORE BASTIANINI canta “IL BALEN DEL SUO SORRISO”:

 

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Il coro canta OR COI DADI MA TRA POCO:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “DI QUELLA PIRA”:

 

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “D’AMOR SULL’ALI ROSEE”:

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Il soprano BARBARA FRITTOLI e il baritono LEO NUCCI cantano il duetto  “MIRA DI ACERBE LACRIME”:

 

 

LA TRILOGIA POPOLARE VERDIANA: RIGOLETTO

Rigoletto è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo “Le Roi s’amuse” (“Il re si diverte”).

Prima rappresentazione: 11 marzo 1851, Teatro “La Fenice” di Venezia.

Esito: grande successo.

Con “Il trovatore” (1853) e “La traviata” (1853), forma la cosiddetta “Trilogia Popolare” di Verdi.

 

Personaggi: 

Il Duca di Mantova (tenore)
Rigoletto, suo buffone di Corte (baritono)
Gilda, figlia di Rigoletto (soprano)
Sparafucile, sicario (basso)
Maddalena, sorella di Sparafucile (contralto)
Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano)
Il Conte di Monterone (baritono)
Marullo, cavaliere (baritono)
Matteo Borsa, cortigiano (tenore)
Il conte di Ceprano (basso)
La Contessa di Ceprano (mezzosoprano)
Un usciere di corte (basso)
Un paggio della Duchessa (soprano)
Cavalieri, dame, paggi, alabardieri (coro)

 

Interpreti della prima rappresentazione:

Il Duca di Mantova (tenore) Raffaele Mirate
Rigoletto (baritono) Felice Varesi
Gilda (soprano) Teresa Brambilla
Sparafucile (basso) Paolo Damini
Maddalena (contralto) Annetta Casaloni
Giovanna (mezzosoprano) Laura Saini
Il Conte di Monterone (baritono) Feliciano Ponz
Marullo (baritono) Francesco De Kunnerth
Il Conte di Ceprano (basso) Andrea Bellini
Contessa di Ceprano (mezzosoprano)  Luigia Morselli
Matteo Borsa (tenore) Angelo Zuliani
Usciere (tenore) Giovanni Rizzi
Paggio (mezzosoprano) Annetta Modes Lovati

Direttore di scena:   Francesco Maria Piave

Maestro del coro:   Luigi Carcano

Maestro al cembalo:   Giuseppe Verdi (per tre recite)

Primo violino e Direttore d’orchestra: Gaetano Mares

Scene   Giuseppe Bertoja

 

Trama: 

Epoca: XVI secolo, a Mantova e dintorni.

Atto I:  Nel Palazzo Ducale.

Il Duca usa spesso mischiarsi  in modo anonimo tra la gente e, durante una festa, esterna a Borsa, il suo cortigiano, di essere intenzionato a conquistare una fanciulla che ha visto spesso all’uscita della chiesa (si tratta di Gilda, la figlia del suo buffone di corte).

Il cortigiano gli indica quante dame belle siano presenti e il Duca, un’anima piuttosto immorale e depravata (“Questa o quella per me pari sono”), tenta e lusinga la Contessa di Ceprano, cosa che fa arrabbiare il marito che subisce lo scherno di Rigoletto, il buffone.

Contemporneamente, Marullo racconta ad altri cortigiani che il gobbo e deforme Rigoletto, ha un’amante per cui, questo argomento, diventa il motivo di vendetta verso il buffone da parte degli “offesi” attraverso il rapimento della donna, ma non sanno che “tale amante” è sua figlia.

Il Conte di Monterone appare improvvisamente sulla scena e accusa il Duca alla presenza di tutti di avergli sedotto la figlia.

Rigoletto lo deride, Monterone maledice lui e il Duca che ordina di arrestarlo e Rigoletto, spaventato dalle sue parole, scappa.

Rigoletto è fortemente sconvolto dall’anatema di Monterone (“Quel vecchio maledivami”) e,  sulla strada di ritorno a casa, incontra Sparafucile, il cui lavoro è “esecutore di assassinii”; sicario che si mette a sua disposizione in caso di necessità.

Per un certo verso, Rigoletto si sente simile a lui (“Pari siamo”), ricorda la sua vita sfortunata e cerca di estraniarsi mentalmente dalla maledizione appena ricevuta.

A casa, ritrova Gilda, la figlia che non conosce il lavoro di giullare del padre  e  Giovanna, la domestica, a cui raccomanda di vegliare sulla figlia (“Veglia, o donna, questo fiore”), in quanto angosciato dalla paura che la figlia possa essere danneggiata moralmente e fisicamente dal Duca che, purtroppo, è già entrato furtivamente nella casa e osserva tutto di nascosto.

Rigoletto esce nuovamente da casa e il Duca, sotto le mentite spoglie di uno studente povero, Gualtier Maldé, avvicina Gilda e si dichiara innamorato (“È il sol dell’anima”) , ma viene fermato dalla presenza di qualcuno che si trova nei paraggi.

Ritrovandosi sola, Gilda ripensa all’amore per il giovane (“Gualtier Maldé… Caro nome…”).

Pur essendo notte, nei dintorni si aggirano i cortigiani, per effettuare il rapimento dell’ “amante di Rigoletto”.

Anzi, lo coinvolgono, visto che era tornato indietro a causa di un presentimento, e gli  fanno credere che si tratta del rapimento della Contessa di Ceprano.

Rigoletto accetta perché si sente sollevato dalla sua paura.

I cortigiani sono tutti mascherati e lo bendano coprendogli occhi ed orecchi, dopodiché rapiscono Gilda (“Zitti zitti, moviamo a vendetta”).

Quando tutti sono partiti, si rende conto di che cosa è successo e ripensa alla maledizione ricevuta (“Ah, la maledizione!”).

Atto II

Il Duca, dopo che è tornato a cercare Gilda, rientra nel suo palazzo ed è irritato e avvilito  a causa del rapimento della fanciulla (“Ella mi fu rapita”), ma i cortigiani lo portano a conoscenza  che hanno rapito l’amante di Rigoletto e apprende che questa si trova nel Palazzo: si rende conto che il caso è stato fortunato.

Rigoletto entra nel palazzo e, mostrandosi indifferente, cerca Gilda, mentre viene beffato dai cortigiani presenti ma, una volta capito che sua figlia è nella camera del Duca,  impreca con rabbia contro di loro.

I cortigiani  sono sorpresi di sapere che hanno rapito sua figlia, ma non gli permettono di recarsi da lei (“Cortigiani, vil razza dannata”).

Gilda lo raggiunge e gli rende noto che il suo onore è stato infamato.

Rimasti soli, gli espone che ignorava la vera identità del giovane e che lo ha conosciuto  durante la funzione religiosa festiva (“Tutte le feste al tempio”).

Rigoletto  la consola con la tenerezza del padre comprensivo quale egli è  (“Piangi, fanciulla”).

In quel momento, Monterone passa perché viene portato in carcere e si ferma ad osservare  il  ritratto del Duca, convinto  che la sua maledizione non abbia colpito.

Rigoletto risponde che LUI sarà l’artefice della vendetta  (“No vecchio t’inganni…sì, vendetta”): infatti, HA DECISO di rivolgersi a Sparafucile per commissionargli l’uccisione del Duca.

Atto III

Rigoletto vuole mostrare alla figlia chi è il Duca (sempre amato da Gilda), per cui  la conduce alla locanda di Sparafucile situata sulla riva del fiume Mincio.

Qui, anonimo, si trova il Duca, ammaliato e attirato da Maddalena, la sorella di Sparafucile.

Di nascosto, Gilda vede il Duca irridere  le donne e gli uomini che si innamorano di loro  (“La donna è mobile”) e corteggiare Maddalena come si era comportato con lei, in precedenza  (“Bella figlia dell’amore”).

Rigoletto comanda a Gilda di tornare a casa, di indossare abiti maschili  per sua integrità personale e, dopo essersi accordato con Sparafucile, si allontana  dalla locanda.

Si avvicina il temporale e Gilda, ancora fortemente attratta dal suo amato, torna alla locanda e ascolta il dialogo fra Sparafucile e Maddalena che, incapricciata del Duca, insiste  col fratello perché lo risparmi e uccida Rigoletto quando porterà loro il denaro.

Sparafucile, “professionalmente”, è serio e vuole rispettare “le sue regole”, ma decide di aspettare sino a mezzanotte e, se arriverà, ucciderà il primo uomo che entrerà nell’osteria (“Se pria che abbia il mezzo la notte toccato”).

Gilda stabilisce che si sacrificherà al posto del Duca, si finge un mendicante, bussa alla porta della taverna e viene pugnalata.

Rispettando gli accordi, Rigoletto ritorna alla locanda a mezzanotte e Sparafucile gli consegna il sacco contenente il corpo ucciso.

Rigoletto è soddisfatto di essersi vendicato e sta per gettare il corpo nel fiume quando sente la voce del Duca che arriva da lontano (ripresa de “La donna è mobile”).

Rabbrividisce e non capisce a chi possa appartenere il corpo nel sacco; quando lo apre vede  con spavento e repulsione Gilda colpita a morte che gli chiede perdono e muore tra le sue braccia (“V’ho ingannato….Lassù in cielo”).

Rigoletto è disperato: la maledizione di Monterone si è concretizzata (“Ah, la maledizione!”).

 

Brani noti: 

Atto I
Preludio
Questa o quella per me pari sono (ballata del Duca)
Pari siamo (monologo di Rigoletto)
Veglia, o donna, questo fiore (duetto Rigoletto Gilda)
È il sol dell’anima (duetto Duca GildaCaro nome (aria di Gilda)

Atto II
Ella mi fu rapita!… Parmi veder le lagrime (recitativo ed aria del Duca)
Potente amor mi chiama (Duca)
Cortigiani, vil razza dannata (invettiva di Rigoletto)
Tutte le feste al tempio (aria di Gilda)
Piangi fanciulla…..Sì, vendetta, tremenda vendetta (duetto Rigoletto Gilda)

Atto III

La donna è mobile (canzone del Duca)
Bella figlia dell’amore (quartetto: Duca, Maddalena, Rigoletto, Gilda)
V’ho ingannato, colpevole fui (duetto Gilda Rigoletto)

 

Incisioni note: 

Lina Pagliughi Ferruccio Tagliavini Giuseppe Taddei Giulio Neri Angelo Questa Cetra Coro e Orchestra RAI Torino

Mercedes Capsir Dino Borgioli Riccardo Stracciari Ernesto Dominici Lorenzo Molajoli Col. Coro e Orchestra della Scala

Maria Callas  Giuseppe Di Stefano Tito Gobbi Nicola Zaccaria Tullio Serafin Col. Coro e Orchestra della Scala

Hilde Gueden Mario Del Monaco Aldo Protti Cesare Siepi Alberto Erede Decca Coro e Orchestra Accademia Santa Cecilia

Daniela Dessì  Vincenzo La Scola  Giorgio Zancanaro  Paata Burchuladze  Riccardo Muti  Orchestra del Teatro Alla Scala EMI

Leyla Gencer  Gianni Raimondi  Cornell Mac Neil  Josè Augurdat  Argeo Quadri  Orchestra e Coro del Teatro Colon di Buenos Aires  Valentine Records

Beverly Sills  Sherrill Milnes  Alfredo Kraus  Samuel Ramey  Jlius Rudel Ambrosian Opera Chorus & Philharmonia Orchestra Julius Rudel  Riccardo Chailly  Wiener Philharmoniker

Luciano Pavarotti  Joan Sutherland  Sherrill Milnes Martti Talvela  Richard Bonynge London Symphony Orchestra  DECCA

Neil Shicoff  Edita Gruberova  Renato Bruson  Robert Lloyd  Giuseppe Sinopoli  Orchestra Nazionale di Santa Cecilia Philips

Vittorio Grigolo Julia Novikova  Placido Domingo  Ruggero Raimondi Zubin Mehta Orchestra Sinfonica Nazionale della R.A.I.

Francesco Demuro Nino Machaidze Leo Nucci Marco Spotti  Massimo Zanetti  Orchestra e Coro del Teatro Regio di Parma

 


LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

TRILOGIA POPOLARE DI VERDI:

E’ importante sapere che Verdi, persona sensibile, nelle opere della sua “Trilogia Popolare” ha voluto essere rivoluzionario presentando tre personaggi abbandonati dalla società a causa di tante ragioni: si tratta di Rigoletto, di Azucena e di Violetta, ossia tre esseri “esclusi” che, per tale motivo, il Destino ha stabilito il danno irreparabile, nonostante, a tutti i costi, essi vogliano creare qualcosa di bello che riguardi la loro esistenza.

Presa di mira dalla censura austriaca, all’inizio, l’opera “RIGOLETTO” è una tragedia basata  sul personaggio di un giullare alla corte dei Gonzaga, a Mantova.

Idem, il dramma “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo, viene censurato e, poi, ripresentato solo  nel 1882 circa (dopo cinquant’anni).

Qui, Hugo, non piace a causa della narrazione circa la corte francese, il disfacimento morale e lo scostumato Re Francesco I.

Nell’opera, l’azione viene ambientata alla corte di Mantova (corte che, nel periodo della narrazione di Hugo, non esiste più) e il re francese diventa il Duca di Mantova.

 

Riguardo il titolo, Verdi (nel 1850) scrive al suo librettista Piave che il titolo deve essere obbligatoriamente  “La maledizione” perché il “deus ex machina” è la maledizione verbale  che  si traduce in maledizione psicologica e in maledizione concreta: infatti, Monterone è un ‘povero’ padre alla cui figlia è stato violato l’onore e che viene  schernito da un ‘povero’ buffone di corte che, a sua volta, viene maledetto da questo ‘povero’ padre.

Il nome viene modificato da Triboletto (traduzione da Triboulet) a Rigoletto, ossia, “Rigoler” che, in lingua francese, significa scherzare.

Sotto l’ASPETTO PSICOLOGICO, l’opera “RIGOLETTO”  E’ DI UNA POTENZA IMMENSA E COMPLESSA.

Infatti, si tratta di un ARGOMENTO SEMPRE ATTUALE: in effetti, di intrecci simili, ne succedono tutti i giorni, nel Mondo.

L’opera inizia con il tema della “maledizione”, tema potente: è stata definita “l’opera più completa di Verdi” perché è ricca di melodia, di passioni, di amore paterno e filiale, di tradimento, di Psicologia, di timbri vocali vari.

E’ considerata un’opera bella di Verdi: in effetti, è coinvolgente, commovente, toccante, appassionante, entusiasmante.

Verdi ci trasmette il periodo rinascimentale, in cui la cultura e il laicismo evidenziano e mettono in luce l’uomo dopo il periodo medioevale, in cui chi predominava era “il divino”, “il religioso”.

Fra parentesi, è importante sottolineare che le figure che posseggono una doppia personalità sono una forte attrazione, per Verdi:  lui le ama interiormente e profondamente perché possiedono un’anima sofferente.

Oltre a Rigoletto, ne sono di esempio Azucena e Violetta, le altre figure fondamentali della  Trilogia Popolare, ossia anime tormentate.

Attraverso l’opera “Rigoletto”, Verdi dimostra chiaramente il grado di altissimo livello acquisito  e  dove i personaggi esprimono i vari aspetti delle loro caratteristiche interiori  e comportamentali: la melodia esprime la dimostrazione verbale, il sentimento e l’affetto,  l’anima, i desideri e gli impeti, le emozioni, la sensibilità, la dolcezza e la finezza, la lietezza e la beatitudine, le paure, le angoscie, …

 


Rigoletto: 

Rigoletto: LA SUA “CATTIVERIA” NON RAGGIUNGE LE DIMENSIONI DI QUELLA DEL DUCA perché – pover’uomo – E’ COSTRETTO AD ESSERLO.

In particolare, “se la prende” proprio con Monterone, un altro padre, oltre a difendersi con grande sottigliezza psicologica crudele  verso i cortigiani e ad essere determinato nel prendere la decisione di far sopprimere il Duca di Mantova.

Il Duca di Mantova, al cui ritratto, nel finale dell’atto secondo, il Conte di Monterone si rivolge mentre viene portato in carcere.

Lo stesso ritratto a cui Rigoletto, poco dopo, si rivolge con “Sì, vendetta, tremenda vendetta,  di punirti già l’ora s’appressa”.

A proposito del ritratto del Duca, ricordo il bellissimo film in bianco e nero con  il baritono Tito Gobbi, il tenore Mario Filippeschi, il soprano Lina Pagliughi e la regia di Carmine Gallone.

Rigoletto: personaggio “leone” è, contemporaneamente, fragile.

E’ un disperato.

 

Infatti, DEVE sacrificare la sua libertà personale per guadagnarsi da vivere in questo modo comico, DEVE ridere per sopravvivere alle sue disgrazie morali che diventano fisiche e finanziarie, ha la paura continua che gli possano insidiare la figlia, è cosciente della sua gobba che lo deforma (gobba dovuta alla scoliosi, gobba  che gli attira le derisioni: a quel tempo, non esistono la radiografia e molte cure che possono aiutare a stare un pochino meglio), sa di essere stato amato dalla moglie “per compassione” (probabilmente, pensa che “Qualcuna doveva pur sposarlo …”).

In Psicologia, è assodato che, chi scherza sempre, HA LA PAURA INCONSAPEVOLE DI SOFFRIRE; non è proprio il caso di Rigoletto, il cui retaggio NON permesso è  IL PIANTO ESTERIORE, in quanto OBBLIGATO A FARE RIDERE.

Oltre al difetto fisico e al relativo danno antiestetico e sgraziato, Rigoletto prova ostilità  nei confronti della società umana amorale che lo circonda, di cui odia il potere ricco e libero.

Odia il potere  usato in modo sbagliato che si impone sulla gente debole con provocazione  del dolore morale attraverso la derisione continua che provoca rifiuto e disgusto negli altri.

Rigoletto ha bisogno di usare la “maschera” crudele e codarda di Buffone di Corte verso la società e la “maschera” del Padre Buono verso Gilda.

Padre che, comunque, sa essere persona tenera e che si nasconde dietro queste “maschere” perché la sua personalità è ferita profondamente.

Infatti, Rigoletto conosce perfettamente la corte perversa dove è inserito “per lavoro” e, dentro di sé, ha il pensiero continuo della figlia, pensiero che esterna a Gilda quando torna a casa e non è più “il buffone” freddo e cinico.

Nonostante tutto, l’anima di Rigoletto è piena di amore e, il duetto con la figlia è struggente, specialmente nel suo ricordo verso la moglie morta (“Quel capo amato”) e l”amore per la figlia (“Il mio Universo è in te”).

Nel secondo atto, nel palazzo del Duca, dopo la ricerca della figlia, Rigoletto tuona duramente verso i cortigiani,  trasmettendo il suo stato d’animo alquanto risentito-ferito, e indignato, tanto da sembrare l’ esplosione di un cratere vulcanico:

< Cortigiani, vil razza dannata,
per qual prezzo vendeste il mio bene?
A voi nulla per l’oro sconviene,
ma mia figlia è impagabil tesor >

“Esplosione” che, a poco a poco, scende di tono dal momento che i cortigiani ormai sanno che il rapimento è stato compiuto ai danni suoi e di sua figlia.

“Esplosione” che si trasforma in una supplica affinché sua figlia gli venga resa “seppur disarmata”, ossia, “ormai senza l’onore”: l’onore,  cosa appartenente agli usi e costumi,  alla mentalità e all’educazione della società umana di quel tempo.

“Si’, vendetta”: Rigoletto PROMETTE VENDETTA a Gilda che ad un certo punto, lo implora “… Mi tradiva, pur l’amo …”; Gilda si riferisce al Duca che le ha lasciato il nome di Gualtier Malde’ e di averle fatto credere di essere uno studente, per di più, povero.

Nel terzo atto, dopo il famoso quartetto, Gilda si presenta alla locanda di Sparafucile in abiti maschili, verrà colpita a morte e il sacco contenente il suo corpo – al posto di quello  del Duca di Mantova – viene consegnato a Rigoletto che crede di avere vinto.

Si sente grande e invaso da una gioia immensa e crudele ma, la voce del Duca che canta la canzone di disprezzo alla donna, lo riporta nella realtà, provocandogli DELUSIONE e DISPERAZIONE.

Gilda, colpita a morte, è ancora viva e riesce a raccontare al padre che vuole essere con la madre, vista la delusione subita nella sua giovanissima età.

Si sente tranquilla, ormai, però Rigoletto è in tumulto a causa di UNA TRAGEDIA DELLA MISERIA UMANA.

E’ importante citare che, dopo che Gilda comunica al padre che lei sarà con la madre, dalla risposta di Rigoletto – accompagnata dalla musica trascinante – si percepisce quanto amore lui abbia per questa unica figlia, ricordo della moglie nobilitata  “che lo ha sposato per compassione”.

Un grande amore paterno e umano che, per fare giustizia, senza volere, ha provocato la sua stessa tragedia.

Verdi è patriottico, ama le cose giuste e, in quest’opera, dimostra la lotta alle ingiustizie e al potere oltre i termini e oltre la pietà per i fragili: in questo caso, è Rigoletto il personaggio che gli ha fatto constatare che “Oh, < Le roi s’amuse > è il più gran soggetto che ho trovato finora, e forse il più gran dramma dei tempi moderni”.

GRANDISSIMA OPERA! UN VERO CAPOLAVORO!

GRANDE HUGO!

GRANDE VERDI!

 


Gilda: 

Il comportamento dell’adolescente Gilda si manifesta attraverso uno stato d’animo ansioso fra speranza e paura per il suo futuro: non ha più il rapporto con l’esempio della madre perché è morta e il rapporto con il padre si presenta un po’ ermetico, dal momento che Gilda non viveva con i genitori, ma è con Rigoletto solamente “da tre lune”, ossia tre mesi  e, comunque, non conosce ancora la città e frquenta solamente il “Tempio”.

Quindi, non si è ancora manifestata quell’apertura mentale fra padre e figlia che possa gratificare Gilda come persona che decide di sé stessa, che non può manifestare curiosità verso l’amore.

Il suo amore si attiva per il bello e dolce studente Gualtier Maldé (che si scoprirà essere il Duca), amore che la porterà nel letto NON matrimoniale legittimo, ma simbolo “indegno”.

La sua bassa autostima la porta al sacrificio d’amore che la conduce alla morte.

EH, … GLI USI E I COSTUMI CHE INFLUENZANO E INCIDONO SULLA SOCIETA’ UMANA …

 


Il Duca di Mantova: 

Un personaggio intrigante e interessante, psicologicamente.

E’ importante citare che, SECONDO LA PSICOLOGIA:

< Ogni personaggio ha un proprio aspetto fisico, caratteriale, ideologico, sociale, culturale ecc…Questi sono fondamentali per permettere al lettore di comprendere a fondo la figura di cui si sta narrando: aspetto fisico, aspirazioni ideali, condizioni sociali ed economiche, conoscenze culturali, tratti psicologici e stati d’animo >.

Fin da subito, risulta evidente che il Duca di Mantova è simile a Don Giovanni di Mozart e, ad ogni modo, secondo quanto risulta in Psicologia, “La caratterizzazione psicologica evidenzia la mentalità di un personaggio e comprende il suo stato  emotivo, il suo ragionare, i motivi delle sue azioni, la sua condotta verso la società umana, la sua mimica, la sua movenza”.

Se è vero che “Mozart e Da Ponte riescono ad addentrarsi in tutto ciò che può rendere esplicita la personalità di Don Giovanni”, è anche vero che, qui, Piave e Verdi rendono  bene l’idea della personalità dissoluta e immorale del Duca di Mantova, della cattiveria sua e dei cortigiani.

Tutta gente con un aspetto fisico bello, gente appartenente ad un ceto sociale elevato, gente colta ed istruita.

In particolare, Il Duca di Mantova odia e disprezza la donna: “forse”, nessuno gli ha mai detto che è stato PARTORITO PROPRIO DA UNA DONNA . . .

Non empatico, anaffettivo, è l’uomo che comanda, che ha tutto ai propri piedi,  …

La donna e gli altri “sono solamente OGGETTI da usare”, “sono COSE INANIMATE”, sono “COMPARSE”.

Senza dubbio, è frustrato (ossia, vanificato da qualche trauma), il cui complesso di inferiorità – per reazione – gli fa assumere il complesso di superiorità.

Spavaldo, gode i piaceri della vita unitamente, forse, alla paura  delle congiure e degli intrighi di palazzo.

Potrebbe essere perché, di solito, questi tipi di persone possono “reagire” così alla paura interiore.

Il Duca ha un comportamento seduttivo, in generale; in particolare, ha frasi dolci e convincenti verso Gilda-“donna celeste”, la cui personalità inconsciamente – idem – vuole “abbattere”.

Confronta l’amore con la potenza, il trono, dal momento che, certamente, si tratta di persona insicura, con poca autostima, ossia poca fiducia in sé stesso, tanto da “dover dimostrare al mondo che “cosa è capace di fare” come reazione.

Mi chiedo se – il seguire Gilda fino a casa e, poi, introdursi attraverso l’uscio “socchiuso” – sia dovuto a quello che, oggi, è stato identificato come “stalking” e “violazione di domicilio”.

Sicuramente, si tratta di ossessione incontrollabile di “voler possedere” per sentirsi qualcuno.

“Ella mi fu rapita”: all’inizio del II atto, il Duca ha un momento di riflessione secondo cui  NON sembra essere l’egoista privo di empatia, perché Gilda ha la facoltà inconscia “quasi di trarlo a virtù”: è colei che è stata capace di destargli “costanti” affetti.

(Chiaramente, si tratta di una cosa passeggera, nel Duca, perché la sua personalità guasta è radicata in lui: NON può cambiare).

E, ad ogni modo, la vita del Duca viene salvata da Gilda e Maddalena, due esseri umani che appartengono al genere femminile da lui tanto odiato.

 


Sparafucile: 

E’ un bravo, un sicario prezzolato per “lavori su commissione” che, verso  il suo lavoro, possiede una certa “deontologia”: infatti, è abbastanza restìo a cedere alla preghiera della sorella ma, poi, l’accontenta “appellandosi” alla “sostituzione di persona” attraverso il primo che si presenterà alla locanda dopo mezzanotte.

 


Maddalena: 

Maddalena: donna che pratica l’amore mercenario, aiuta il fratello adescando “i clienti”.

Oggi, sarebbe oggetto di “denuncia per adescamento”, ma – qui – risulta chiarissimo che tutto è a causa della povertà  di quel  tempo in cui bisognava “arrangiarsi” anche con alcuni tipi di lavori per sopravvivere: cosa attuale, comunque.

La sua è una parte breve, ma incisiva in quanto s’innamora del Duca in incognito (“Apollo”)  e convince il fratello ad uccidere un altro al posto suo, cambiando gli eventi.

 


La Contessa di Ceprano: 

La Contessa di Ceprano, dall’apparizione brevissima, risponde al Duca che, a forza,  deve “seguire lo sposo che volge a Ceprano”, però sembra essere l’unica donna che resiste al nobile, il quale ne è attratto a causa di ciò che non riesce ad avere come reazione conseguenziale all’essere abituato ad avere tutto, ossia “il proibito”.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

RICCARDO MUTI dirige il PRELUDIO:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta la Ballata del Duca “QUESTA O QUELLA PER ME PARI SONO”:

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Il baritono INGVAR WIXELL canta il monologo di Rigoletto “PARI SIAMO” e il duetto con il soprano EDITA GRUBEROVA “FIGLIA! – MIO PADRE”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL con il soprano EDITA GRUBEROVA canta “VEGLIA, O DONNA, QUESTO FIOR”:

 

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI e il soprano EDITA GRUBEROVA cantano il duetto “È IL SOL DELL’ANIMA”:

 

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Il soprano EDITA GRUBEROVA canta “CARO NOME”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “ELLA MI FU RAPITA … PARMI VEDER LE LAGRIME”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “POSSENTE AMOR MI CHIAMA”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL canta l’Invettiva di Rigoletto “CORTIGINI, VIL RAZZA DANNATA”:

 

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Il soprano EDITA GRUBEROVA canta “MIO PADRE! TUTTE LE FESTE AL TEMPIO”:

 

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Il baritono INGVAR WIXELL e il soprano EDITA GRUBEROVA cantano “PIANGI FANCIULLA … SI’, VENDETTA, TREMENDA VENDETTA”:

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Il tenore LUCIANO PAVAROTTI canta “LA DONNA E’ MOBILE”:

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Il mezzosoprano VICTORIA VERGARA, il tenore LUCIANO PAVAROTTI, il soprano EDITA GRUBEROVA e il baritono INGVAR WIXELL cantano il Quartetto “BELLA FIGLIA DELL’AMORE”:

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Il soprano EDITA GRUBEROVA e il baritono INGVAR WIXELL cantano il duetto “CHI E’ MAI? … MIA FIGLIA!” – V’HO INGANNATO, COLPEVOLE FUI”:

 

TOSCA di GIACOMO PUCCINI

Tosca è un’opera in tre atti su Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto da “La Tosca” di Victorien Sardou (dramma rappresentato per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il cui successo è legato soprattutto all’interpretazione di Sarah Bernhardt).

Prima rappresentazione: Teatro “Costanzi” di Roma, 14 gennaio 1900.

 

Personaggi: 

Floria Tosca, celebre cantante (soprano lirico spinto)
Mario Cavaradossi, pittore (tenore lirico spinto)
Il barone Scarpia, capo della polizia (baritono drammatico)
Cesare Angelotti (basso cantante)
Il Sagrestano (basso)
Spoletta, agente di polizia (tenore)
Sciarrone, gendarme (basso
Un carceriere (basso)
Un pastorello (voce bianca)


Cast della prima assoluta, direttore Leopoldo Mugnone: 

Floria Tosca (soprano) Hariclea Darclée
Cavalier Mario Cavaradossi (tenore) Emilio De Marchi
Il barone Scarpia (baritono) Eugenio Giraldoni
Cesare Angelotti (basso) Ruggero Galli
Il Sagrestano (basso) Ettore Borelli
Spoletta (tenore) Enrico Giordani
Sciarrone (basso) Giuseppe Gironi
Un carceriere (basso) Aristide Parasassi
Un pastore (voce bianca) Angelo Righi

Direttore: Leopoldo Mugnone

Trama:   

Periodo storico: Roma, giugno 1800.

Atto I:

Poco dopo la Battaglia di Marengo, la Prima Repubblica Romana cade con conseguente atmosfera tesa seguita agli avvenimenti rivoluzionari successi in Francia.

L’inizio dell’opera è solenne e preannuncia Scarpia, il Capo della Polizia Papalina.

Il bonapartista Conte Angelotti, ex console della Repubblica Romana, è evaso dalla prigione di Castel Sant’Angelo e si nasconde nella Basilica di Sant’Andrea della Valle: qui, la marchesa Attavanti, sua sorella, ha preparato degli indumenti femminili per evitare il riconoscimento.
Arrivato in chiesa, a causa dell’operato del Sagrestano, Angelotti è costretto a nascondersi nella Cappella di sua sorella.

Il Sagrestano brontola mentre ripulisce gli strumenti del pittore che, dopo poco, arriva per riprendere il lavoro al ritratto che sta dipingendo.

Mario Cavaradossi ha ritratto di nascosto la Marchesa Attavanti, ma confronta i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri con Tosca (“Recondita armonia”).

Il sacrestano se ne va e Cavaradossi si accorge di Angelotti, suo buon conoscente e di cui approva il credo politico.

Mentre entrambi preparano la fuga, arriva Floria Tosca, l’amante di Cavaradossi, per cui Angelotti è costretto a nascondersi nuovamente nella cappella.

Cavaradossi non può rivelarle quanto sta succedendo, dal momento che Tosca potrebbe rivelare la presenza di Angelotti, in confessione.
Tosca espone al suo Mario quanto desidera, per quella sera (Non la sospiri la nostra casetta…), ma riconosce la marchesa Attavanti come la Maddalena del dipinto e fa una scenata di gelosia al pittore che, faticosamente, riesce a tranquillizzarla e a salutarla (Qual occhio al mondo…),

Angelotti e Cavaradossi riprendono il loro dialogo e il secondo si offre di proteggerlo presso la sua villetta.

Un colpo di cannone rende nota la fuga del prigioniero da Castel Sant’Angelo e Cavaradossi stabilisce di accompagnare Angelotti per coprirlo travestito da donna. Purtroppo, dimenticano il ventaglio nella cappella.

Non è vero che, a Marengo, l’Austria ha vinto su Napoleone, ma la notizia allieta il Sagrestano che vuole ringraziare, organizzando il Te Deum con il coro di bambini.

Il barone Scarpia, capo della polizia papalina, arriva all’improvviso perché insegue Angelotti e nutre forti sospetti su Mario, come bonapartista.
Per poterlo incriminare e incarcerare come complice di Angelotti, cerca di interessare Tosca che è ricomparsa per avvertire Mario che dovrà cantare a Palazzo Farnese per celebrare il fatto bellico (“Ed io venivo a lui tutta dogliosa…”).
Servendosi del ventaglio trovato nella cappella degli Attavanti, Scarpia provoca, ad arte, la gelosia ossessiva di Tosca che cade nel trabocchetto tesole dal poliziotto.
Tutto questo, nonostante sia stata appena tranquillizzata da Mario, perché crede che si sia verificato un incontro clandestino fra Cavaradossi e la Marchesa: per cui promette di ritrovarli.

Atto II:

Scarpia è nel suo appartamento e sta cenando mentre, al piano superiore di Palazzo Farnese, alla presenza del Re e della Regina di Napoli, è in atto il festeggiamento che si svolge per celebrare la battaglia vinta.

Tosca è stata seguita fino alla villetta di Mario da Spoletta e dai suoi gendarmi che la vedono uscire poco dopo dal momento che lei stessa si è resa conto di avere commesso un errore di comportamento geloso.

Dopo la perquisizione della casa del pittore, lo arrestano per non avere trovato Angelotti.
Cavaradossi è condotto da Scarpia e interrogato: rifiutando di svelare il nascondiglio di Angelotti viene torturato.
Dopo poco che Tosca ha cantato al piano superiore, Scarpia la chiama e le fa sentire le grida lamentose di Mario.
Logorata, Tosca riferisce a Scarpia che il nascondiglio di Angelotti è nella villetta e Scarpia ripete, in presenza di Cavaradossi: “Il pozzo nel giardino!”.
Cavaradossi si sente tradito da Tosca e, subito dopo, il messo annuncia che la notizia della vittoria austriaca era falsa, dal momento che Napoleone ha sconfitto i nemici, a Marengo.
Mario si esalta alla notizia della vittoria e Scarpia rende subitanea la sua condanna a morte per fucilazione.

Più tardi, Scarpia viene a sapere che Angelotti di è suicidato all’arrivo degli sbirri nella villetta, per cui ordina l’impiccagione del corpo del Conte accanto a Cavaradossi.

Tosca è disperata e chiede a Scarpia la grazia per il suo Mario: la grazia ci sarà alla condizione che lei gli si conceda, per cui, provando orrore, si rammarica tristemente (“Vissi d’Arte”) e, da persona forte, si ritrova a supplicare l’inflessibile Scarpia, al quale “DEVE” CEDERE.

Scarpia chiama Spoletta e, d’accordo con lui, tranquillizzano Tosca che la fucilazione sarà inscenata con i fucili caricati a salve: “Come facemmo col Conte Palmieri”).
Dopodiché, raccomandato a Spoletta che non vuole essere disturbato, scrive il salvacondotto per Tosca e Cavaradossi in modo che raggiungano il Porto di Civitavecchia e si avvicina a Tosca affinché rispetti il patto ma, lei, avendo trovato un coltello sulla tovaglia, lo uccide.

Poi, s’impossessa del salvacondotto strappandolo dalle mani di Scarpia e, con pietà posa due candelabri ai suoi lati, un crocifisso sul suo petto e se ne va.

Atto III: È l’alba.

Si sente un canto in dialetto romanesco da parte di un pastorello.

Cavaradossi sta per essere giustiziato e scrive a Tosca la sua estrema lettera d’amore, però la interrompe perché ripensa intensamente al loro rapporto attraverso l’aria “E lucevan le stelle”.

Di sorpresa, Tosca arriva e gli racconta di essere stata costretta ad uccidere il poliziotto, gli esibisce il salvacondotto e lo porta a conoscenza della finta fucilazione, per cui scherza anche sul fingere in modo veritiero di morire per ingannare tutti.

Ma Tosca si agita e si scombussola perché Cavaradossi è stato fucilato realmente e, rincorsa dagli sbirri a causa del ritrovamento del corpo inerte di Scarpia, grida “O Scarpia, avanti a Dio!” e si getta nel vuoto.


Brani più noti:

Recondita armonia
Quale occhio al mondo può star di paro
Tre sbirri… una carrozza… presto!… seguila
Va’ Tosca! Nel tuo cuor s’annida Scarpia!
Ella verrà… per amor del suo Mario!
Orsù, Tosca, parlate / Non so nulla! / Non vale
Vissi d’arte, vissi d’amore
E lucevan le stelle… e olezzava
Amaro sol per te m’era morire
O dolci mani mansuete e pure
E non giungono… Bada!…
Son pronto / Tieni a mente… al primo
Com’è lunga l’attesa!

 

Incisioni note:  

Maria Caniglia, Beniamino Gigli, Armando Borgioli, Ernesto Dominici, Giulio Tomei – Oliviero De Fabritiis

Renata Tebaldi, Giuseppe Campora, Enzo Mascherini, Dario Caselli, Fernando Corena – Alberto Erede

Maria Callas, Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi, Franco Calabrese, Melchiorre Luise – Victor De Sabata

Antonietta Stella, Gianni Poggi, Giuseppe Taddei, Ferruccio Mazzoli, Leo Pudis – Tullio Serafin

Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, George London, Silvio Maionica, Fernando Corena – Francesco Molinari Pradelli

Birgit Nilsson, Franco Corelli, DietrichFischer-Dieskau, Silvio Maionica, Alfredo Mariotti – Lorin Maazel

Mirella Freni, Luciano Pavarotti, Sherrill Milnes, Richard Van Allan, Italo Tajo – Nicola Rescigno

Katia Ricciarelli, José Carreras, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik, Fernando Corena – Herbert von Karajan

Carol Vaness, Giuseppe Giacomini, Giorgio Zancanaro, Piero De Palma, Danilo Serraiocco, Alfredo Mariotti            – Riccardo Muti

Angela Gheorghiu, Roberto Alagna, Ruggero Raimondi, Maurizio Muraro, Enrico Fissore – Antonio Pappano

 

Adattamenti e video:

Tosca (film 1918)

Tosca (film 1941)

Avanti a lui tremava tutta Roma (film del 1946)

Tosca, film-opera diretto da Carmine Gallone (1956)

La Tosca, film diretto da Luigi Magni con musiche di Armando Trovajoli (1973)

Tosca, film per la televisione del 1976 con Raina Kabaivanska nella parte della protagonista, Plácido Domingo come Mario Cavaradossi, Sherrill  Milnes nella parte del barone Scarpia, Alfredo Mariotti e diretto da Bruno Bartoletti per la regia di Gianfranco De Bosio  Decca.

Tosca: James Conlon/Luciano Pavarotti/Shirley Verrett/MET, regia Tito Gobbi,

1978 Decca Tosca (reg. Franco Zeffirelli, live MET) – Giuseppe Sinopoli/Plácido Domingo/Hildegard Behrens,

1985 Deutsche Grammophon Tosca, nei luoghi e nelle ore di Tosca – film diretta TV (Rai Uno 1992), regia Giuseppe Patroni Griffi, orchestra diretta da Zubin Mehta; Plácido Domingo: Cavaradossi; Catherine Malfitano: Tosca; Ruggero Raimondi: Scarpia.Tosca,film-opera diretto da Benoît Jacquot (RAI uno

2001) Tosca- Amore disperato, opera moderna diretta da Lucio Dalla

(2003) Tosca- Paolo Carignani/Emily Magee/Jonas Kaufmann, 2008 Decca

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:  


“La Tosca”, dramma di Sardou, “viene rappresentato al “Teatro dei Filodrammatici” di Milano nel 1889 e colpisce Puccini al punto di volerne ricavare un’opera; per cui lo comunica a Giulio Ricordi che, a sua volta, ne parla con Sardou il quale non rifiuta ma si dimostra distaccato circa la cosa.

La stesura del libretto viene autorizzata a Ricordi che la passa ad Alberto Franchetti per avere conseguito un grande successo per la sua opera “Cristoforo Colombo”, però Franchetti rinuncia dopo qualche mese e Ricordi affida il lavoro a Puccini.

Ostacoli e considerazioni portano la prima rappresentazione di “Tosca” al Teatro “Costanzi” di Roma, il 14 gennaio 1900, in presenza del presidente del Consiglio Luigi Pelloux e della regina Margherita di Savoia.

Nonostante la serata nervosa e il direttore d’orchestra – Leopoldo Mugnone – sia obbligato ad  interrompere l’esecuzione e ricominciare da capo, nonostante la critica si aspetti un’opera conforme a “Manon” e a “La bohème”, “Tosca” si assicura un posto in repertorio, arrivando ad essere messa in scena nei maggiori teatri lirici della Terra.

In quest’opera (la più drammatica di Puccini) i fatti apprensivi si centralizzano su Tosca-Scarpia-Cavaradossi, disegnando i loro profili caratteriali e l’amore dei due amanti preso di mira dal poliziotto.
Infatti, l’introduzione dell’opera segna la forte solennità che preannuncia il barone Scarpia e la sua personalità viscida, la melodia si distingue particolarmente nei duetti tra Tosca e Mario e nelle tre romanze “Recondita armonia”, “Vissi d’arte”, “E lucevan le stelle”, che rallentano la tensione, mentre la massima drammaticità la riscontriamo nel secondo atto, dove il protagonista è proprio Scarpia.

E’ un caso drammatico che evidenzia la gelosia, la costrizione morale, la menzogna, la tortura, la crudeltà, la vendetta, la punizione.

 


Tosca: 

Tosca: una donna non comune dal carattere dolce – forse, a volte, un po’ fragile ma anche forte – risoluta ed empatica (“ad accarezzar fanciulli … a coglier rose …), con emozioni passionali e fisiche.

E’ anche una Signora, nell’anima, una Signora Artista della Musica, in quanto artista sensibile, oltre a possedere umiltà.

Tosca NON SA che Scarpia SA GIA’ che verrà perduta dalla sua stessa gelosia morbosa, ma il Barone – a causa del suo credersi “il centro dell’universo” – NON si rende conto che questa donna pretende fedeltà dal suo uomo per cui NON SE LA SENTE DI SOTTOSTARE ad un NARCISISTA MALIGNO/PERVERSO e, quindi – appena le capita di vedere il coltello, sulla tovaglia, DECIDE DI UCCIDERE il poliziotto DOPO AVERE RICEVUTO IL SALVACONDOTTO FIRMATO DALLO STESSO SCARPIA.

Poi, in un atto di pietà, Tosca pone i due candelabri ai lati di Scarpia-morto NON senza avere constatato, senza provare rimorso: “E AVANTI A LUI TREMAVA TUTTA ROMA”.

Tosca: un’eroina che ha fatto il possibile per salvare se stessa e il suo uomo dal ricatto ma, alla fine, sarà felice con lui nell’Altro Mondo.

 


Mario Cavaradossi: 

Lavora come pittore nella Chiesa di Santa Maria della Valle, ma vive la società che è attorno a lui con una certa indifferenza, da persona giovane e da artista qual è: infatti, è amante dell’Arte e, nel primo atto, celebra tale Arte per mezzo della bellezza delicata e aggraziata della DONNA attraverso l’aria “Recondita armonia”.
Aria in cui confronta la donna bionda, con gli occhi azzurri del quadro che sta dipingendo, con Floria Tosca, bruna, con “l’occhio nero” della tipica bellezza italiana.

Inizialmente, non è un eroe; non è nemmeno un patriota.
Però sa aiutare il suo prossimo: infatti, si trova faccia a faccia col Conte Angelotti appena evaso da Castel Sant’Angelo, dove era prigioniero liberale-democratico e lo supporta nascondendolo presso casa sua, una villetta con il pozzo dalla quale potrà fuggire.

A seguito di questo, si scoprirà che Cavaradossi è capace di riconoscere i suoi impulsi democratici e per cui la sua personalità diventerà eroica e patriottica: lo si comprende dalla sua resistenza alla tortura per non rivelare il nascondiglio dell’amico Conte Angelotti.

Cavaradossi è vittima del meccanismo mentale di Scarpia e viene fucilato: per avere amato il suo prossimo, paga con la vita.


Scarpia: 
 

La scena del “Te Deum”, scena significativa perché mette in risalto la “rabbia in corpo” di Scarpia, segue immediatamente il suo ordine al fido Spoletta di pedinare Tosca per arrivare ad arrestare i Bonapartisti: infatti, Scarpia è il Deus ex Machina e il maligno Capo della Polizia Pontificia che si serve soprattutto della GELOSIA di Tosca per arrivare ai suoi scopi; in questo caso, a mezzo del ventaglio trovato in chiesa.

Sotto l’aspetto psicologico, Scarpia è un personaggio molto interessante: vissuto e cresciuto con l’educazione e la mentalità del tempo, i fattori ambientali lo portano a rincorrere IL POTERE ed è “L’UOMO CHE COMANDA e TUTTO GLI E’ PERMESSO”.

Scarpia è un approfittatore del maschilismo dell’epoca e della sua carica lavorativa presso lo Stato Pontificio per mostrare la sua “potenza” e la sua ambizione smisurata: infatti, da essere viscido, agisce per proprio interesse personale, è narcisista maligno manipolatore perverso.
E’  “un fragile”, ma sembra che non sappia molto giudicarsi per ciò che è realmente.

Desidera pazzamente Tosca ma, interiormente sadico, NON sa amare le donne perché  è un essere insicuro e frustrato che – inconsciamente – vuole sottomettere la personalità femminile.
NON sa soddisfare e NON saprebbe farlo, specialmente, verso una donna INNAMORATISSIMA del suo uomo.

Come Iago, in “OTELLO” di Verdi, anche Scarpia vola molto in alto, ma – COME PER ICARO – LA CERA DELLE ALI SI SCIOGLIE E LO FA PRECIPITARE ROVINOSAMENTE: PER LUI, IL POTERE TERMINA.

Per cui, a seguito della sua morte:

. Scarpia: il fido Spoletta e il gendarme Sciarrone lo piangeranno perché non avranno più il loro “protettore”.

. Scarpia: la sua presenza si aggira vittoriosa, nel III atto, anche dopo morto, come se fosse un fantasma.

. Scarpia muore per mano di Tosca, ma E’ il VINCITORE su tutti.

. Scarpia è il personaggio più bello dell’opera: senza di lui, “Tosca” non esisterebbe.

Cesare Angelotti: 

Angelotti non è un perdente perché Scarpia avrà il suo corpo freddo, ma NON la sua anima: Scarpia, soprattutto, da sadico mentale, non lo potrà torturare e uccidere.

Vittoriano Sardou ha scritto “La Tosca”, i librettisti Luigi Illica (molto patriottico) e Giuseppe Giacosa hanno saputo trarre l’argomento validamente, esprimendo molto bene la psicologia dell’opera per la musica interiormente divina di Puccini che ha conferito splendore e che l’ha consacrata come capolavoro.

Battuto al computer da Lauretta

 

Il tenore MARIO LANZA canta “RECONDITA ARMONIA”:

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Il soprano RAINA KABAIVANSKA e il tenore PLACIDO DOMINGO cantano il duetto dal I atto “QUALE OCCHIO AL MONDO PUO’ DI STAR DI PARO” :

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Il baritono SHERRIL MILNES e il coro cantano “Tre sbirri… una carrozza… presto!… seguila” e “TE DEUM”:   https://youtu.be/FHOJCdfBFQg

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Il soprano ANGELA GHEORGHIOU canta “VISSI D’ARTE, VISSI D’AMORE”:

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “E LUCEVAN LE STELLE”:

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Il soprano MARIA CALLAS e il tenore GIUSEPPE DI STEFANO cantano il duetto dal III atto “O DOLCI MANI MANSUETE E PURE”:

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Il soprano RAINA KABAIVANSKA e il tenore PLACIDO DOMINGO cantano IL FINALE:

 

SAMSON ET DALILA di CAMILLE SAINT-SAËNS 

Opera in tre atti e quattro quadri su libretto di Ferdinand Lemaire tratto da un fatto biblico.

Musica di Camille Saint-Saëns

Fonte: Bibbia

 

Prima rappresentazione: Teatro Granducale di Weimar, 2 dicembre 1877 (in lingua tedesca)

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Pagliano” di Firenze, 26 marzo 1892

Prima rappresentazione francese: Rouen, 23 marzo 1890 (in lingua francese)

 


Personaggi:

Dalila (mezzosoprano)
Samson (tenore)
Il sommo sacerdote di Dagon (baritono)
Abimelech, satrapo (basso)
Un vecchio ebreo (basso)
Un messaggero (tenore)
Due Filistei (tenore e baritono)
Ebrei, Filistei (coro)

 

I primi interpreti: 

Sansone, tenore, Franz Ferenczy
Dalila, mezzosoprano o contralto, Auguste von Müller
Sommo Sacerdote di Dagon, baritono, Hans von Milde
Abimélech, satrapo di Gaza, basso, Dengler
Primo Filisteo, tenore, Karl Knopp
Secondo Filisteo, basso, Felix Schmidt
Messaggero filisteo, tenore, Winniker
Vecchio ebreo, basso, Adolf Henning
Ebrei, Filistei = coro

Direzione: Eduard Lassen

 

Trama: 

Epoca: In Palestina, intorno al 1150 a.C.

Atto I: Una piazza nella città di Gaza, in Palestina, davanti al tempio di Dagon.

Gli Ebrei chiedono aiuto al Signore perché sono oppressi dai Filistei (“Dieu! Dieu d’Israel”).

Sansone li esorta a credere pienamente nel Signore perché  lui riuscirà a liberarli presto  dalla schiavitù (“Arretez, o mes frères!”).

Il satrapo Abimelech schernisce gli Ebrei e il loro Dio (“Qui donc élève ici la voix?”) e viene ucciso da Sansone (“C’est toi que sa bouche invective…..”), per cui il suo seguito fugge in una direzione, mentre Sansone e i suoi fuggono nell’altra.

Il Gran Sacerdote, rendendosi conto dell’uccisione di Abimelech, comanda la sterminazione degli Ebrei (“Que vois je? Abimelech! Frappé par des esclaves!”), quando un messaggero comunica che gli Ebrei, guidati da Sansone, stanno saccheggiando il raccolto, per cui si rifugia nelle montagne, mentre gli Ebrei ringraziano il Signore (“Hymne de joie…”).

Dalila esce dal tempio assieme ad altre sacerdotesse filistee (“Voici le printemps…..”), e  usa l’astuzia affinché i Filistei si rivalgano sugli Ebrei e celebra la vittoria di Sansone dicendogli di amarlo e invitandolo ad accompagnarla nella valle di Soreck (“Je viens célébrer la victoire…..”).

Nonostante sia incerto tra diversi sentimenti e i richiami di un vecchio saggio ebreo che lo ha avvertito della doppiezza e della falsità di Dalila, Sansone  la segue nella sua casa.

 

Atto II: La valle di Soreck, in Palestina.

In attesa dell’arrivo di Sansone, Dalila prega Dagon, il Dio dei Filistei, perché  lei possa aiutare il suo popolo contro gli Ebrei (“Samson, recherchant ma présence…”, “Amour, viens aider ma faiblesse”) e, al Gran Sacerdote  (“J’ai gravi la montagne…”), a cui confida il suo programma (“Qui….. déjà par trois fois…”), Dalila giura la soppressione di Sansone.

Giunge Sansone, quasi pentito di non avere ascoltato i consigli circa il fare attenzione a Dalila: Dalila che lo irretisce nella scena della seduzione (“Mon coeur s’ouvre à ta voix…”), facendo capitolare il giovane che, però, non vuole portarla a conoscenza del segreto della sua forza.

Dalila fa la preziosa, lo fa sentire in colpa e vile per non amarla, per cui torna a casa.

Si manifesta l’ira di Dio attraverso un forte temporale.

Sansone è lacerato dalla passione (“En ces lieux, malgré moi…..”), per cui pensa che sia giusto seguire la donna che, dopo poco tempo, chiama gli sbirri del Gran Sacerdote che circondano la casa e lo incarcerano.

 

Atto III:

Scena I: Nella prigione di Gaza, Sansone gira la macina.

Sansone, privo della forza donatagli dai capelli e accecato, nel carcere, costretto a girare  la macina da mulino (un lavoro svolto dagli asini), prega affinché gli Ebrei non si vengano a trovare nelle sue stesse condizioni (“Vois ma misère, helas!”).

Inoltre, Ebrei prigionieri lo maledicono a causa di Dalila  (“Samson, qu’as tu fait de tes frères?”) .

Scena II: Interno del Tempio di Dagon.

Sansone viene portato nel tempio di Dagon nel quale un’orgia incontrollata (“Baccanale”) rende onore alla vittoria filistea e subisce lo scherno del Gran Sacerdote che lancia una sfida: “prega” il Dio ebreo affinché renda la forza a Sansone (“Salut! Salut au juge d’Israel!….. “),.

Nel tempio, tutti lodano ed esaltano Dagon, che ritengono il solo ed effettivo dio assoluto, mentre Dalila (alquanto cinica e crudele) e la calca popolare si beffano di Sansone che, pregato Dio di rendergli “gli occhi, la forza e la vittoria” per un istante, chiede l’aiuto di un ragazzino per farsi accompagnare presso le due colonne portanti del tempio dove, idem,  prega Dio di ridargli la sua forza per provocarne il crollo, per cui tutti quelli che si trovavano al suo interno moriranno assieme allo stesso Sansone.

 

Brani famosi:

Dieu! Dieu d’Israël! (Coro, Atto I)
Printemps qui commence (Dalila, Atto I)
Amour, viens aider ma faiblesse (Dalila, Atto II)
Mon cœur s’ouvre à ta voix (Dalila, Atto II)
Baccanale (Atto III)

 

Discografia (selezione):

Jon Vickers, Rita Gorr, Ernest Blanc   Georges Prêtre   EMI
Plácido Domingo, Elena Obraztsova, Renato Bruson   Daniel Barenboim Deutsche Grammophon
José Carreras, Agnes Baltsa, Jonathan Summers Colin Davis Philips
Placido Domingo, Waltraud Meier, Alain Fondary Myung-whun Chung EMI

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Fin dalla sua comparsa sulla Terra, l’uomo ha sentito il bisogno di credere in qualcosa di superiore.
Ogni popolo crede e prega a suo modo.

“Samson et Dalila” è un melodramma suggerito dall’episodio biblico di Sansone e Dalila dove presenziano misticismo e sensualità, Ebrei e Filistei con il rispettivo Dio.

La trama dell’opera racconta di Dalila, la seduttrice e incantatrice che consegna Sansone,  il prode Ebreo, ai suoi avversari Filistei: Sansone che, però, si riscatterà implorando il vero Dio a mezzo di «Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto!».

Giugno 1870: Liszt è direttore artistico del teatro  di  Weimar e dà la disponibilità a Saint-Saens per la prima rappresentazione di “Samson et Dalila” che ottiene un grande successo; impresa che, differentemente, risulta più difficile in Francia.

Inizialmente, doveva essere un oratorio che seguiva “Samson Agonistes” di Milton,  “Samson” scritto da Voltaire per Rameau, “Samson” di Haendel.

Pare che il libretto di Lemaire  abbia avuto anche lo “zampino” del musicista, un buon letterato.

Il debutto dell’opera avviene in lingua tedesca (Simson und Delila) il 2 dicembre 1877 al Teatro “Granducale” di Weimar, con Hans Feodor von Milde (Oberpriester), sotto la direzione di Eduard Lassen.

Esito: grande successo.

Ma il pubblico non è altrettanto entusiasta dopo l’esecuzione avvenuta in lingua francese il 23 marzo 1890, a Rouen.
Dopo questi inizi, l’opera  diventerà  la creazione lirica più famosa di Saint-Saëns, entrando nel repertorio lirico dei maggiori teatri del mondo.

La musica dei compositori francesi è raffinata.

Oltre a questo, Saint-Saens è un maestro di musica delicato: Sansone ha una parte tenorile melodica e lirica e, a Dalila, viene dato il timbro di mezzosoprano e il ruolo del personaggio con volontà molto forte e capace di “condurre”.

La fonte di “Sansone e Dalila” è ispirata dal libro dei Giudici dell’Antico Testamento.

Saint-Saens, nel 1866, decide di musicare un Oratorio, dove Il “voto di castità” infranto da  Sansone, rappresenterebbe  il risveglio della società francese dopo gi anni libertini e corrotti  sotto il dominio di Napoleone III.

E’ un’opera-“cavallo di battaglia” di Fiorenza Cossotto, Agnes Baltsa, Grace Bumbry, Shirley Verrett e Anita Rachvelishvili.

 

Sansone:  

Isacco (figlio di Abramo e Sara), come San Giovanni il Battista, nasce quando i genitori sono avanti negli anni.

Così è anche per Sansone: la madre Mara è sterile e il padre Manoach (della Tribù di Dan) non hanno discendenti, per cui, questo tipo di figli nati tardi e concepiti da madre sterile è un dono divino perché tali figli sono coloro che vengono consacrati a Dio per tutta la vita.

Infatti, l’Angelo del Signore predice a Mara che partorirà un figlio che libererà il loro popolo dai Filistei.

Sansone è un Giudice, ossia un Governatore, e scopre che il padre ha fatto sposare la moglie filistea al compagno di nozze, per cui stabilisce di vendicarsi bruciando il raccolto della popolazione nemica la quale, saputo che il motivo è il matrimonio tradito, danno fuoco alla donna e al padre.

Perdendo la moglie, Sansone attua un massacro presso i Filistei, dopodiché si rintana  nella caverna della rupe di Etam.

Quindi, tremila Giudei si comportano falsamente verso Sansone che, trovato una mascella d’asino, la usa come arma e uccide mille uomini.

Il luogo è Ramat-Lechi (che significa <la parte alta della mascella>).

Sansone, in Ebraico, significa “piccolo sole” ed è l’Eletto da Dio, personaggio con la  predisposizione “solare”: infatti, in Ebraico, si dice “Shemesh” che, tradotto, significa “Sole”, mentre la sua  origine è Bet-Shemesh, ossia “la casa del sole”.

Fin dal ventre materno, il puro Sansone riceve delle direttive che insegnano ciò che dovrà adottare fra cui una dieta simbolica, evitare alcoolici e cibi non appartenenti alla legge biblica.

E’ una missione secondo la quale dovrà mantenere il voto del «nazireato» (dall’ebraico nazir, “consacrato”) che impone  di  non tagliarsi i capelli come segno della devozione secondo  virilità (la capigliatura) e, quindi, l’obbligo della sua persona dedicata a Dio.

I capelli di Sansone indicano la sua forza, sono raccolti in sette trecce e sono simili ai raggi solari.

Ricevendo la sua grandissima forza dai propri capelli, Sansone pratica gesti e atti addirittura soprannaturali.

Questa forza lo rende invincibile e anche simbolo di virilità, facendone un campione: infatti, uccide un leone a mani nude, uccide mille Filistei con una mascella di asino e riesce a demolire la porta della città di Gaza.

I capelli rivestono importanza per quanto riguarda forza e potere in parecchie culture, nei diversi periodi della Storia.

Sansone, < giudice-governatore > di Israele, combatte con i Filistei, avversari potenti – e il  tutto – è raccontato nei capitoli 13-16 del libro biblico dei Giudici.

Purtroppo, la sua forza fisica NON è pari alla sua forza mentale perché, interiormente, ha la fragilità di un bambino.

Nella Bibbia (Vecchio Testamento), lo dimostra quando si sente gratificato per le sue tante conquiste femminili che, per la verità, “lo canzonano”.

Lo dimostra, chiedendo l’intervento del padre di prendergli per moglie un donna che gli piace, MA che ha visto una sola volta: è il tipico essere che non si è mai sacrificato per conquistare la ricompensa morale.

Lo dimostra con immaturità e inesperienza verso le donne, cedendo alle insistenze di Dalila quasi “per non essere più disturbato”, senza riflettere neppure un istante sulle conseguenze negative.

Questa “arrendevolezza” è la debolezza che porterà alla sua cattura da parte dei Filistei, sarà accecato e “utilizzato” quale divertimento per il popolo.

La cecità esterna è il primo sacrificio che lo trasforma e che lo porta alla consapevolezza dopodiché, di conseguenza, acquisisce la capacità di “vedere” attraverso il proprio interiore, per cui Sansone “paga” per una rinuncia per la quale intraprende un sacrificio: una rinuncia sul piano inconscio che corrisponde ad una “perdita” sul piano fisico.

Lentamente, diventa un prode: la “rinuncia obbligata” ai suoi capelli gli fa perdere l’energia fisica, ma gli sviluppa una “modificazione interiore” che lo porterà all’altra rinuncia consapevole, ossia il sacrificio a mezzo della sua stessa vita riguardante l’incarico che gli è stato affidato da Dio per concretizzarsi (oggi, diremmo: rinuncia cosciente all’infantilismo, al narcisismo).

 

Dalila: 

Il suo nome deriva da “Lajlah”, ossia “la notte”.

E’ sacerdotessa del loro Dio: Dagon.

In lingua ebraica, il nome del dio Dagan diventa Dagon ed è  conosciuto  anche come Zagan, importante divinità cananaica della fertilità e del raccolto, padre di Baal.

Il suo aspetto: uomo che spunta da una spiga di grano oppure come uomo barbuto dalla  forma di pesce nella parte inferiore del corpo.

Ha alcune similarità con Oannes, considerato il patrono dei fattori e degli agricoltori.

Psicologicamente, Dalila è un essere devastante e spiritualmente basso, è sadica per cui  non le importa di infliggere il dolore agli altri: infatti, SA di essere affascinante e si serve di questo suo ascendente per distruggere la forza fisica e morale di Sansone.

Dalila è lasciva, incline alla sensualità, alla licenziosita’, con fascino erotico anche vocale: nell’opera lirica di Saint-Saëns, canta l’aria seduttiva dolcissima, affascinante, trascinante “Mon Coeur s’ouvre a’ ta voix”, un’aria grandiosa, subdola e serpeggiante, che priva Sansone delle poche forze spirituali che gli rimangono.

Il duetto d’amore vive durante una scena di tempesta e la melodia simboleggia l’ira divina perché, qui, Sansone perde purezza e forza: musicalmente, è un momento alto.

Abile nella riuscita, consegue la vittoria su Sansone che aveva combattuto i Filistei in maniera crudele, bruciando le messi, devastando, assogettando gli stessi Filistei in modo pesante: Dalila gli fa pagare l’offesa.

(Oggi, è possibile ricordare le lotte femministe ma, a differenza di sentimenti, Dalila la si potrebbe descrivere come un bullismo femminile).

Donna dannosa e perfidamente falsa, con  fascino e cognitività mentali alquanto grandi, con sangue freddo, usa tutto ciò per arrivare ad un’unica finalità: la vendetta verso l’essere umano maschio e prendersi una rivincita, un “riscatto”.

Quale campione di Israele, Sansone è scomodo ai Filistei e, come tale, ostacola i loro disegni, per cui pensano alla sua soppressione per mezzo della sua non molto convincente fama di donnaiolo, per cui l’unica maniera è di indebolirlo per mezzo di una donna: la sua debolezza è inversamente proporzionale alla capacità cerebrale di dominare di Dalila in età sessualmente attiva e “mescolandosi” con altri, sua capacità di cui si serve con lo scopo di “castigare” tutto il genere maschile.

Da traumatizzata, Dalila E’ LA “PUNIZIONE” ed è aggressiva, per cui attua la “VENDETTA-CASTIGO” – che lei stessa RAPPRESENTA – sul genere maschile attuata attraverso modi e condotte che, a volte, psicologicamente, infragiliscono gli uomini, li portano ad essere  docili, cedevoli; li sopraffa “evirandoli”  dalla forza fisica e dalla validità di supremazia sul genere femminile.

A mezzo dei suoi capelli, Sansone simboleggia la forza e la virilità del maschio.

Ma, emotivamente, è facilmente manipolabile e influenzabile e, data la sua inesperienza verso il mondo femminile, Dalila lo priva della sua capigliatura-simbolo, ossia della sua “forza”, delle sue “possibilità”.

Dalila agisce in base alla mentalità e alle usanze di quel tempo, ma la cosa è corrente in tutte le società maschiliste di oggi.

Dalila è stimata e remunerata dai Filistei per distruggere Sansone ma, nella sua capacità psichica, è presente la necessità interiore radicata di rivalersi su un ruolo che può avere per altre vie.

Seduttrice per sete di vendetta, di denaro e di potere, “sa condurre”: per la sua opera di seduzione su Sansone, infatti, riceve mille e cento sicli d’argento.

A quel tempo, la donna è oggetto di piacere dell’uomo a scopo di matrimonio-gestione patrimoniale ma, oggi, le femmine hanno un certo “rendersi mascoline”per mezzo  dell’esibizione con comportamenti di stile maschile.

Dalila, dopotutto, per denaro, per vendetta o per potenza, è spia e aiuta il proprio popolo che adora i suoi Dei e su cui, però, alla fine, vince Geova, attraverso Sansone-caduta del Tempio di Dagon.

 

Donna intelligente, non credo che sia poi da aborrire tanto.

Psicologicamente, Dalila è un bellissimo personaggio ed è molto intrigante.

 

OPERA-COLOSSO BIBLICO,  IL TENORE MARIO DEL MONACO LA RITENEVA UNA DELLE CINQUE OPERE PIU’ IMPORTANTI DA LUI INTERPRETATE.

Battuto al computer da Lauretta 

 

 

 

 

 

 

Il tenore JOSE’ CARRERAS e il mezzosoprano AGNES BALTSA cantano “DIEU! DIEU D’ISRAEL!”:

 

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Il mezzosoprano ELINA GARANCA canta “PRINTEMPS QUI COMMENCE”:

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Il mezzosoprano OLGA BORODINA canta “AMOUR, VIENS AIDER MA FAIBLESSE”:

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Il mezzo soprano ELINA GARANCA canta “MON COEUR S’OUVRE à TA VOIX”:

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JAMES LEVINE dirige il “BACCANALE”:

 

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